[Resistenza] Ai delegati che parteciperanno all’assemblea nazionale FIOM del 10 e 11 gennaio





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Direzione Nazionale


Milano, 05.01.2013
 
Ai delegati che parteciperanno all’assemblea nazionale FIOM del 10 e 11 gennaio
Agli operai metalmeccanici mobilitati per il rinnovo del CCNL e contro l’Accordo sulla Produttività
               
L'esito della battaglia per il CCNL e contro l’Accordo sulla Produttività è strettamente legato allo sviluppo della lotta per cambiare il paese!
Bisogna organizzarsi e combattere, decisi a vincere e a regolare i conti con Monti e Marchionne, con i loro alleati e complici!
 
Il 5 e 6 dicembre decine di migliaia di operai metalmeccanici hanno scioperato e sono scesi in piazza in tutta Italia contro l’Accordo sulla Produttività sottoscritto da governo, Confindustria (e altre associazioni padronali), CISL, UIL e UGL e l’accordo separato sul CCNL dei metalmeccanici che, il 5 dicembre stesso, Federmeccanica ha siglato con FIM e UILM. La sostanza di entrambi è la stessa: riduzione dei salari, aumento dell’orario e dei ritmi dei lavoro, smantellamento del CCNL e possibilità di diversificare le retribuzione a parità di lavoro e mansione, estensione dei contratti a termine. Insomma far lavorare i lavoratori se, come e quanto serve ai padroni (con anche le videocamere a sorvegliarli!), eliminare ogni diritto dei lavoratori, spezzare la solidarietà di classe e indurre ogni lavoratore a regolarsi “ognuno per sé e dio per tutti”, estromettere i sindacati combattivi dalle aziende. E’ il modo in cui il governo Monti e qualsiasi altro governo “responsabile” si occupa di economia reale, di piani industriali, di crescita e i “capitalisti che producono” (e non si danno solo o prevalentemente alla speculazione finanziaria) garantiscono i loro profitti nell’arena della “competizione globale”, è la via che i sindacati complici indicano ai lavoratori per mantenere  il posto di lavoro in attesa che “la crisi passi” (Fabbrica Italia insegna!).
 
Il Comitato Centrale FIOM del 12 dicembre ha denunciato che “l’intesa siglata da Federmeccanica, FIM e UIL è utile solo alle imprese, estende a tutto il settore il modello FIAT ed è frutto di un percorso di “attacco ai diritti e al contratto nazionale (che) è iniziato con l’accordo separato interconfederale del 2009, non firmato dalla CGIL, si è reso esplicito nella vicenda ancora aperta con la Fiat, attraverso i provvedimenti legislativi, prima del governo Berlusconi e poi del governo Monti (art. 8, mercato del lavoro e pensioni, manomissione dell’art. 18) e da ultimo con l’accordo separato, non firmato dalla CGIL, sulla produttività e la competitività”.
Nei comizi del 5 e 6 dicembre Landini ha dichiarato che “la Fiom farà tutto il possibile perché quanto previsto dall'accordo non venga applicato nelle fabbriche e nei territori, metteremo in campo tutte le iniziative sindacali e giuridiche necessarie”. Non ha detto come né quali, ma ha aggiunto che “a Bersani chiediamo di prendere un impegno affinché la democrazia venga portata anche nelle fabbriche con una legge sulla rappresentanza per dare ai lavoratori e alle lavoratrici il diritto di scegliere i propri rappresentanti e di votare sugli accordi che li riguardano”.  Della serie: chi di speranza campa, disperato crepa!
 
