[Resistenza] Tutti assolti perché il fatto non sussiste!




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Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC)
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Direzione Nazionale



Milano 19.10.12


Tutti assolti perché il fatto non sussiste! Il 17.10.2012 la Corte d’Assise di Bologna ha messo la parola fine al procedimento giudiziario per associazione sovversiva con finalità di terrorismo (art. 270 bis) aperto nove anni fa contro il (n)PCI, il P.CARC e l’ASP dal sostituto procuratore di Bologna Paolo Giovagnoli (ora Procuratore Capo a Rimini): tutti i compagni sono stati “assolti perché il fatto non sussiste”!
 
Il resoconto di quanto avvenuto in aula è sommario, perché i compagni non si sono presentati (leggi il comunicato del 12.10). Respinte le eccezioni preliminari e anche i testi citati dagli avvocati dei compagni, la Corte ha accolto solo un unico testimone (indicato dall’accusa), il vice sovrintendente della DIGOS di Modena Alberto Sola, autore dell’informativa che costituiva la base portante (!?) del procedimento giudiziario. Il solerte Sola ha esordito blaterando di armi, di fondi economici raccolti illegalmente, di documenti falsi, di struttura occulta, di piani eversivi, ecc. Il PM Gustapane a più riprese gli ha domandato se l’attività investigativa svolta aveva portato ad acquisire delle prove di quanto affermava e Sola ha costantemente risposto che “no, però…”, “no, ma sembrava che avessero il proposito di…”. Il PM ha concluso l’interrogatorio dicendo che per configurare l’art. 270 bis non bastano i sospetti ma occorrono prove di concretezza e attualità dei fatti, affermando che bisogna accettare anche ideologie antagoniste altrimenti vengono annullati i principi democratici e chiedendo alla Corte di ribadire il giudizio di assoluzione per insussistenza di concreti elementi. Alla richiesta si sono associati i nostri avvocati. Dopo essersi ritirata per circa mezz’ora, la Corte d’Assise ha pronunciato la sentenza di assoluzione con formula piena.
 
In piazza (nei pressi della Stazione di Bologna, uno dei luoghi simbolo delle stragi di Stato) abbiamo denunciato che gli unici e veri terroristi nel nostro paese sono Monti, Napolitano, Marchionne, Ratzinger con il codazzo dei loro compari e complici alla Formigoni, Daccò, Zambetti, alla Penati, alla Polverini e Fiorito: le loro armi di distruzioni di massa si chiamano decreti salva e cresci Italia, riforma del mercato del lavoro, debito pubblico e pareggio di bilancio, IMU,  legge di stabilità e tavolo sulla produttività, sono Fabbrica Italia, la libertà d’impresa, lo stillicidio di aziende che chiudono o delocalizzano, i licenziamenti e la precarietà, sono lo IOR, l’8 per mille e l’opera quotidiana di inquinamento morale per indurre le masse popolari a rassegnarsi all’inferno in terra. Quando nel nostro paese instaureremo una giustizia veramente degna di questo nome sarà questa gente a sedere sui banchi degli imputati per essere giudicata da tribunali popolari.
Abbiamo chiamato a partecipare al NO Monti Day del 27 ottobre a Roma per cacciare questo governo illegale e illegittimo di sanguisughe che rapinano le masse popolari, mandano in malora scuola e sanità, devastano il territorio per  soddisfare in ogni modo e ogni costo la brama di soldi di un branco di banchieri, di finanzieri, di speculatori e di ricchi. A firmare i referendum sul lavoro (ripristino dell’art. 18 e l’abolizione dell’art. 8 della Finanziaria Berlusconi) per alimentare la lotta per “un lavoro utile e dignitoso per tutti” perché nel nostro paese c’è un immenso lavoro da fare: oggi ci sono 20 milioni di persone che lavorano, ne servono almeno altrettante per  rimettere in sicurezza il territorio, bonificare le aree inquinate, recuperare e sistemare gli edifici pubblici e privati, far funzionare decentemente i servizi pubblici, per produrre i beni e servizi necessari alla vita delle famiglie, alle aziende e agli usi collettivi, queste sono le grandi opere utili alla collettività e al paese! A organizzarsi, coordinarsi e mobilitarsi per instaurare un governo d’emergenza delle organizzazioni operaie e popolari che lanci un Piano generale del Lavoro, elimini le attività dannose per l’uomo e l’ambiente riconvertendo le aziende, abolisca il debito pubblico (tutelando i piccoli risparmiatori), metta sotto controllo pubblico le banche, nazionalizzi la FIAT e le altre grandi aziende, stringa relazioni di solidarietà, collaborazione e scambio con altri paesi.
Dopo aver festeggiato con canti e slogan la vittoria (guarda intervista al Segretario Nazionale del P.CARC), abbiamo sfilato fino alla Stazione per deporre una corona in memoria delle vittime della strage del 1980: anche per loro lotteremo fino a spezzare il velo di omertà e la complicità che lega tra loro gli esponenti “responsabili” della politica, della finanza, del clero, dell’amministrazione pubblica, delle forze armate e delle polizie, degli affari (i vertici della Repubblica Pontificia) e  fare finalmente verità e giustizia!
 
