[Diritti] ADL 131010 - Parlo



L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

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La Newsletter dell'ADL di oggi – 10.10.2013 – è inviata a 40'453 utenti

Direttore: Andrea Ermano

   

 

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IPSE DIXIT

 

Parlo della drammatica questione carceraria - «E parto dal fatto di eccezionale rilievo costituito dal pronunciamento della Corte europea dei diritti dell'uomo. Quest'ultima, con la sentenza approvata l'8 gennaio 2013 (…) ha accertato, nei casi esaminati, la violazione dell'art. 3 della Convenzione europea che, sotto la rubrica "proibizione della tortura", pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a causa della situazione di sovraffollamento carcerario.» – Giorgio Napolitano

   

 

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LETTERA AL DIRETTORE

 

Francamente

me ne infischio

 

Egregio Direttore, sia detto con grande rispetto per Lei, ma al suo Editoriale (Inciampare due o più volte, ADL 3.10.2013) rispondo proprio come in oggetto. Me ne frego! Me ne frego della nipote di Mubarak. Me ne frego di Berlusconi. Me ne frego del Parlamento.

    E basta co' sta storia. E' forse quella l'unica nefandezza accettata o creduta da un Parlamento di nominati? Nelle commissioni parlamentari ne approvano a decine tutti giorni. Tutti i giorni. E il Governo Letta? Si è provato a leggere come è composto uno, anche uno solo, dei suoi decreti omnibus. Quelli che costituzionalmente dovrebbero avere il crisma della necessità e dell'urgenza e invece mischiano gli argomenti più vari e futili come fossero ortaggi di un insalata mista. Umiliando il Parlamento tutti i giorni. Questo accade tutti i giorni!

    E che dire di quei paesi che ossequiamo recandoci questuanti a visitarli. Come gli Usa di quel generale che si presenta all'assemblea dell'ONU chiedendo di bombardare un paese intero agitando in mano la prova regina: una provetta di borotalco. Cosa dovremmo pensare degli USA? Seguendo il suo metro, che sono governati da una banda di cialtroni niente affatto diversa dalla nostra che almeno, per bombardare i Serbi, una scusa migliore eravamo riusciti pure ad accroccarla. O della perfida Albione che accetta silente che  una delle sue multinazionali più profittevoli faccia massacrare dai sui vigilantes privati decine di inermi lavoratori in sciopero in Sud Africa? In Italia, per fortuna, bisogna risalire ai tempi di Bava Beccaris per ricordarsi di fatti del genere…

 

Nun ve regge cchiu!

Vito Antonio Ayroldi

 


 

Riassumiamo. Ci sono, sul pianeta, alcuni miliardi di donne e uomini che associano un certo paese al favoreggiamento della prostituzione minorile. Poi c’è il paese stesso che ha bisogno di fiducia, credito e circa trecento miliardi l’anno per rifinanziare il suo debito pubblico. E poi c’è lei, che se ne frega. (A.E.)

   

 

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La situazione politica

 

A bocce ferme

 

La sensazione sarebbe che, al di là delle parole, la rassegnazione abbia preso il sopravvento. Ma in politica non è mai detto.

 

di Paolo Bagnoli

 

Partiamo dal gesto di Berlusconi di votare la fiducia al governo Letta dopo le bellicose dichiarazioni dei giorni passati e la riconferma del “no” all’apertura della seduta senatoriale. Per quanto ci si possa almanaccare sopra per darle un senso compiuto, a noi è parso il colpo di teatro di chi, nonostante stia affogando, si sente furbo e sfida il mare. Insomma: “Carta vince, carta perde”, come si usa dire in certi banchetti per scommettitori di strada. Già, ma mentre il gioco delle tre carte è fatto da imbroglioni per gli ingenui, qui è in ballo il Paese, il governo, la credibilità della Repubblica.

    Con il suo gesto simil-futurista, Berlusconi non ha certo rafforzato il governo provocando invece non pochi problemi al Pd, problemi che si faranno sentire sull’esecutivo, considerato che, non essendo maturata la rottura del Pdl, ora non si capisce bene che identità vi esprimano i ministri in disaccordo con il padre-padrone. Forse, l’identità di belusconiani in disaccordo con Berlusconi… Lui stesso però, al di là delle sue vicende personali, rimane a capo dell’azienda-partito. Può il PdL farsi rappresentare nel governo da persone in rotta con il capo? Tutto è possibile, ma la cosa specifica sembra un po’ difficile. Dunque, paradossalmente, una fiducia così non rafforza Letta.

    Berlusconi ha giocato una tragica, beffarda e non dignitosa furbizia. Comportandosi come ha fatto ha dimostrato, ancora una volta, di rappresentare un lusso che ci è già costato troppo caro. Ma continuerà a costare, anche se il cavaliere non sarà più parlamentare: tra qualche mese potremmo ritrovarcelo nel Parlamento europeo se, per esempio, la battaglia radicale per l’amnistia avrà esito positivo.

    Come andrà a finire l’attuale vicenda italiana è difficile a dirsi. Certo, il Paese è stretto in una crisi complessiva. E questa si compone di tutte le concause che vediamo emergere al momento. Esse altro non sono se non il punto di attestamento attuale della crisi ventennale della Repubblica.

    Silvio Berlusconi non governerà più. Ma ciò non significa né la fine del berlusconismo inteso quale versione di destra della politica italiana né, tantomeno, la fine della destra quale blocco di interessi sociali-economici e di visioni culturali.

    Di ciò che viene impropriamente chiamata “la sinistra” bisogna dire che, nel suo essere storico e politico, non esiste. E men che meno esiste una sinistra nel cosiddetto centro-sinistra – considerato il fallimento del Pd, chiuso in un bizantinismo interno di cui è praticamente impossibile spiegare il canone.

    Il cosiddetto centro-sinistra, ossia il Pd più Sel, si è politicamente dissolto subito dopo le elezioni e oggi, mentre l’idea della destra è immediatamente percettibile, quella del potenziale schieramento alternativo fa l’effetto di un organo nel quale ogni canna suoni il suo spartito. Il grande clamore generato dalla questione Renzi è solo il controcanto di un dramma del quale nessuno pare avere colto il portato sistemico.

    Dopodiché, certo, il presente in politica va governato. E però, il realismo ha un senso non in quanto fine a se stesso, ma come attuazione di una consapevolezza che non può né prescindere dal passato né evitare la prefigurazione di un possibile futuro.

    La definizione che Enrico Letta ha dato del suo gabinetto (“governo del fare”) attesta il vuoto in cui la Repubblica sta sprofondando.

    Da tale punto di vista la rinnovata fiducia non cambia nulla.

    L’improvvisazione e la mancanza, tanto di responsabilità quanto del senso storico che dovrebbe competere a chi ha le redini della politica, il chiudere gli occhi di fronte alle storture costituzionali e il rappresentare un’Italia che è talmente tanto un’altra Italia da non essere se stessa, tutto ciò ha prodotto i risultati dell’oggi.

    Le astuzie “realistiche” messe autorevolmente in campo sono state solo una corsa sul posto. Non hanno portato da nessuna parte. E la situazione, a tutti i livelli, si è talmente incartata che nessuno sa come uscirne. Nessuno pare più in grado di spendere uno spicciolo di autorevolezza per cercare di evitare il deragliamento finale.