Riconquistare il CCNL, far saltare l’Accordo sulla produttività, far fronte con successo all’attacco congiunto di padronato e governo è una guerra: è possibile vincerla, ma bisogna avere una linea per vincere e organizzarsi per vincerla.
Far valere la forza degli operai organizzati anziché affidarsi alla “ragionevolezza” del padronato o alla “comprensione” di un futuro governo. Gli sviluppi della lotta di classe da Pomigliano in poi parlano chiaro: la lotta degli operai per i propri interessi contro il piano Marchionne, le misure del governo e le iniziative dei sindacati complici supportati dalle manovre della Camusso, nelle condizioni attuali può diventare facilmente una lotta più generale perché favorisce e promuove la mobilitazione degli altri settori delle masse popolari. Sulla “ragionevolezza” di Federmeccanica e di Confindustria non occorre spendere troppe parole. Per quanto riguarda il futuro governo, anche ammesso (e non concesso) che sia guidato da Bersani, quello che farà è già scritto: non solo nell’impegno di Bersani a continuare l’agenda Monti, ma soprattutto nell’appoggio sistematico e puntuale del PD all’azione criminale di Monti, nella “opposizione” compiacente alla banda Berlusconi degli anni passati e ancora prima nell’operato del Centro-sinistra tutte le volte che è stato al governo (privatizzazioni, legge Treu, legge Turco-Napolitano, riforme delle pensioni targate Dini e Prodi, smantellamento della scuola pubblica, guerra in Jugoslavia, trasferimento del TFR ai fondi privati, TAV e base dal Molin, ecc.). La cosa importante, ai fini della nostra lotta, è un’altra: anche se “forte” dell’investitura elettorale, qualsiasi governo (di destra o di “sinistra”, tecnico o politico, di larghe intese o monocolore) che agisce in accordo con “gli italiani che contano” e con l’Europa dei banchieri sarà instabile, la crisi che si aggrava “tende la corda” sia nelle relazioni tra Stati sia nei rapporti tra le classi all’interno di ogni paese.
 
 “Le misure imposte dalle istituzioni finanziarie e dalle autorità politiche del sistema imperialista europeo e americano e attuate nel nostro paese in successione dai governi Prodi, Berlusconi e Monti, non pongono fine alla crisi.
- Quelle misure non servono a estinguere i debiti. L’obiettivo non solo è impossibile ma è anche assurdo: cosa farebbero le società finanziarie, le banche, i fondi di investimento, le chiese e i ricchi dei loro capitali se non potessero più investirli in titoli finanziari (i debiti degli uni sono titoli finanziari degli altri)?
Non servono a far ripartire la produzione di beni e servizi, l’economia reale. Tutto quello che le autorità di ogni singolo paese imperialista sanno dire è che bisogna aumentare la competitività delle loro aziende (fare le scarpe agli altri). Spesso questo significa semplicemente ridurre i salari, aumentare i ritmi e gli orari di lavoro, ridurre le imposte e i contributi a carico dei capitalisti, aumentare i contributi pubblici a loro favore, porre ostacoli alla vendita delle merci provenienti da altri paesi (protezionismo). In altri casi promuovono anche innovazioni di processo e di prodotto. Ma restano tre fatti incontrovertibili: 1. non c’è domanda pagante per tutti i prodotti e servizi producibili impiegando tutto o anche solo gran parte del capitale e del proletariato esistenti (già le aziende lavorano a capacità ridotta); 2. al vantaggio di una nazione o di un’azienda corrisponde il danno di un’altra (un naufrago si arrampica sulle spalle di un altro naufrago); 3. aumentare la produzione di beni e servizi indiscriminatamente e nella misura del capitale oggi esistente è insopportabile dal punto di vista dell’inquinamento dell’ambiente, della devastazione del territorio e del saccheggio delle risorse.
Non servono a riassorbire la disoccupazione, perché il capitalista fa lavorare solo se ne ricava del profitto: per lui il salario è un costo e riduce la competitività della sua azienda. (…)
Il capitale “si valorizza” (cresce) tramite l’economia reale oppure (benché con un risvolto diverso) nelle transazioni del mercato finanziario. Stante le dimensioni a cui esso è arrivato, è impossibile ricreare un corso regolare di crescita del capitale né sulla base del mercato finanziario né, ancora meno, sulla base dell’economia reale, quindi in condizioni che implichino la riproduzione dell’umanità (i lavoratori ottengono un reddito principalmente tramite l’economia reale). Il capitale non può più essere la forma del processo di produzione dei beni e servizi di cui l’umanità si serve al livello di civiltà cui è arrivata: detto in altre parole, il capitale non può più essere il sistema di relazioni sociali nel cui contesto gli uomini riproducono se stessi. Da qui la guerra di sterminio non dichiarata che le autorità del sistema imperialista mondiale conducono in tutto il mondo contro le masse popolari. Non c’è alcuna possibilità di ristabilire un corso regolare di valorizzazione” (da La Voce del (n)PCI, n.42- novembre 2012).
 