Una vittoria per tutto il movimento comunista, per il movimento di resistenza popolare e per i sinceri democratici del nostro paese, una botta per la destra reazionaria ed eversiva. Non è una sparata né lo diciamo per presunzione. Questa sentenza manda all’aria il tentativo di mettere fuori legge come organizzazioni terroriste il (n)PCI e le organizzazioni della sua carovana: i compagni sotto processo, infatti, non erano accusati di reati specifici, ma di appartenere al (n)PCI e alle organizzazioni come il P. CARC e l’ASP che sostengono e collaborano al suo progetto di fare dell’Italia un nuovo paese socialista. Era un processo apertamente politico: se il tentativo di far condannare come organizzazione terrorista la carovana del (n)PCI fosse andato a segno, avrebbe aperto la strada alla messa fuorilegge per via giudiziaria del comunismo e dei comunisti (per ogni organizzazione comunista ritenuta dalla classe dominante un pericolo per il proprio potere avrebbe potuto scattare l’equazione organizzazione comunista=terrorista=fuorilegge). Come i nostri compagni inquisiti hanno più volte detto nelle loro dichiarazioni in aula, in gioco c’erano le libertà di organizzazione,  opinione, manifestazione e propaganda (le libertà democratiche - o quanto resta di esse - conquistate con la vittoria della Resistenza antifascista) dei comunisti e a partire dai comunisti di chiunque sia o possa diventare centro di organizzazione e mobilitazione delle masse popolari per “non pagare la crisi dei padroni”.
 
Non siamo in grado di dire chi tra i vertici della Repubblica Pontificia abbia dato il via e tirato le fila del progetto, quello che è certo, però, è che Giovagnoli non ha agito di testa sua e in modo isolato. Ha avuto la collaborazione attiva di gente come Francesco Gratteri e Augusta Iannini che insieme a Giovagnoli e ad altri giudici, dirigenti della polizia politica e dei servizi segreti, membri dei governi italiano e francese avevano costituito il “Gruppo bilaterale italo-francese su terrorismo e minacce gravi”. Si è avvalso della complicità della Magistratura francese (nella persona del giudice antiterrorismo Gilbert Thiel) che nel 2003 ha arrestato e tenuto in carcere per un anno e mezzo i compagni Giuseppe Maj e Giuseppe Czeppel. Ha contato su giornalisti prezzolati che hanno contribuito alla campagna di criminalizzazione contro “i terroristi dei CARC e del (n)PCI”. Ha potuto spendere e spandere una marea di soldi pubblici (delle masse popolari) per perquisizioni, intercettazioni, pedinamenti, tentativi di infiltrazione, ecc. E’ stato spalleggiato dal Procuratore Capo di Bologna Enrico Di Nicola quando ha fatto ricorso in Cassazione contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata nel 2008 dal GUP di Bologna Rita Zaccariello e quando ha querelato alcuni dirigenti e membri del P. CARC e dell’ASP per diffamazione nei suoi confronti (per essere stato definito “novello Torquemada” e “giudice dal 270bis facile”). E’ stato appoggiato dalla Procura di Ancona (che ha condannato in primo grado due dei compagni inquisiti per diffamazione) e dalla Corte di Cassazione nella persona del procuratore generale Giovanni Salvi che ha accolto il ricorso da lui presentato (benché Salvi stesso avesse archiviato un’inchiesta contro la carovana del (n)PCI proprio nel 2003, cioè quando Giovagnoli ha aperto il suo procedimento giudiziario).
La sentenza della Corte d’Assise di Bologna è un colpo assestato non solo a Giovagnoli, ma a tutta la destra reazionaria per conto della quale Giovagnoli aveva aperto nel 2003 il procedimento giudiziario per metterci fuorilegge. Non ci illudiamo che metta fine ai progetti eversivi e antidemocratici della destra reazionaria, ma di certo costituisce un ostacolo in più per i prossimi procedimenti giudiziari, indebolisce tutto l’apparato repressivo giudiziario che minaccia e intralcia il movimento di resistenza delle masse popolari.
Forti anche di questa vittoria, affrontiamo a testa alta gli altri processi ancora aperti contro il P.CARC e le altre organizzazioni della carovana del (n)PCI: a Bologna il processo per “Caccia allo sbirro” di cui si terrà il 12 febbraio 2013 l’ultima udienza, ad Ancona quello per diffamazione a Giovagnoli (abbiamo fatto ricorso contro la condanna in primo grado), i vari procedimenti in Toscana per attività antifascista e in Campania per le lotte per conquistare e difendere i posti di lavoro, per attività antifascista e per la partecipazione alle elezioni politiche borghesi.
 