    Basta la paura dello spread e quello della reazione all’invasività dell’Europa per ridare impulso a una minima funzionalità del Paese? Queste sono tutte, caso mai, conseguenze e non stimoli della coesione e della ricomposizione.

   Non funziona nemmeno la democrazia commissaria che la rielezione di Giorgio Napolitano sembrava aver certificato.

    E che amarezza, poi, quell’assurda proposta che il Parlamento si rivolgesse alla Corte Costituzionale per sapere se era conforme alla Carta una legge da esso emanata…

    Qui anche i commenti negativi sono difficili.

    Al di là di Berlusconi che, frutto del danno, ci ha messo del suo, la decadenza di un parlamentare è prerogativa esclusiva, in quanto titolo proprio, del Parlamento stesso. O il Parlamento potrebbe essere esecutore di una decisione presa da altro organo?! Stato di diritto, adieu. Qui nemmeno il rovescio è limpido.

    Chissà cosa ci s’inventerà adesso?

    La sensazione è che, al di là delle parole, oramai la rassegnazione abbia preso il sopravvento interiore. In politica, tuttavia, non è mai detto. E dunque: speriamo. In fondo, non costa niente.

  

 

FONDAZIONE NENNI

http://fondazionenenni.wordpress.com/

 

Parliamo di socialismo

 

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Sono un ingenuo?

 

di Giuseppe Tamburrano

 

Ducunt volentem fata, nolentem trahunt. Forse Berlusconi conosce questo detto di Seneca; ora certamente lo prova sulla sua pelle e meglio sulla sua libertà. Il suo futuro è una sequela di arresti, condanne: di perdita non solo del potere, ma della libertà, della rispettabilità (questa già compromessa).

    Qualche tempo fa (vedi Sogno di una notte di mezza estate, del 3 settembre 2013) gli ho consigliato di tagliare la corda, di stabilirsi in qualche angolo di paradiso che non estradi in Italia e di vivere da sultano gli ultimi anni della sua vita. Ora è privo di passaporto, ma non dei mezzi per un espatrio clandestino (ci è riuscito il Conte di Montecristo, di cui gli consigliamo la lettura). E ponga così fine anche fisicamente all’era Berlusconi, che altrimenti giacendo nelle patrie galere la cosa cambia per lui, non per noi!

    Che cosa può accadere in Italia? Paese imprevedibile! Ma se come diceva Croce “prevedere è ben vedere il presente” mi sembra che nei primi spostamenti si intraveda la nascita di un forte movimento al centro (Casini, che sembrava scomparso è ritornato in TV) con l’apporto di un forte nucleo di berlusconiani; la coagulazione di una destra attorno ai falchi alla Santanchè, la Lega e quant’altri; la decantazione della sinistra con Letta e/o Renzi alla sua guida. E un forte movimento estremista fuori dai giochi della politica parlamentare-governativa ed in declino nella misura in cui la situazione politica si decanta.

    E’ quel che ho scritto tempo addietro: ma allora era in qualche modo fantastoria. Ora può diventare la storia della III Repubblica. A questo quadro manca un tassello importantissimo: la legge elettorale. Ma ora che Berlusconi non c’è più e che sul terreno sociopolitico vi sono le componenti di una nuova articolazione è augurabile che la nuova maggioranza possa operare non solo per la ripresa economico-finanziaria, ma anche per una riforma istituzionale.

    Sarò un ingenuo inguaribile: ma se non c’è una speranza a che cosa serve essere cittadino? E fatemi dire tutto: in questo rinnovamento della vita pubblica io vedo un ritorno di una componente socialista autentica. Ma non mi fate sperare troppo!

       

 

SPIGOLATURE 

 

I solenni proclami

 

E accanto alle cronache del dolore pubblicità a tutta

pagina di un "ninnolo" da quarantamila dollari…

 

di Renzo Balmelli 

 

LACRIME. Si levano solenni proclami e vibranti contestazioni per porre fine alle insopportabili tragedie del mare di cui si scrive a caratteri cubitali quando la conta dei morti assume proporzioni bibliche. Ma fino a quando sussisteranno le sperequazioni più vistose e intollerabili tra il sud e il nord del pianeta il dolente corteo delle sofferenze continuerà a mietere vittime. Scoprire accanto alle cronache del dolore la pubblicità a tutta pagina di un "ninnolo" da 40 mila dollari è un rozzo accostamento tra il lusso estremo e l'indigenza totale che indigna profondamente mentre tra le onde galleggiano le povere cose di chi non c'è più. Per le traversate gli scafisti senza scrupoli esigono mille dollari a testa, la qualcosa significa che la vita di quaranta disperati vale quanto un accessorio per ricchi. Inaudito. Se non si taglierà alle radici l'origine del male le lacrime che si versano oggi sono lacrime di coccodrillo che asciugano in fretta.

 

NOBEL. Chi salva un uomo salva il mondo intero. Onore quindi agli abitanti di Lampedusa che ogni giorno, facendo propria  la grande lezione della tradizione ebraica e guadagnandosi la stima del mondo, si prodigano senza sosta con la loro abnegazione e il loro spirito di sacrificio  per tendere una mano salvifica ai derelitti che bussano alle nostre porte.  Chi vive quotidianamente  a contatto con lo strazio  di donne, uomini e bambini sente su di se il peso della tragedia più grande nella storia dei flussi migratori; avverte il senso  della vergogna che interpella le nostre coscienze. La  vergogna dell'Europa e del mondo. Si parla di proporre l'isola per il Nobel della pace, ma la gente di qui chiede anzitutto  più solidarietà e aiuti alla comunità internazionale; chiede di non essere lasciata sola  prima che sia troppo tardi.

 

DECADENZA. Letta guarda avanti e dopo la fiducia sentenzia: è finito un ventennio. Giusto.  Non esiste nessun motivo per cui un uomo possa  farsi scudo a suo piacimento  di un intero Paese  a tutela degli interessi personali.  Non si gioca con le emozioni degli altri per suscitare ammirazione. Un vero leader deve far sognare, ma soltanto se il sogno non è sinonimo  di inganno. Diviso sul dopo Berlusconi, il  Pdl   fa l'offeso. Ma ora la palla è nel suo campo  dove è in corso uno scontro feroce dal cui esito si potrà misurare l' autonomia dei dissidenti. Gli indizi non sono promettenti . Sui giornali di casa circola una  domanda: secondo voi è giusta la decadenza del Cavaliere? Questione pleonastica  alla quale ha già risposto la Storia ( si quella con la S maiuscola) prima ancora del Senato: sull'infausto ventennio berlusconiano  è calato il sipario e sono sempre in meno a chiedere il bis.

 

PASSATO. Per uno di quegli strani paradossi della politica, a Ginevra, capitale europea dell'ONU e centro cosmopolita per antonomasia, alle elezioni spopolano i movimenti che puntano a fare leva sui sentimenti di chiusura e altre spinte meno confessabili  per incanalare il malcontento popolare. Non è un fenomeno isolato. Schieramenti consimili avanzano  un po' ovunque nel continente e se per ora ognuno declina ancora in termini propri le rispettive modalità d'azione, a renderli simili  e temibili è l'uso spregiudicato degli slogan di facile suggestione per accrescere i consensi . Definiti genericamente schieramenti " contro", insofferenti alla libera circolazione, stupisce come riescano ad avere il vento in poppa a dispetto di programmi e contenuti tanto confusi quanto velleitari.  Più che un futuro sembrano avere un  passato davanti a loro, ma è proprio questo anacronismo a farne una forza da prendere con le pinze.