Riconquistare il CCNL, cancellare l’Accordo sulla Produttività, ripristinare l’art. 18, eliminare l’art. 8 è una questione prima di tutto politica, non sindacale. E’ legato alla lotta per tenere aperte le aziende e far fronte a licenziamenti, disoccupazione e precarietà, per la sicurezza sul lavoro, per impedire lo smantellamento della scuola, della sanità e degli altri servizi pubblici, per l’acqua pubblica, i beni comuni, le energie pulite e rinnovabili, per impedire le grandi opere speculative,  per la trasparenza della pubblica amministrazione contro corruzione e malaffare, per la pace e contro le missioni di guerra, ecc. A loro modo anche i dirigenti della FIOM riconoscono che è una questione politica, che dipende da chi dirige il paese, come e nell’interesse di chi, e infatti Landini dice “chiederemo a Bersani” e Airaudo si candida al Parlamento per SEL. Ma non basta obiettargli che e perché da Bersani & C. non verrà niente di buono per gli operai e neanche dire “No Monti bis” oppure “nessun voto a chi ha sostenuto Monti e agli alleati di chi ha sostenuto Monti”. Occorre un progetto di governo alternativo e lottare con tenacia per costruirlo. Gli operai metalmeccanici riconquisteranno il CCNL se e nella misura in cui lotteranno per costruire un governo di emergenza popolare. Su questa base possono unire gli operai del gruppo FIAT (per cui non vale nessun CCNL) e gli operai di altre categorie al di là delle sigle sindacali (anche della FIM e della UILM: i dirigenti della FIM e della UILM sono tanto sicuri che ai loro iscritti l’accordo sottoscritto con Federmeccanica vada bene che non glielo fanno neanche votare), gli altri lavoratori dipendenti e autonomi, i pensionati, i disoccupati, i precari, degli studenti, i piccoli professionisti, ecc. Questo significa per il sindacato “assumere un compito politico”, non fare la claque a questo o quel partito e coalizione oppure candidare qualche sindacalista o qualche operaio in lista. E’ del governo del paese che devono occuparsi gli operai e le loro organizzazioni sindacali.
Anche se animati dalle migliori intenzioni, oggi i sindacalisti e gli organismi sindacali che si ostinano a mantenere la lotta e l’iniziativa loro e dei lavoratori solo sul terreno sindacale, sono travolti dagli avvenimenti e condannati all’impotenza di fronte alla iniziativa dei capitalisti, della loro autorità e dei sindacati complici. Non basta rivendicare, bisogna lottare per un governo che dia forma e forza di legge alle rivendicazioni e ai progetti dei lavoratori organizzati.
 
E’ legittima ogni forma di lotta, ogni iniziativa, ogni mossa che serve ad allargare, rafforzare e rendere efficace la lotta degli operai e a indebolire l’avversario. Lottare con le “armi” che il tuo nemico ti concede è da suicidi! Gli interessi dei lavoratori e delle masse popolari (del 99%!) vengono prima delle leggi, delle norme e delle riforme che servono a un pugno di padroni, di parassiti, di speculatori e di ricchi. A chi è particolarmente ligio alla legalità, bisogna ricordare che l’operato, le riforme, le leggi e le norme oggi in vigore aggirano o violano  apertamente la Costituzione.  E che quando le norme sono troppo “bolsceviche” (come diceva Berlusconi), i padroni o le fanno cambiare dalle loro autorità oppure non le rispettano: Marchionne docet. Art. 1, 2, 3, 4, art. 39, 41, 43… si fa prima a dire quali sono gli articoli della Costituzione che non sono calpestati o violati. In questa situazione dove sta il rispetto della legalità? In questa situazione le sentenze favorevoli che si riescono a spuntare dai tribunali servono come sì, ma come forma ausiliaria di lotta e se contemporaneamente ci si organizza per farle rispettare, con le buone o con le cattive: o ci dimentichiamo che con il decreto salva Ilva il governo ha annullato le sentenze del Tribunale di Taranto?
 
