Torino 7 novembre. Piazza Antirazzista



Torino 7 novembre. Piazza Antirazzista

Domenica 7 novembre
piazza Madama Cristina dalle 15 alle 24

Ore 16 passeggiata per il quartiere con samba band
Ore 17,30 assemblea
- contro il razzismo istituzionale e le politiche securitarie
- contro lo sfruttamento dei lavoratori immigrati e italiani
- per la chiusura dei CIE
- contro il contratto di soggiorno
- per la tutela della salute e dell’istruzione per tutti e per tutte
- verso il corteo del 27 novembre
Interverranno, tra gli altri, due avvocati impegnati sul fronte
dell’immigrazione
Poi…
cena con pizze del forno autogestito itinerante e castagnata (+ castagne –
maroni!)
concerto dei Suoni erranti, canti e balli dal sud d’Italia
DJ set con le Elettrosciocchine e Nik Alien
Vino, cibo e quello che ti va di portare
Rete “10luglioantirazzista”, Torino

Scarica l’appello e i volantini in italiano, inglese, arabo:
http://senzafrontiere.noblogs.org/appuntamenti-novembre-2010/

Questa vuole essere la prima di molte piazze.
Di seguito l’appello.
Amina ha lavorato 15 anni presso un anziano non autosufficiente, quando lo
strappo di un tendine provato dalle fatiche di un lavoro che non la
tutela, la rende inabile al suo incarico e ora rischia di perdere il
permesso di soggiorno.
Alì, dopo aver messo in gioco la sua vita attraverso il Sahara e il
Mediterraneo, ottiene un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Il
sistema d'accoglienza di cui dovrebbero beneficiare richiedenti asilo e
rifugiati, trascorsi i sei mesi di validità del permesso, lo ributta in
strada. In Italia da sei anni, Alì non trova casa né lavoro.
Sabri sale sul tetto del CIE di corso Brunelleschi per opporsi alla
deportazione nel suo Paese: la Tunisia. Proprio Tunisia e Algeria hanno da
poco firmato un accordo con l'Italia per il rimpatrio forzato di chi,
poiché senza documenti, si trova rinchiuso nei lager per immigrati della
Penisola.
Queste dinamiche disegnano storie che, pur nella loro unicità, ci appaiono
ossessivamente uguali, risucchiate come sono in un turbinio di identiche
ingiustizie. Ingiustizie subite da chi, costretto ad emigrare, vive una
realtà scandita dalla mancanza di lavoro, dall'incertezza abitativa,
strangolato da una burocrazia che ostacola qualsiasi progetto di vita o lo
prende in giro, come sta succedendo ai molti immigrati turlupinati dalla
“sanatoria badanti e colf” rivelatasi una vera e propria truffa.
Governi di entrambi gli schieramenti hanno promulgato leggi
sull'immigrazione che stabiliscono chi è legale e chi è illegale. Legale è
chi riesce a strappare un contratto di lavoro fino a che quel lavoro dura,
in un mercato avido di mano d'opera a basso costo e sempre più
insofferente ai diritti. Illegali sono, o divengono, tutti gli altri. Gli
immigrati che lavorano in nero, gli immigrati licenziati  dalle aziende in
crisi, i rifugiati ai quali vengono puntualmente rifiutate le domande
d'asilo. Illegali sono i ragazzi cresciuti in questo Paese se, una volta
maggiorenni, non riescono a trovare un lavoro regolare.
Lo stato d’eccezione rappresenta in maniera crescente la regola operante:
nella gestione dei rifiuti come in quella delle calamità naturali, nel
controllo degli ultrà come degli immigrati, nella repressione della
criminalità organizzata come nella realizzazione delle “grandi opere”. La
sospensione del diritto ordinario, che informa la quotidianità del
migrante, si regge sulla produzione di stereotipi razzisti ad opera di
un’assordante propaganda mediatica: perché l’altro sia sempre l’estraneo,
il sospetto, il criminale, e quindi legittimamente escluso da ogni tutela,
la vita appesa a un destino che lo vuole sfruttato nei campi del Sud come
nelle imprese e cooperative del Nord. Perché l'alternativa è la reclusione
nei CIE, l'alternativa è il rimpatrio forzato.
Il “pacchetto sicurezza” ratifica inequivocabilmente la consuetudine a
trattare le questioni sociali in termini di ordine pubblico. La
pervasività del potere securitario e poliziesco è venuta accrescendosi di
pari passo con l'incremento dei movimenti migratori e con la promulgazione
di leggi razziste. Il razzismo di stato diviene uno degli strumenti
attraverso i quali vengono conseguiti obiettivi politici – in particolare
legati al consenso – e perpetrate politiche di sfruttamento selvaggio del
lavoro. D'altronde le imprese necessitano della mano d'opera straniera,
meglio se esclusa da qualsiasi diritto e priva di tutele legali, per
essere competitive nel mercato globale. Il PIL Italiano si basa per il
17,5% sul lavoro nero e va da sé che fare del possesso di un contratto di
lavoro la condizione della legalità o meno dell'immigrato, non è più che
un pretesto per assicurarsene il controllo.
Ultima trovata di questa perversa strategia è un nuovo disegno di legge:
il “permesso di soggiorno a punti”, in vigore a partire da gennaio. Questa
legge istituisce nuove discriminazioni ed esclusioni, non più basate
unicamente sul contratto di lavoro bensì su di un cosiddetto "contratto
d'integrazione" che piegherà il migrante alle speculazioni delle agenzie
di formazione e delle associazioni del privato sociale. Il migrante dovrà
superare dei test di lingua italiana, di conoscenza della costituzione e
della vita "civile" in Italia, pena la perdita del permesso di soggiorno:
di fatto un ulteriore intralcio alla regolarizzazione e un arricchimento
in termini sociali ed economici delle numerose associazioni che hanno
fiutato il business dell'integrazione.
Opporre una resistenza politica e sociale a queste derive significa
ricostruire reti di relazioni solidali e antirazziste che crescano dal
basso, dal riconoscimento di un comune vissuto di precarietà, per opporsi
al fascismo e al razzismo imperanti, i cui sintomi da tempo riconosciamo
nelle strade che abitiamo ogni giorno. Riprenderci quelle strade,
riappropriarci di quello spazio sociale aperto che è il quartiere, ci pare
l'unica risposta politica valida e praticabile pubblicamente. Le politiche
securitarie, così come il degrado urbanistico e morale, si combattono
anche riempiendo nuovamente quelle strade di vita collettiva, di
condivisione pratica, di contenuti antirazzisti. Lanciamo dunque una serie
di iniziative, rivolte a diversi quartieri della città, per mostrare che
il quartiere può e deve vivere per chi lo abita, italiano o straniero che
sia. Perché i quartieri sono insicuri e pericolosi nella misura in cui
divengono dormitori dalle strade deserte con la sola funzione di
ricoverare gli abitanti in attesa di una nuova giornata di lavoro.