 

OMINO. In battaglia il generale Giap, morto alla veneranda età di 102 anni, ebbe contro alti ufficiali usciti dalle più prestigiose accademie militari e dai nomi altisonanti: l'aristocratico De Lattre de Tassigny all'epoca della guerra d'Indocina contro i francesi, l'ambizioso Westmoreland durante l'offensiva americana nel Vietnam. Furono sorci verdi per entrambi. Von Clausewitz, che se ne intendeva, avrebbe ammirato quel grande tattico, ma ancora più grande stratega, preso sottogamba dai nemici e che invece divenne l'incubo di eserciti preponderanti in uomini e mezzi, ma inadeguati a competere con la tecnica della guerriglia. Chi l'ha visto da vicino faticava a credere che quell'omino dentro l'uniforme troppo grande fosse l'eroe della riunificazione, colui che inflisse agli invasori alcune tra le più cocenti sconfitte militari della loro storia.

    

 

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LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Non indagate i superstiti

 

Manconi (Pd) presenta un ddl per l'abolizione del reato di clandestinità. Schulz: Italia lasciata sola. L'appello dell'Asgi, dopo che la procura ha iscritto nel registro degli indagati i 155 migranti scampati al naufragio.

 

Scampati alla morte e adesso sotto indagine per il reato di immigrazione clandestina. È la sorte dei 155 migranti salvati dalle acque di Lampedusa dopo il naufragio della scorsa settimana. Al riguardo l'Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) esprime “grandissime perplessità di fronte al comportamento della procura di Agrigento che ha iscritto nel registro degli indagati tutti i sopravvissuti per il reato di ingresso irregolare di cui all'art. 10 bis”. Sebbene si tratti di un atto dovuto, come sostiene la Procura, l’Asgi fa notare che sfugge “il senso di attivarsi con tale celerità per criminalizzare soggetti che hanno vissuto una così immane tragedia, quando già appare evidente che gli eventuali procedimenti che si dovessero aprire nei confronti dei rifugiati sono destinati a concludersi con una sentenza di non luogo a procedere, visto che essi hanno diritto a forme di protezione internazionale”.

    L’Asgi evidenzia “come non può affatto essere considerato irregolare l'ingresso di coloro che sopravvivono ad un naufragio, sprovvisti dei requisiti formali per l'ingresso se presentano tempestivamente domanda di asilo alle autorità, perché in tali ipotesi la condotta appare lecita fin dall'inizio”. “L'evidente assurdità di detta situazione mette in luce ancora una volta come sia inderogabile l'eliminazione dal nostro ordinamento del reato di immigrazione irregolare, norma del tutto insensata e di dubbia conformità con il diritto dell'Unione, che ha inutilmente moltiplicato processi inutili e colpito proprio i soggetti più deboli e bisognosi di aiuto”.

    “Alla luce delle dichiarazioni riportate dalla stampa da parte di alcuni rappresentanti politici, – concludono i giuristi – sebbene non vi siano al momento in cui scriviamo indagini per favoreggiamento dell'immigrazione clandestina verso coloro che hanno preso parte alle operazioni di soccorso, ci sembra importante ricordare che, se venissero avviate, ciò costituirebbe un vero e proprio assurdo giuridico”.

    Luigi Manconi, senatore del Partito Democratico, ha presentato un disegno di legge per l'abrogazione del reato di clandestinità. “Quello di clandestinità – dichiara Manconi - è un reato orribile che punisce non per ciò che si fa ma per ciò che si è. Non per un delitto commesso, ma per una condizione di vita: migrante, fuggiasco, povero. E questo contribuisce a riportare il nostro ordinamento giuridico a una condizione precedente l'affermazione dello stato di diritto: sorprende che i tanti garantisti presenti nel PdL non siano finora insorti contro una norma così regressiva e liberticida. E si tratta di un reato assai pericoloso perché rappresenta l'immigrato e il richiedente asilo come un nemico”. Inoltre, l'ingresso e la permanenza irregolari nel territorio dello Stato - continua Manconi - rischiano di sottrarre l'imputato alle garanzie previste dalla direttiva rimpatri che non si applica, appunto, alla materia penale. Infine, e palesemente, quel reato non contribuisce in alcun modo a contenere i flussi migratori, mentre aggrava ulteriormente il contenzioso giudiziario penale. Una ragione in più per abrogare una norma inutile e ottusa, tanto più che la Corte Costituzionale, nel luglio del 2010, ha dichiarato illegittima l'aggravante di clandestinità”.

    Dal fronte Pdl si registra le risposta di Carlo Giovanardi. Il senatore Pdl avanza tre proposte “per reagire alla tragedia di Lampedusa: tornare alla impostazione originale della Turco-Napolitano, confermata dalla Bossi Fini, con l'abrogazione del reato contravvenzionale introdotto con la legge 94 del 2009, che sanziona penalmente il mero ingresso e soggiorno irregolare dello straniero, creando una assurda sovrapposizione tra illecito amministrativo e illecito penale, da me inutilmente contrastato a suo tempo, come responsabile delle politiche familiari del Governo Berlusconi”. E ancora: “Non scrivere libri dei sogni, ma trovare subito le risorse finanziarie per ampliare i Centri di prima accoglienza e rendere agibili e vivibili i CIE, sia dal punto di vista di un dignitoso trattamento degli ospiti che da quello della effettivita' delle espulsioni, uscendo dalla logica perversa del risparmio, introdotta dal Governo Monti, che costringe poi a spendere milioni di Euro per chiudere e ristrutturare gli ambienti distrutti dalle rivolte”. “Impostare una legge navale che consenta di avere mezzi per pattugliate efficacemente le nostre coste, sia in funzione di sicurezza che di interventi umanitari, con un maggior immediato coordinamento della Marina, Guardia Costiera e mezzi navali delle varie forze di Polizia impegnate in quel Teatro”, conclude Giovanardi.

    “E' una vergogna che l'Unione Europea abbia lasciato così a lungo l'Italia da sola ad affrontare il flusso di migranti dall'Africa”. Lo ha detto il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, in un'intervista al quotidiano tedesco 'Bild'. Per Schulz ogni Paese membro della Ue dovrà accogliere in futuro un maggior numero di migranti. “Questo significa – ha sottolineato – che anche la Germania dovrà accogliere un maggior numero di persone”.

    “Mercoledì sarò a Lampedusa per ribadire la solidarietà dell'Unione europea e per vedere” la situazione. “Andrò a dire che bisogna fare di più a livello europeo per rispondere a queste situazioni e prevenire simili tragedie”. Lo ha detto José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea.

   

 

LAVORO E DIRITTI

a cura di www.rassegna.it

 

Carceri: i numeri

del sovraffollamento

 

L'Italia ha il coefficiente più alto d'Europa. Secondo i dati dell'associazione Antigone siamo intorno al 170 per cento, ma nelle grandi città si arriva anche al 200 per cento. Dall'inizio dell'anno 121 i morti dietro le sbarre, di cui 39 suicidi

 

"Coloro i quali pongono la questione in questi termini pensano ad una sola cosa, hanno un pensiero fisso e se ne fregano degli altri problemi della gente e del paese". Dopo il messaggio inviato alle Camere sull'emergenza carceri, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si rivolge a chi (parlamentari grillini in testa) monta la polemica sul caso Berlusconi, mentre è lo stesso Cavaliere a precisare che "Napolitano avrebbe potuto parlare prima, adesso è un po' tardi. E poi il Pd farà di tutto per evitare che si applichi anche a me".