La lotta “su due gambe” e il “processo di rottura” pagano! Sono principalmente la nostra resistenza alla repressione e  la lotta, la mobilitazione e la solidarietà popolare che hanno portato alla sentenza dell’altro giorno. In questi anni per far fronte alla repressione giudiziaria (non solo l’inchiesta di Giovagnoli, ma la persecuzione politica che le Autorità conducono da quasi trent’anni a questa parte contro la nostra area politica) e volgerla a favore della rinascita del movimento comunista, abbiamo messo a punto la linea della lotta su due gambe (iniziative di mobilitazione e solidarietà delle masse popolari e azioni specifiche tra i sinceri democratici) e della trasformazione del processo in un processo di rottura (non collaborare alla messinscena della giustizia neutrale e “uguale per tutti”, ma trasformarsi da accusati in accusatori). Processo di rottura vuol dire che non si tratta principalmente di far capire ai giudici che si stanno sbagliando e che le accuse sono infondate, di dimostrare che siamo innocenti, ma di trasformare i procedimenti giudiziari in un processo alle Autorità che violano le loro stesse leggi e vanno contro gli interessi delle masse popolari legittimi anche se non riconosciuti dalle leggi. Sia quando è evidente la montatura giudiziaria sia quando chi è processato ha effettivamente fatto quello di cui è accusato, quando “ci sono le prove”. Non sono i “reati” veri o inventati il contenuto reale delle inchieste e dei procedimenti giudiziari, ma colpire, isolare, far desistere dalla lotta i comunisti, i rivoluzionari, gli oppositori politici e quanti organizzano e promuovono la resistenza contro le misure di lacrime e sangue dei padroni, dei governi, della comunità internazionale degli speculatori e dei guerrafondai.
Giovagnoli ha cercato di spacciare il carattere clandestino del (n)PCI come sinonimo di terrorismo “dimenticando”  Gladio, P2, servizi deviati e corpi paralleli, il segreto di Stato, militare, commerciale, bancario, industriale, le stragi e gli altri delitti di Stato che costellano con i loro misteri la storia del nostro paese dal dopoguerra a oggi. Non c’è niente di più clandestino delle operazioni, delle attività, delle relazioni e delle decisioni reali degli esponenti della classe dominante, del verminaio che si nasconde dietro la facciata del teatrino della politica: dice nulla la foga con cui Napolitano sta cercando di coprire il contenuto di quattro telefonate tra lui e l’ex ministro Mancino?
E’ in corso una sovversione profonda dell’ordinamento del nostro paese, della sua costituzione materiale prima ancora che della sua Costituzione scritta e ancora, almeno formalmente, in vigore. L’esito del referendum del giugno scorso sull’acqua pubblica e gli altri beni comuni, la volontà espressa con il voto da 27 milioni di persone, non solo non ha ancora avuto attuazione, ma il governo Monti lo sta apertamente violando. In Val di Susa le Autorità e le forze dell’ordine cercano di piegare la “sovranità popolare” agli interessi di un pugno di affaristi e speculatori eretti a “interesse nazionale” ricorrendo alla militarizzazione del territorio, alle cariche, alla criminalizzazione e agli arresti. La Costituzione stabilisce l’autonomia degli enti locali, ma il governo Monti priva Comuni e Regioni dei fondi per i servizi pubblici, vuole legare loro le mani con la Tesoreria Unica e il Patto di Stabilità e ridurli al ruolo di esattori (a partire dall’IMU) per conto del governo centrale. L’intervento militare in Libia è l’ultima in ordine di tempo delle missioni di guerra che (benché ribattezzate “missioni umanitarie”) calpestano e violano il divieto costituzionale di ricorrere alla guerra come strumento per risolvere le controversie internazionali, la riforma della Difesa targata Di Paola istituzionalizza questa situazione di fatto (“le forze armate italiane devono sviluppare capacità di intervento efficace e tempestivo anche a grande distanza dalla madrepatria, devono operare nelle zone di interesse strategico”). Il nuovo ordine introdotto da Marchionne estromette dagli stabilimenti FIAT la FIOM con buona pace della libertà di rappresentanza e organizzazione sindacale formalmente ancora in vigore. Le zone rosse, i divieti e le cariche delle forze dell’ordine fanno carta straccia della libertà di manifestazione, le precettazioni limitano di fatto il diritto di sciopero. A più di 10 anni di distanza,  i mandanti politici della mattanza al G8 di Genova non sono stati neanche inquisiti. I diritti fondamentali delle persone e gli accordi internazionali a tutela dei migranti non sono in vigore nei CIE e nei CARA, nel Canale di Sicilia. Casa Pound, Forza Nuova e le altre organizzazioni di “fascisti del terzo millennio” che sono tornati a insanguinare l’Italia godono di appoggi, coperture e complicità in alto loco, benché il fascismo, oltre che illegittimo, nel nostro paese sia anche illegale. La Costituzione pone il lavoro a fondamento dell’unità della società e del paese, stabilisce il diritto al lavoro e a un salario dignitoso per ogni adulto, ma il nostro paese sta diventando un cimitero di fabbriche, aumentano i disoccupati, i precari, il lavoro nero fino alle nuove forme di schiavitù: il denaro e la ricchezza diventano l’unico fondamento della società, l’unica vera legge. Il diritto al reintegro sul posto di lavoro di chi è licenziato senza giusta causa (art. 18) è un peso insopportabile: l’arbitrio del padrone deve diventare legge ovunque. In una situazione del genere ribellarsi, disobbedire, lottare senza se e senza ma, è non solo legittimo, ma anche la via per instaurare l’unica legalità degna di questo nome, quella che si fonda sugli interessi della maggioranza della popolazione.
 
