Brescia: giù dalla gru. L’assedio, la trattativa, la deport azione, la dignità



Brescia: giù dalla gru. L’assedio, la trattativa, la deportazione, la dignità

Arun, Sajad, Jimi e Rachid decidono di scendere dalla gru dove erano
saliti dal 30 ottobre. Sono le otto e mezza di lunedì 15 novembre: la
pioggia, impietosa, scroscia da ore.
Le prime parole di Arun sono per gli egiziani deportati quello stesso
giorno: “non abbiamo fatto nulla per loro, abbiamo fallito”. Dignità e
forza nelle parole di un uomo rimasto su quella gru per 17 giorni, mentre
l’assedio si stringeva, sotto la pioggia, al freddo, per 48 ore senza cibo
né acqua.
Ascolta il suo intervento a Radio Onda d’Urto.

Facciamo un passo indietro.
Sabato 13 novembre. L’indiano Kuldip Singh, il primo dei sei immigrati a
scendere dalla gru, processato per direttissima e condannato a sei mesi
perché “clandestino”, inizialmente scomparso, "riemerge" e fa pubblica
abiura, chiedendo agli altri di cessare la protesta. Seduto a fianco del
questore, Singh recita la parte che gli viene richiesta. In cambio avrà il
rinvio dell’espulsione per motivi di “giustizia”. Il ministero
dell’Interno non si accontenta di botte, denunce e deportazioni, vuole
mettere in ginocchio chi resiste perché non sia d’esempio ai tanti
lavoratori immigrati piegati dalla schiavitù legale imposta dal nostro
ordinamento.
Quello stesso giorno il corteo degli antifascisti, giunto sotto la gru,
viene caricato dopo aver cercato di forzare il blocco che impediva il
passaggio di cibo e viveri ai ragazzi sotto assedio.

Brescia, domenica 14 novembre. Si stringe il cerchio intorno ai quattro
sulla gru. La questura prova a fiaccarne la resistenza, alternando
lusinghe e minacce, cercando di prenderli per fame e per sete. Cgil, Cisl,
Curia e IDV costituiscono un tavolo di mediazione per convincerli a
scendere. I quattro accettano di trattare ma ammoniscono “Non portate via
i ragazzi rinchiusi nei Cie altrimenti ci arrabbiamo”. Solo in tarda
serata, dopo lunga trattativa, finisce la tortura: roba da bere e da
mangiare sale sulla gru.

Torino, lunedì 15 novembre. Sei egiziani, rastrellati dalla polizia
durante le cariche dell’8 novembre sotto la gru e poi rinchiusi nel CIE di
corso Brunelleschi a Torino, vengono condotti all’aeroporto di Malpensa e
deportati in Egitto con un volo Egypt Air. Stessa sorte capita a quelli
rinchiusi nel Centro di via Corelli a Milano. Per ore si susseguono false
notizie sulla deportazione degli egiziani, più volte confermata e
smentita. Un gruppo di antirazzisti monitora l’ingresso del CIE di Torino
per l’intera mattinata.

Milano, lunedì 15 novembre. Due attivisti bresciani diretti in prefettura
a Milano per tentare di impedire la deportazione degli egiziani vengono
fermati e condotti in questura. Uno dei due, Mohamed detto “Mimmo”, viene
trattenuto e forse rinchiuso nel CIE: la sua domanda di regolarizzazione è
stata respinta.
Intorno a mezzogiorno antirazzisti ed immigrati protestano davanti al
consolato egiziano, perché il governo di quel paese ha dato il nulla osta
alle deportazioni, dichiarando che gli immigrati in lotta a Brescia erano
“una vergogna ed un disonore per il paese”.

Brescia, lunedì 15 novembre. La trattativa va avanti per l’intera
giornata: i ragazzi non si fidano e, anche se sono stremati, discutono
tutto il giorno. Scendono tra gli applausi della gente del presidio
intorno alle otto e mezza di sera. Accanto a loro non vogliono che gli
avvocati e chi li ha appoggiati in questo lungo novembre. Politici e
mediatori sono tenuti a distanza.
Rachid finisce in osservazione in ospedale perché disidratato: di acqua
lassù non è mai arrivata a sufficienza. In questura Jimi e Arun vengono
identificati e poi rilasciati: per loro si prospetta un permesso per
motivi di “giustizia”. Ancora non sappiamo se la questura rispetterà gli
impegni liberando anche Sajad e Rachid.

Termina così la lunga resistenza sulla gru.
Il governo ha caricato, arrestato, picchiato, deportato i migranti in
lotta e chi li ha sostenuti. Chi si batte per la dignità e la libertà fa
paura. Fa paura lo schiavo che alza la testa, che dice no, che resiste per
se e per tutti.
Non finisce qui: da ogni dove arrivano segnali di lotta.
Non è che l’inizio.

http://senzafrontiere.noblogs.org/