    Al di là delle polemiche politiche, però, restano i numeri che riguardano migliaia di persone costrette a vivere in condizioni pietose. Secondo le stime dell'associazione Antigone l'Italia ha il coefficiente di sovraffollamento più alto d'Europa: siamo intorno al 170 per cento, cioè 170 detenuti ogni 100 posti letto, percentuali che schizzano al 200 per cento nelle carceri più grandi (Roma, Milano, Palermo, Napoli).

    I numeri aggiornati al 30 settembre scorso riferiscono che nei 205 istituti di pena italiani ci sono circa 65mila detenuti, ben oltra la capienza massima. Dall'inizio dell'anno ne sono morti 121, di cui 39 per suicidio.

    Intanto la Corte costituzionale esamina oggi (9 ottobre) la questione sollevata da due magistrati di sorveglianza relativa all’ipotesi di rinvio di esecuzione della pena nel caso in cui questa "debba svolgersi in condizione contrarie al senso di umanità". Il problema è stato posto all’attenzione della Consulta con due distinte ordinanze, dai Tribunali di sorveglianza di Venezia e di Milano, secondo cui ci sarebbero dubbi di incostituzionalità dell’articolo 147 del codice penale "nella parte in cui non prevede l’ipotesi di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena quando essa debba svolgersi un condizioni contrarie al senso di umanità".

       

 

Economia

 

Progetti per la ripresa

 

Mobilitare il nostro sistema-paese

sul territorio e a livello internazionale

 

di Mario Lettieri, già Sottosegretario all'economia (governo Prodi)

e Paolo Raimondi, Economista

 

Riteniamo che le prospettive economiche del nostro Paese non si possano misurare con meri dati statistici o peggio con qualche altro indicatore basato magari sulle aspettative degli intervistati.

    Non si tratta di iniziare una diatriba tra ottimisti e pessimisti sul futuro dell’economia nazionale. In passato questi “psicologismi spiccioli” hanno infatti dato spazio solo alla frustrazione e alla rabbia.

    Siamo consapevoli che spesso certe valutazioni negative sulla nostra economia, come quelle delle agenzie di rating, si sono tradotte, purtroppo, in tagli e spesso in cieca politica di bilancio.

    Allo stato non esistono però concreti e solidi elementi per poter salutare l’uscita dalla crisi né a livello globale né a livello europeo e tanto meno a livello nazionale.

    Basti pensare che l’Ocse prevede un alto livello di disoccupazione. Per l’Italia il tasso relativo dovrebbe salire al 12,5% alla fine del 2014!

    E’ davvero difficile quindi immaginare una ripresa economica mentre l’occupazione scende così vistosamente, determinando ovviamente un conseguente generalizzato aumento della povertà.

    In Italia, purtroppo, da tempo manca una seria programmazione con una conseguente puntuale verifica di quanto realizzato. E’ indispensabile indicare percorsi di sviluppo ma anche progetti sul medio e lungo termine e scadenze precise.

    Il Piano Industriale 2013-2015 della Cassa Depositi e Prestiti ci sembra un percorso positivo per avviare interventi di vero sviluppo. Per il triennio si prevedono 95 miliardi di euro a supporto degli investimenti delle Pubbliche amministrazioni e delle imprese nonché per la realizzazione delle infrastrutture.

    Nello specifico, 23 miliardi sarebbero destinati a investimenti pubblici produttivi, in particolare edilizia sociale e scolastica, e anche per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. Altri 9 miliardi sarebbero stanziati per le infrastrutture e le grandi opere, mentre si ipotizza uno specifico fondo per le piccole infrastrutture.

    Importante è lo stanziamento di 48 miliardi non solo per la crescita ma anche per l’internazionalizzazione delle imprese. Dovrebbero poi essere definiti percorsi speciali per il sostegno delle Pmi e delle Reti di impresa.

    Al Mezzogiorno verrebbe destinata per investimenti una quota superiore ai 20 miliardi del passato triennio.

    Ci sembra positivo che la Cdp stia sempre più assumendo un ruolo di attore dello sviluppo. Si penserebbe anche all’emissioni di mini-bond per le Pmi per un accesso facilitato al credito ed eventuali operazioni di project finance con l’estero.

    Complessivamente il contributo previsto del Gruppo Cdp al rilancio dell’economia italiana dovrebbe essere del 6% nel triennio, pari quindi al 2% annuo del Pil.

    Tutto ciò sembra in un certo senso ricalcare l’operatività della Kreditanstalt fuer Wiederaufbau, la banca per la ricostruzione tedesca, che è uno dei veri motori “segreti” del successo economico e industriale della Germania.

    Tuttavia pensiamo che altre sfide per il sistema-paese Italia siano ineludibili.

    Occorre un grande Fondo, almeno di parecchie decine di miliardi di euro, per lo sviluppo delle nuove tecnologie e delle infrastrutture strategiche del futuro capitalizzando il patrimonio immobiliare pubblico.

    In merito ci preme affermare la contrarietà ad una privatizzazione selvaggia giustificata dall’enormità del nostro debito pubblico. Il tasso annuale del debito può calare se, a una politica di contenimento delle spese correnti, si associano scelte efficaci per la crescita della ricchezza prodotta. 

    L’innovazione tecnologica delle nostre imprese potrà loro consentire in modo più incisivo di partecipare a grandi progetti anche a livello continentale. Si pensi all’Eurasia, all’America del Sud e all’Africa: Ciò non solo incrementerebbe l’export ed il ruolo delle singole industrie italiane impegnate nelle joint venture ma ridarebbe al “sistema Italia” un ruolo da protagonista nello scenario geopolitico internazionale.

   

 

Lisbona, Europa

 

Il Portogallo non è in Europa?

 

di Felice Besostri

 

Le elezioni portoghesi del 29 settembre hanno attirato poca attenzione: è vero che erano elezioni amministrative, ma erano un test europeo, il primo in un paese sottoposto alla tutela della trojka da lungo tempo. L’Irlanda e la Spagna hanno votato nel 2011 e la Grecia nel 2012. Era, comunque, la prima prova elettorale dalla presa del potere della coalizione di centro destra (PDS-CDS) due anni fa.. Sembra certo che il Portogallo avrà bisogno di un nuovo piano di aiuti e che dovrà rimandare il suo sbarco sui mercati dell’anno prossimo. Le assicurazioni del Governo che non si tratta di un nuovo aiuto, ma un aggiornamento delle condizioni del primo piano da 78 miliardi di euro non hanno commosso i Bruxelles, che no si è dimostrata aperta alle nuove richieste di Lisbona.

    “Non è certamente un buon segnale chiedere un allentamento sul deficit per il prossimo anno”, ha affermato il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. Il Portogallo ha mancato gli obiettivi di quest’anno. Le elezioni tedesche sono finite, a non c’è ancora una soluzione certa per il Governo: la Große Koalition è l’ipotesi più probabile, ma non una certezza e la Merkel deve continuare a giocare la carta dell’intransigenza.