Rafforzare ed estendere la solidarietà di classe e politica, fare fronte comune contro la repressione. Dalla nostra battaglia e dal suo esito devono tirare una lezione quegli esponenti della sinistra borghese che in questi anni hanno dato credito o hanno addirittura collaborato con poliziotti, questurini e inquisitori a fare terra bruciata intorno ai “terroristi” dei CARC e del (n)PCI. Ma ancora più importante, per noi, è che la nostra battaglia e il suo esito serva a rafforzare ed estendere tra le masse popolari, tra la parte più avanzata di esse, tra quanti hanno la bandiera rossa nel cuore, la solidarietà con chi nel nostro campo è attaccato dalla repressione. Mettere davanti a tutto la stessa appartenenza di classe, lo stare dallo stesso lato della barricata nella lotta contro la crisi dei padroni e del loro sistema: questo è il criterio che ci deve guidare, non se un compagno è “innocente” o meno (e neanche le divergenze ideologiche e politiche). Il codice penale è stato fatto dai padroni per tutelare i loro interessi e tener sottomesse le masse popolari, al codice penale dei padroni dobbiamo contrapporre il principio “è legittimo tutto quello che serve agli interessi delle masse popolari, anche se illegale!”. Il codice penale è dei padroni, per i padroni. La nostra solidarietà non può dipendere da esso. La nostra solidarietà deve dipendere solo dal lato della barricata in cui ci si colloca: per far pagare la crisi alle masse popolari o per farla pagare ai padroni.
 