Alla Same, alla Piaggio, alla FIAT, all’Alcoa, alla Jabil, alla Marcegaglia, alla Fincantieri, all’ILVA  e in altre fabbriche grandi e piccole ci sono operai e i delegati FIOM (aderenti o meno alla Rete 28 Aprile) incazzati con Landini per la gestione al ribasso (a dire poco!) della lotta contro la riforma Fornero (art. 18), per il voltafaccia sull’accordo del 28 giugno 2011 (che vuol dire ha aperto la strada alla legalizzazione dei contratti in deroga recepita nell’art. 8 della manovra Sacconi… contro il quale la FIOM ha promosso un referendum!) e i cedimenti alla Camusso, per le ritorsioni contro i delegati e i funzionari “dissidenti” (di motivi ne hanno tanti). Convinti che “aspettare e sperare in Bersani e soci” non porta da nessuna parte se non alla disfatta e che vogliono una lotta decisa e intransigente contro padronato e governo. Più  meno coscienti, quelli con la bandiera rossa nel cuore, che dalla crisi del capitalismo non si esce con aggiustamenti e toppe, ma mettendo fine al capitalismo e instaurando il socialismo.
All’assemblea dei 500 delegati e delegate FIOM che si terrà il 10 e 11 gennaio possono andarci “contro”: a criticare Landini, denunciare le connivenze della Camusso, la complicità di CISL e UIL, l’arroganza del padronato e del governo, ecc. Oppure “per”: a indicare “che fare” (per riconquistare il CCNL e l’art. 18, mandare all’aria l’Accordo sulla produttività, fermare lo smantellamento dell’apparato produttivo, ecc.). A indicare le iniziative da prendere per  accrescere le proprie forze e indebolire l’avversario. A organizzare quelli che sono disposti a combattere perché si coordinino tra loro ed “escano dalla fabbrica”: svolgano direttamente e in maniera autonoma dai sindacalisti di regime un’azione di orientamento, mobilitazione e direzione su altri operai e lavoratori, su altri settori delle masse popolari, sulle amministrazioni locali, sulle principali questioni locali e nazionali. Farà la differenza!
 
“Gli operai non possono farcela da soli”, scrive Loris Campetti  (vedi iMec n. 4, 11.12.12). E’ disfattismo! La classe operaia non solo esiste ancora, ma ha anche un ruolo sociale decisivo. Gli operai metalmeccanici sono il nucleo più organizzato della classe operaia, e la classe operaia quando si mobilita e lotta non è mai sola, ma trascina con sé anche il resto dei lavoratori e delle masse popolari. Lo abbiamo visto di recente: la resistenza degli operai di Pomigliano al piano Marchionne ha dato il via al movimento che ha riguardato larga parte delle masse popolari del nostro paese e ha portato al licenziamento del governo Berlusconi; la mobilitazione operaia contro la riforma Fornero (attraverso la filiera FIOM-CGIL-PD) ha costretto a una battuta d’arresto il governo Monti e lo ha fatto traballare. Lo abbiamo visto durante la prima ondata della rivoluzione proletaria: dalla Russia fino alla Cina e, in Italia, nel Biennio rosso, nella Resistenza antifascista e nelle lotte degli anni 60 e 70.
 
Per non subire l’iniziativa dei padroni bisogna passare all’attacco, non ci sono vie di mezzo!
Se non si avanza si indietreggia, fermi non si resta!
Lo scontro in atto nel paese non è sindacale o contrattuale ma politico!
La rivendicazione e la lotta sindacale devono diventare componenti della lotta per creare un nuovo assetto politico!
Al centro della lotta alla FIAT come all’ILVA, sull’art.18 come per il CCNL c’è il governo del paese!
Unire le forze, tenere in mano l’iniziativa, passare dalla difesa all’attacco!
Mettersi alla testa del movimento delle organizzazioni operaie e popolari per costruire un loro governo di emergenza, il Governo di Blocco Popolare!
Organizzarsi per vincere!
I padroni senza gli operai non possono fare niente, gli operai senza i padroni possono fare tutto e meglio!

 “La soluzione della crisi attuale implica uno sconvolgimento generale del sistema di relazioni all’interno di ogni paese e a livello internazionale per creare  l’assetto di potere politico che
- all’azienda creata e gestita dal capitalista per aumentare il suo capitale, sostituisce l’unità produttiva costruita e gestita dai lavoratori organizzati che produce i beni e i servizi che i lavoratori organizzati riconoscono come necessari alla vita dignitosa della popolazione, al livello di civiltà che l’umanità ha oggi raggiunto
- al sistema di relazioni internazionali basato sulla concorrenza e la competizione tra paesi e gruppi industriali e finanziari, che inevitabilmente prima o poi sfocia nella guerra, sostituisce un sistema di relazioni internazionali basato sulla solidarietà, sulla collaborazione e sullo scambio tra paesi.
La soluzione della crisi attuale è l’instaurazione del socialismo e l’avvio della transizione al comunismo (dalle Tesi approvate dal III Congresso del P.CARC).  [scarica in pdf]

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RESISTENZA

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