    C’era molta tattica preelettorale nelle richieste del Governo di allentare gli obiettivi di riduzione del deficit, perché temevano per il risultato delle amministrative. Si consideri che in Portogallo le politiche di austerità imposte dalla Trojka sono state bloccate per tre volte dalla Corte Costituzionale, che ha dichiarato illegittimi i licenziamenti nel pubblico impiego

    I timori si sono puntualmente verificati. Una partecipazione bassa pari al 52,61% per : 4.996.074 votanti su 9.497.037 elettori, i voti bianchi sono 193.357(3,87%) e i nulli 147.151(2,95%).La tendenza alla disaffezione elettorale trova ulteriore conferma.

    Una chiara vittoria socialista, malgrado un -2% in meno rispetto alle precedenti elezioni, nel contesto di un avanzamento complessivo della sinistra e una sconfitta del centro destra al Governo. Il PSP da solo (36,25%) ha più della somma dei due partiti di governo, Socialdemocratici (non lasciatevi ingannare dal nome: sono nel PPE) e Popolari (24,28%). La sinistra, PSP-CDU-BE, con il 49,53% sfiora la maggioranza assoluta: puramente numerica, in quanto dai tempi della rivoluzione dei - garofano socialisti e comunisti sono fortemente contrapposti. In Portogallo ci sono 3 sinistre, quella socialista, quella comunista e quella estrema. Il PCP il partito del fu Alvaro Cunhal, tuttavia, non ha più pretese egemoniche tanto che il successo in queste elezioni è da attribuire alla formazione della Coalizione Democratica Unitaria (Coligação Democrática Unitária) di Comunisti e Verdi. Sulla divisione della sinistra contava il centro destra per conquistare il maggior numero di sindaci: obiettivo fallito, 130 sindaci socialisti e 90 ai partiti governativi, che nelle elezioni del 2009 ne avevano 139 contro i 132 socialisti. Importante la vittoria a Lisbona con - il 50,91 % dei voti( il 44% nel 2009), la lista del Partido Socialista alla Câmara Municipal di Lisbona, guidata da António Costa, - ha eletto 11 dei 17 vereadores (consiglieri). La maggioranza governativa perde il suo feudo di Oporto la seconda città del paese lusitano, la capitale del Nord, ma non a favore dei socialisti, ma di un sindaco indipendente, - come in altri 80 municipi non si può dire arancione, perché è il colore tradizionale dei Socialdemocratici del PDS.

    Rispetto alle elezioni del 2011 PDS, CDS e PP hanno praticamente dimezzato i voti. Non c’è dubbio che si sia trattato di un voto contro la politica di austerità della Trojka. Il leader dei Socialisti, Antonio Josè Seguro ha dichiarato che “ La maggioranza degli elettori ha rifiutato nell’intero paese la politica del Governo”, giudizio condiviso dal Primo Ministro Paulo Coelho, che ha parlato della “peggiore sconfitta” del suo partito. Tuttavia di questa sconfitta non hanno interamente profittato i socialisti, poiché gli elettori si son ricordati che il monocolore socialista si era adeguato alla politica di tagli della spesa pubblica chiesta dall’Europa. - Della cresciuta astensione e di circa il 7% di voti bianchi e/o nulli ha profittato la CDU, l’alleanza di Comunisti e Verdi, che con il loro 11% sono chiaramente la terza forza politica. Non soltanto conservano i loro bastioni, come Setubal e i comuni della cintura metropolitana di Lisbona, ma strappano ai Socialisti Évora, Beja, Grândola, Alcácer do Sal, Alandroal, Cuba, Vila Viçosa, Monforte e Silves, mentre il Blocco di Sinistra, BE, ha perso l’unico municipio, che controllavano, Salvaterra de Magos.

    Gli equilibri politici non cambieranno, il Governo continuerà nella sua politica, perché è necessaria “ per superare la crisi economica e ristabilire la fiducia nella crescita”, richiedendo, però, come detto sopra un rallentamento della riduzione del deficit. I Socialisti e la CDU sono, invece, contrari e le posizioni di forza conquistate nei municipi( la maggioranza di centro destra non controlla più alcuna grande città e - nessuna capitale regionale) sarà uno strumento di opposizione, insieme con la mobilitazione sindacale. Il Portogallo non sarà la Grecia, anche se questo è l’obiettivo della Trojka. Il segnale politico di queste elezioni dovrebbe essere colto, perché il Portogallo è in Europa, come la Germania, anche se con meno abitanti.

 

I risultati nel Portogallo continentale

per le formazioni più importanti sono i seguenti:

 

PSP   36,25%   1.811.053 voti   921 mandati

PPD/PSD   16,69%   834.006 voti   531 mandati

CDU (PCP-PEV)   11,06%   552.556 voti   213 mandati

PPD/PSD.CDS-PP   7,59%   379.140 voti   154 mandati

GRUPO CIDADÃOS   6,90%   344.716 voti   113 mandati

CDS-PP   3,04%   151.882 voti   47 mandati

B.E.   2,42%   120.942 voti   8 mandati

PPD/PSD.CDS-PP.MPT   2,01%  100.437 voti   11 mandati

   

 

Da MondOperaio

http://www.mondoperaio.net/

 

Teologia della liberazione

e Chiesa dei poveri

 

di Gianfranco Sabattini

 

Con l’ascesa al pontificato di Papa Francesco ha ripreso slancio e vigore il dibattito sulla “teologia della liberazione”, una corrente ecclesiale nata dal “matrimonio della Chiesa con i poveri”, come afferma Leonardo Boff, ex frate francescano, teologo e scrittore brasiliano. L’attività pubblica di Boff è sempre stata orientata alla difesa dei poveri, e il suo fermo impegno nella lotta contro l’oppressione dei popoli latino-americani lo ha portato a scontrarsi con le gerarchie vaticane, sino a condurlo nel 1992 ad abbandonare l’ordine dei francescani.

    Per comprendere il significato della riproposizione oggi della teologia della liberazione è utile tener presente il processo attraverso il quale, dopo essere nata ai tempi del Concilio vaticano II (1962-1965), essa è venuta evolvendo, non senza contrasti, all’interno del mondo ecclesiastico.

    Il suo corpo centrale esprime un impegno pastorale della Chiesa coincidente in toto con il significato e la pretesa dell’umanesimo socialista; questo, come l’umanesimo predicato da Cristo, afferma che l’affrancamento dei poveri e degli oppressi dal loro stato di minorità non può essere realizzato se si prescinde dalla comprensione e dalla rimozione delle condizioni che sottendono l’organizzazione del sistema sociale e dalla natura dei prevalenti rapporti materiali esistenti tra tutti i suoi componenti. Se non fosse così, che significato simbolico si dovrebbe assegnare al gesto con cui Cristo, salendo le scale del Tempio, getta a terra il denaro dei cambiavalute rovesciandone i banchi, se non quello di aver voluto con quel gesto reagire ai prevalenti rapporti materiali di un sistema sociale che, per via della sua natura, consentiva che gran parte della popolazione del suo tempo fosse conservata nell’indigenza, nella povertà e nella sofferenza?