Sentenza di Bologna e Governo di Blocco Popolare. Spesso alla linea del Governo di Blocco Popolare ci viene obiettato che i vertici della Repubblica Pontificia non ne permetteranno l’instaurazione, che useranno le loro forze dell’ordine, i loro giudici e quanto in loro potere per impedirlo. La sentenza di Bologna conferma invece le possibilità che abbiamo davanti. Il riconoscimento crescente nella stessa borghesia dell’impotenza a far fronte al precipitare della crisi e gli effetti devastanti della crisi, insieme alla nostra iniziativa per la costruzione del Governo di Blocco Popolare, acuiscono la divisione nella borghesia stessa e alimentano divisioni e contraddizioni nella Magistratura, tra le forze dell’ordine, tra i partiti borghesi e il clero, tra i funzionari statali, ecc.
Già adesso anche nella Magistratura accanto ai Giovagnoli e ai Caselli che si prestano attivamente a usare il “braccio violento della legge” contro i comunisti e le masse popolari, ci sono i Gustapane, i Guariniello e le Todisco che hanno delle resistenze a imboccare questa strada, a violare direttamente e personalmente le leggi e la Costituzione. Già adesso anche tra le forze dell’ordine c’è chi non accetta o è insofferente di fronte ai lavori sporchi e ai compiti infami che la borghesia assegna loro (o lo fanno a fatica). Già adesso vi sono esponenti dei partiti borghesi e anche del clero che si schierano contro le politiche del governo Monti e persino a favore delle rivendicazioni e delle mobilitazioni delle masse popolari. Su questi contrasti e su queste divisioni potrà far leva il governo delle organizzazioni popolari per attuare il suo programma, questi contrasti e queste divisioni possiamo e dobbiamo usarli oggi per costruirlo, per alimentare la lotta e rafforzare la fiducia che è possibile oltre che necessario.
 
Più in generale, il compito dei comunisti non è principalmente quello di denunciare la cattiveria del nemico, i suoi piani e le sue trame, gli effetti devastanti che hanno sulle masse popolari, la presa che hanno le sue forze più reazionarie anche tra le masse popolari (ad esempio l’allarme “i fascisti avanzano, le masse popolari li seguono”), ma imparare a vedere e a mostrare le crepe che ci sono nel campo della borghesia, allargarle e usarle ai nostri fini, per combattere con successo fino a vincere. 

Il III Congresso del P.CARC. Il 3 e 4 novembre a Firenze si terrà il III Congresso del P.CARC (guarda il trailer). Adesso l’orgoglio per aver vinto una lunga battaglia si unisce alla determinazione ad avanzare nella lotta per fare dell’Italia un nuovo paese socialista. La carovana del (n)PCI di cui il nostro Partito fa parte non è ancora alla testa di grandi movimenti di massa, non dirige ancora grandi organizzazioni di massa. La lunga persecuzione che le Autorità hanno condotto contro di noi, però, è una delle conferme che siamo sulla strada giusta: come abbiamo scritto alla vigilia del processo di Bologna, “l’unica spiegazione logica di tanta solerte “attenzione” è che una parte autorevole della borghesia ritiene la carovana del (n)PCI un pericolo per il suo potere. Cioè che le analisi, la strategia e il piano da essa proposti siano quelli necessari per far avanzare la lotta della classe operaia e delle masse popolari fino a “completare l’opera che il primo PCI lasciò interrotta: fare dell’Italia un paese socialista e contribuire così alla rivoluzione proletaria mondiale” (dalla Dichiarazione del fondazione del (n)PCI- ottobre 2004)”.
 
Concludiamo ringraziando tutti i compagni, i lavoratori e quanti ci hanno sostenuti in vari modi con la loro solidarietà in questi anni, i partiti e le organizzazioni comuniste di altri paesi che ci sono state vicine moralmente (e in vari casi anche durante le udienze) in nome dell’internazionalismo proletario. Un ringraziamento particolare ai nostri avvocati che hanno contribuito a questa battaglia per difendere le libertà democratiche e sbarrare la strada alla destra reazionaria e ai suoi piani eversivi e antidemocratici. Un ringraziamento ai famigliari dei nostri compagni inquisiti che non ci hanno mai fatto mancare il loro aiuto, il loro incoraggiamento: ci auguriamo con tutto il cuore che questa vittoria accenda (o rafforzi) anche in loro la fiamma della lotta per fare dell’Italia un paese di vera civiltà, progresso e democrazia!
 
Osare sognare, lottare e vincere!
Il comunismo è il nostro futuro!





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