    Boff, in La Chiesa dei poveri, racconta che alla fine del 1965 quaranta vescovi di tutto il mondo, ispirandosi a Papa Giovanni XXIII, si sono riuniti nelle catacombe di Santa Domitilla, fuori Roma: questo è stato l’antefatto che ha determinato nel 1968, in occasione della Conferenza episcopale latino-amaricana tenutasi a Madellin, l’ “irruzione” nella coscienza ecclesiale della centralità dei poveri e degli oppressi e l’urgenza di un impegno pastorale da parte della Chiesa per la loro liberazione. Da questa presa di coscienza ecclesiale, afferma Boff, è nata la teologia della liberazione; per mezzo delle sue pratiche, “nei sindacati, nei partiti politici di indirizzo popolare, nelle comunità cristiane, nei movimenti di resistenza e fino allo scontro con le forze di controllo e di repressione del regime allora dominante in America Latina”, i movimenti popolari di protesta e di resistenza si sono imposti come nuovi protagonisti e come nuovi attori sociali.

   Negli anni Settanta la teologia della liberazione ha orientato il proprio impegno verso il “povero e l’oppresso materiale, sociale e politico”; la loro liberazione doveva passare per le “liberazioni storico-sociali”, senza le quali non sarebbe stato possibile riscattarli dal loro stato di alienazione. Negli anni Ottanta l’impegno è stato orientato verso la comprensione della condizione del povero e dell’oppresso culturale, riflettendo non solo sulle condizioni materiali, sociali e politiche dei poveri e degli oppressi, ma anche sulla cultura che sottendeva il perpetuarsi della loro condizione di alienazione. Negli anni Novanta, infine, la teologia della liberazione ha allargato il paradigma della sua riflessione teologale e della sua azione pastorale, considerando i pericoli derivanti a tutta l’umanità dalla crisi ecologica, nella consapevolezza che la Terra non era più in grado di sopportare la dilapidazione delle sue risorse: non esistendo più un’arca di Noè utile per trarre in salvo alcuni, abbandonando gli altri al loro destino, era necessario un impegno dei cristiani e con loro di tutti gli uomini di buona volontà per una liberazione integrale della Terra.

    Il peso della teologia delle liberazione, afferma Boff, si è fatto sentire durante il suo sviluppo, per cui la crescente espansione nella coscienza ecclesiale all’interno dell’apparato centrale della Chiesa non ha tardato a richiamare l’attenzione su due possibili pericoli: la riduzione della fede alla politica e l’uso acritico dell’analisi del marxismo nella cura delle condizioni esistenziali dell’uomo. Ne è prova il fatto che negli anni Ottanta l’allora cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, non ha condannato la teologia della liberazione, ma quelle sue deviazioni che avevano perso di vista il soprannaturale per divenire solo una sovrastruttura di un progetto marxista.

    Per molti ecclesiastici conservatori – incluso il cardinale Gerhard Müller, attualmente al vertice dell’ex Sant’Uffizio – Ratzinger, con la sua condanna degli anni Ottanta, ha preparato la strada a una vera teologia della liberazione, legata alla dottrina sociale della Chiesa, che oggi con l’ascesa al pontificato di Papa Francesco è pronta a levare la propria voce.

    Una delle prime dichiarazioni di Papa Francesco, infatti, è stata quella di volere “una Chiesa povera per i poveri”, memore del fatto che nella sua formazione spirituale da gesuita aveva avuto, e continua ad avere, una parte importante la “teologia del popolo argentina”. I conservatori, annidati all’interno dell’Opus Dei, avrebbero voluto che la teologia del popolo, pur schierata dalla parte dei poveri e degli oppressi, si caratterizzasse per il non uso dell’analisi marxista dei problemi sociali e per l’uso, in sua vece, di un’analisi che privilegiasse i problemi storico-culturali: come dire sì alla cura dello stato dei poveri e degli oppressi, ma senza alcuna attenzione all’origine sociale e politica della povertà e dell’oppressione.

    Le preoccupazioni degli ecclesiastici conservatori sembrano destinate a non avere alcun peso sul futuro del movimento: tanto che Papa Francesco ha ricevuto in udienza privata Gustavo Gutiérrez, teologo domenicano peruviano, uno dei cofondatori della teologia della liberazione e autore di un recente libro dal titolo che non ammette fraintendimenti: Dalla parte dei poveri. Teologia delle liberazione, teologia della Chiesa. La vicinanza di Papa Francesco a Gutiérrez vale a dimostrare che anche la teologia del popolo argentina è lontana dall’idea che la dimensione sociale e politica dell’azione pastorale della Chiesa possa fare correre il rischio che si perda di vista il rapporto tra uomo e Dio. Anzi, per la Chiesa universale e per tutti i suoi credenti, questo rapporto potrà costituire realmente il fondamento del riscatto dalla povertà e dall’oppressione dell’uomo solo se tale riscatto sarà realizzato non attraverso un atto caritatevole, ma attraverso la rimozione delle cause sociali e politiche della povertà e dell’oppressione. Ma per rimuovere tali cause occorre conoscerle, e la loro conoscenza è strumentale al conseguimento delle finalità di tutte le forme di umanesimo socialista, tra cui quella dell’umanesimo marxiano, tradito dai suoi rudi interpreti, e quella dell’umanesimo cristiano. Accedendo a questa prospettiva diventa possibile, come afferma padre Gutiérrez, sfatare l’ironica battuta dell’arcivescovo brasiliano Hélder Câmara: se si dà un pane a una persona affamata, si dice che si è santi; mentre, se si chiede perché una persona ha fame, si dice che si è comunisti.

    In chiusura, viene fatto di osservare che nel mondo del cristianesimo, come in quello secolarizzato dell’economia e per certi persi della società secolarizzata tutta, i tedeschi sembrano compiacersi d’essere i leader del conservatorismo, sotto le mentite spoglie dei “cani da guardia” della tradizione. Che sia solo un caso?

   

 

Da CRITICA LIBERALE

riceviamo e volentieri pubblichiamo

 

Tre primi passi

 

Brevissima a papa Francesco

 

“La Chiesa si spogli delle sue ricchezze”. Così pare che Ella voglia dire, nel Suo prossimo discorso, che terrà nella città del frate dal quale ha voluto prendere il nome per il Suo pontificato.

    Detta in questi termini, appare un’affermazione semplice, perfino condivisibile; ma non è esattamente così. Quali sono infatti, le ricchezze della Chiesa? Ci si riferisce alla liquidità dello IOR o anche a tutti i capolavori dell’arte e della cultura che appartengono alla Curia o alle sue infinite emanazioni territoriali? Alle ostentazioni della Curia stessa o anche ai malcelati supporti imprenditoriali dell’ecclesia, siano essi editoriali, ricettivi o di refezione?

    Noi impenitenti laici problemisti e critici diffidiamo delle affermazioni di larghissima massima e non riteniamo che una Chiesa debba necessariamente spogliarsi di tutto. Ci accontentiamo di molto di meno.

    Guardando al nostro cortiletto di casa, a quell’Italia che pure, lo riconoscerà, la Chiesa ha condizionato politicamente per secoli, ci accontenteremmo di due o tre decisioni di puro buonsenso e di impeccabile stile, che ci pare possano essere nelle Sue corde.

    Non le chiediamo ora di disdettare unilateralmente il Concordato, rinunciando di punto in bianco ai tanti privilegi che concede alla Chiesa Cattolica con i denari dei contribuenti, anche di quelli laici, dei fedeli di altre religioni, di quegli “anticlericali” tra i quali sorprendentemente, ma correttamente (non era forse anticlericale Gesù quando si scagliava contro i “sepolcri imbiancati”?), ha ritenuto di potersi, a tratti, annoverare.

    Chiediamo tre piccoli primi passi, per favorire un inizio di percorso comune tra credenti e non credenti che vada oltre le parole.

    Rinunci a tutti gli introiti che alla Chiesa, a corretti termini di legge, ma contro ogni logica, provengono dal sistema dell’8 per mille attraverso il cosiddetto “inoptato”, ovvero come pura regalia dello Stato da un monte finanziario che nessun cittadino ha espressamente deciso di versare alla Sua Chiesa. Limiti la Chiesa Cattolica a ricevere il frutto delle sole opzioni espresse dei contribuenti.

    Chieda di scomputare dai versamenti annuali dello stato alla Chiesa un importo pari alle retribuzioni degli insegnanti di Religione nelle scuole di Stato, se proprio non vuole, per ragioni pastorali, portare coerentemente alle sue conseguenze la Sua recente affermazione contro il “proselitismo”. Chieda altresì di scomputare da quegli stessi versamenti le retribuzioni dei cappellani militari, recentemente parificati ai diversi gradi della carriera dei combattenti, con ulteriore crescita dell’onere per l’Erario.

    Promuova Ella sua sponte un censimento delle attività economicamente profittevoli di enti e istituzioni ecclesiastiche e dia una direttiva inderogabile in ordine al pagamento, su di esse, di ogni tassa e contributo, da quelle sugli immobili a quelle sul lavoro.

    Non chiediamo nulla che non sia rettamente accettabile in termini di puro buon senso, senza rimettere in discussione fondamenti del rapporto tra Stato e Chiesa che pure noi, da sempre, riteniamo revocabili in dubbio, Concordato innanzitutto (ma chissà che un giorno non se ne possa laicamente discutere, con un Papa che mostra aperture non trascurabili al concetto di laicità).

    Chiediamo questo in maniera non provocatoria e senza secondi fini. Nell’auspicio di un confronto che non sia solo dialogico ma rimetta nei termini corretti delle responsabilità reciproche il rapporto tra laici e cattolici in Italia.

Critica liberale

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DA ITALIALAICA

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Hans Küng sul fine vita

 

Hans Küng, uno tra i più famosi teologi contemporanei – noto soprattutto per le idee progressiste e di rottura rispetto alla tradizione cattolica cui appartiene – si esprime a favore dell’autodeterminazione sul fine vita: "Nessuno dovrebbe essere obbligato a tollerare delle sofferenze insopportabili come se fossero inviate da Dio”.

 

Lo studioso svizzero, nato nel 1928, è da tempo affetto dal morbo di Parkinson e nel suo ultimo libro Erlebte Menschlichkeit (“Umanità vissuta”, volume di memorie pubblicato in lingua tedesca la scorsa settimana) esprime il proprio parere favorevole all’autodeterminazione sul fine vita.

    "Nessuno dovrebbe essere obbligato a tollerare delle sofferenze insopportabili come se fossero inviate da Dio” scrive il professore di teologia a Tubinga. “Ognuno ha il diritto di decidere per se stesso e nessun prete, dottore o giudice può impedirlo”.

    Per Küng, dunque, l’eutanasia non sarebbe una forma di omicidio, quanto piuttosto una “restituzione della vita nelle mani del Creatore”, una scelta compatibile con la fede in Dio e la vita eterna promessa da Gesù.

    Una posizione che però si scontra con la netta contrarietà al suicidio assistito della dottrina vaticana. Küng ha sempre avuto posizione progressiste, nel 1979 dopo che mise in dubbio la dottrina dell'infallibilità papale il Vaticano gli revocò la licenza all'insegnamento. Ma lui, convinto delle sue tesi, ignorò ogni pressione a ritrattare.

 

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Da vivalascuola riceviamo

e volentieri pubblichiamo

 

Precariato nuova schiavitù

 

di Giorgio Morale

 

vivalascuola questa settimana è dedicata al tema della precarietà:

 

http://lapoesiaelospirito.wordpress.com/2013/09/30/vivalascuola-148/

 

L’istruzione richiede continuità, cura e perseveranza. Anche il governo dell’istruzione. La precarietà invece è una situazione tipica della scuola italiana, che non riesce a essere una scuola “normale“, così come l’Italia non riesce a essere un Paese “normale“: insomma, Italia precaria, scuola precaria.

    In questa puntata di vivalascuola Carlo Seravalli legge i numeri annunciati dal ddl L’istruzione riparte: anche se il ddl cadesse col governo, vale la pena analizzarlo perché è indice di una politica che crea precarietà; Emanuele Rainone riflette sulla condizione dell’insegnante precario; Marina Boscaino presenta la precarietà come la nuova schiavitù. Completano la puntata le notizie della settimana scolastica.

   

 

Lutto

 

Aldo Rosselli (1934-2013)

 

 

Ha portato con onore il cognome dei Rosselli

testimoniando nella sua vita i valori

di Giustizia e di Libertà

 

E’ con profonda commozione che vi annunciamo la scomparsa, avvenuta a Roma lo scorso mercoledì 2 ottobre, di Aldo Rosselli, giornalista e scrittore figlio di Nello e nipote di Carlo Rosselli. La Fondazione Circolo Fratelli Rosselli esprime la sua vicinanza ai figli Monica e Giacomo, ai fratelli Alberto, Silvia e Paola e a tutti i familiari. - Fondazione Circolo Fratelli Rosselli

 

Associandoci al cordoglio per la scomparsa di Aldo Rosselli, riportiamo

il ricordo di lui scritto da Elèna Mortara Di Veroli e apparso

sul portale dell’ebraismo italiano moked

 

Il 2 ottobre, dopo lunghi anni di malattia sopportata con coraggio, è morto a Roma lo scrittore Aldo Rosselli, intellettuale sensibile e raffinato la cui opera di narrativa e acuta riflessione critica meriterà di essere studiata e inserita nella storia della letteratura italiana più di quanto non sia avvenuto finora.

    Nato a Firenze nel dicembre 1934, era figlio di Nello Rosselli, lo storico del Risorgimento, antifascista, assassinato in Francia insieme al fratello Carlo da sicari del fascismo italiano nel 1937. La nonna paterna Amelia Pincherle Rosselli, lei stessa scrittrice e madre amatissima di ben tre figli morti “per la patria” (il maggiore, Aldo, era caduto volontario nella I Guerra Mondiale, e di lui il nostro portava il nome), fu influenza fondamentale e figura di riferimento per tutta la famiglia anche negli anni a seguire, durante il lungo esilio dapprima in Svizzera e Inghilterra e poi negli Stati Uniti, e infine nel ritorno in Italia nel dopoguerra.

    Nel 1956, a poco più di vent’anni, Aldo fu socio fondatore insieme all’amico Roberto Lerici della rinnovata casa editrice Lerici, che fino ad allora si era occupata di opere scientifiche, e che i due amici trasformarono in casa editrice letteraria, aperta alle letterature del mondo.

    Grazie alla sua sensibilità di lettore e ai suoi contatti americani, nella sua veste di editore il giovane Rosselli diede un contributo di straordinaria importanza alla conoscenza italiana di grandi scrittori quali Henry Roth e Isaac Bashevis Singer, che fu appunto la Lerici a pubblicare per la prima volta in Italia all’inizio degli anni sessanta: “Satana a Goray” di Singer uscì da Lerici nel 1960, “Chiamalo sonno” di Henry Roth nel 1964. I molti ammiratori di questi scrittori, tra cui chi scrive questa nota di addio, non possono che essere grati alle edizioni Lerici e ad Aldo Rosselli per questa opera pionieristica, finora poco a lui riconosciuta.

    Nel breve arco di vita della rifondata casa editrice, 1956-1967, molte altre furono le voci importanti a cui la Lerici diede ospitalità per la prima volta in Italia: basti pensare tra gli scrittori di lingua italiana a Edith Bruck (come noto di origine ungherese, i cui primi due romanzi uscirono appunto da Lerici) e a Dacia Maraini, e tra gli stranieri a Roland Barthes, Witold Gombrowicz, Norman Mailer, per citarne solo alcuni.

    Negli anni sessanta, con il graduale esaurirsi dell’attività editoriale, aveva inizio la produzione narrativa (e talvolta anche saggistica) di Aldo Rosselli scrittore, a partire dal romanzo “Il megalomane” (Vallecchi, 1964), seguito da “Ottoz” (1968), “Professione: mitomane” (Vallecchi 1971), “Episodi di guerriglia urbana” (Marsilio,1972), “La trasformazione” (Coop. Scrittori, 1977); “Psichiatria e antipsichiatria nel sud” (Lerici, 1978); “Zefiro” (Rizzoli, 1982); “La famiglia Rosselli” (Bompiani, 1983), “Una limousine blu notte e altri racconti” (Belforte, 1984), “A cena con Lukacs” (Theoria, 1986), “Il naufragio dell’Andrea Doria” (Bompiani,1987), “L’apparizione di Elsie” (Theoria, 1989), “Una favola a metà” (Giunti, 1994), “La mia America e la tua” (Theoria, 1995), “Dalla parte opposta della strada” (Empirìa, 1995), “Prove tecniche di follia” (Empirìa, 2000); “Boston, l’Aventino” (Empirìa, 2007): non soltanto romanzi, ma anche racconti lunghi e saggi-racconti, spesso segnati da una straziante ispirazione autobiografica, sovente narrazioni di nevrosi individuali, di coppia e collettive, che, come detto, meriteranno una lettura più attenta da parte della critica; così come la meriteranno le sue generose battaglie civili e iniziative culturali, inclusa quella più tarda di fondazione del quadrimestrale di cultura “Inchiostri”.

    E’ noto il ruolo storico di Nello Rosselli, padre di Aldo, nel dibattito giovanile ebraico-italiano degli anni venti del Novecento. Il sentimento ebraico fu molto forte anche in Aldo, seppur spesso nascosto nelle pieghe della scrittura. Per chi voglia seguirne alcune espressioni, segnalo in particolare due testi: innanzitutto, nella bella raccolta “Una limousine blu notte”, il saggio-racconto di riflessione autobiografica sulla propria scrittura “Abitare questi anni”, in cui lo scrittore ha confessato in modo struggente i problemi posti ad un narratore ebreo italiano dall’assenza di una lingua dell’ebraicità analoga allo yiddish degli scrittori ebrei americani, in cui manifestare linguisticamente il proprio rapporto con il proprio ebraismo interiore; e, nel più recente volume “Boston, l’Aventino”, il racconto “L’anno 1938 del Professor Zabban”, storia del viaggio di ritorno di un giovane ebreo da Parigi alla città natale di Firenze, nell’anno delle Leggi Razziali anti-ebraiche emanate dal fascismo e dell’inizio delle persecuzioni.

    Venerdì mattina, nel cimitero ebraico del Verano di Roma, si sono svolti i funerali di Aldo Rosselli. Il feretro è stato deposto nella tomba di famiglia, ove riposa anche la nonna Amelia, e dove Aldo desiderava poter giacere nel suo ultimo sonno. La tomba si trova all’ombra di un maestoso cedro del Libano, circondata da fitta vegetazione, ed è sovrastata da una grande pietra nera dalla forma selvaggia in cui sono incisi altri nomi di famiglia. All’ultimo saluto erano presenti tutti i fratelli, Paola, Silvia e Alberto, due dei tre figli, Giacomo e Monica, la prima moglie Emilia Noventa, rappresentanti dei Circoli Fratelli Rosselli di Firenze e Torino, il critico Renato Minore, insieme ad altre persone di famiglia ed amici: in tutto una trentina di persone. Alcune parole in ricordo sono state pronunciate da alcuni, all’ombra del grande cedro in una limpida giornata di sole.

    Chi ha conosciuto Aldo Rosselli difficilmente potrà dimenticarne il lieve sorriso (“in quei sorrisi tenui”, ha scritto anni fa Igor Patruno, “brucia la complicità dell’adolescente con le tasche piene di disobbedienze e ‘giuste’ riserve mentali”), l’arguzia della conversazione, la dolcezza dei modi, la libertà di pensiero, il sostanziale anticonformismo, l’autoironia e l’intelligenza, e il modo in cui questi tratti e i traumi sottostanti si sono travasati nella scrittura e nell’azione culturale di colui che è stato felicemente definito (dal sociologo Carlo Bordoni) “uno scopritore perfido delle pieghe ambigue della realtà, e della mente umana” e un coraggioso “profanatore dei luoghi comuni”.

    Nel commemorare la morte dello scrittore, la Fondazione Circolo Fratelli Rosselli di Firenze ha scritto che questi “ha portato con onore il cognome dei Rosselli testimoniando nella sua vita i valori di Giustizia e di Libertà”. Pur senza enfasi, che mal si addice allo stile di questo uomo raffinato e gentile, questo giudizio può essere serenamente sottoscritto.

 

Elèna Mortara Di Veroli

   

 

L'AVVENIRE DEI LAVORATORI

EDITRICE SOCIALISTA FONDATA NEL 1897

Casella postale 8965 - CH 8036 Zurigo

 

Direttore: Andrea Ermano

Amministratore: Sandro Simonitto

Web: Maurizio Montana

 

L'editrice de L'Avvenire dei lavoratori si regge sull'autofinanziamento. E' parte della Società Cooperativa Italiana Zurigo, storico istituto che dal 18 marzo 1905 opera in emigrazione senza fini di lucro e che nel triennio 1941-1944 fu sede del "Centro estero socialista".

    L'ADL è un'editrice di emigranti fondata nel 1897 dalla federazione estera del Partito Socialista Italiano e dall'Unione Sindacale Svizzera.

    Nato come organo di stampa per le nascenti organizzazioni operaie all'estero, L'ADL ha preso parte durante la Prima guerra mondiale al movimento pacifista di Zimmerwald; ha ospitato (in co-edizione) L'Avanti! clandestino durante il ventennio fascista; ha garantito durante la Seconda guerra mondiale la stampa e la distribuzione, spesso rischiosa, dei materiali elaborati dal Centro estero socialista di Zurigo.

    Nel secondo Dopoguerra L'ADL ha condotto una lunga battaglia per l'integrazione dei migranti, contro la xenofobia e per la dignità della persona umana, di chiunque, ovunque.

    Dal 1996, in controtendenza rispetto all'eclissi della sinistra italiana, siamo impegnati a dare il nostro contributo nella salvaguardia di un patrimonio ideale che appartiene a tutti.

   

 

 

Allegato Rimosso
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