ISM-Italia Comunicato stampa 2010/01/15/01 - A Gaza con il Viva Palestina Convoy (st0102040506070809161819)



ISM-Italia Comunicato stampa 2010/01/15/01 - A Gaza  con il Viva Palestina Convoy

 

3rd International convoy departed on December 6th 2009 and arrived in Gaza January 6th 2010

MISSION ACCOMPLISHED!

One month, thousands of miles, ten countries, one ship and a four flights later, Viva Palestina has entered the besieged Gaza Strip (da www.vivapalestina.org).

 

Questo comunicato stampa è una breve sintesi delle vicende del “Convoy to Gaza” inglese.

Ci riserviamo di dare un seguito con una analisi politica più approfondita.

Quello che va sottolineato e ribadito è che il successo del Convoy to Gaza è dovuto alla determinazione politica di tutti/e i partecipanti.

Nessuno tra gli organizzatori e tra i partecipanti ha mai messo in dubbio l’obiettivo del convoglio: entrare a Gaza. Questa determinazione ha permesso al convoglio di superare tutte le difficoltà frapposte dal governo egiziano in combutta con quello israeliano.

 

Abbiamo partecipato, unici italiani, al Viva Palestina Convoy, organizzato da Viva Palestina (VP) (www.vivapalestina.org) e animato dal deputato britannico George Galloway. Il convoglio, partito da Londra il 6 dicembre 2009, ha  attraversato Belgio, Germania, Austria, Italia, Grecia, Turchia, Siria, Giordania ed Egitto ed è arrivato, dopo infinite difficoltà, a Gaza la sera del 6 gennaio 2010.

Per quanti/e sono partiti/e da Londra l’odissea è durata un mese! Al convoglio formato in partenza da 350 attivisti/e britannici (molti delle comunità musulmane inglesi) da una delegazione della Malesia, e da 150 automezzi e ambulanze, si sono successivamente uniti un gruppo belga, una forte delegazione turca di circa 90 persone e 60 automezzi e ambulanze e circa 60 giovani di Viva Palesatine US. In totale circa 500 persone e circa 200 automezzi.

Come ISM-Italia, avevamo consegnato in Italia al convoglio, 10.000 euro di medicinali, forniti  dalla Cooperazione Internazionale della Regione Piemonte. Abbiamo raggiunto il convoglio a Damasco il 21 dicembre e proseguito per la Giordania, con una straordinaria accoglienza della popolazione nei piccoli paesi attraversati, nelle città, con momenti di incontro con le comunità musulmane locali (ad Amman hanno raggiunto il convoglio anche tre rabbini del gruppo Naturei Karta), con il dono di cibo, acqua e dolci. A Damasco siamo stati ospitati a cura del governo siriano in un moderno complesso turistico alla periferia della città, sia il 21 dic, sia quando siamo passati di nuovo per raggiungere il porto di Lattakia. Ad Aqaba, bloccati dal rifiuto dell’Egitto di poter proseguire nel Sinai, per raggiungere Gaza, ormai a meno di 200 km, il 27 dicembre giorno dell’inizio dell’attacco israeliano del 2008, alcuni alberghi hanno messo a disposizione gratuitamente le loro stanze e offerto cibo a tutti. L’Egitto, malgrado gli accordi precedentemente sottoscritti con Viva Palestina ha posto tre condizioni:

  • di arrivare al porto di El Arish
  • di accettare il permesso di ingresso a Gaza da parte israeliana
  • di consegnare i materiali all’UNRWA

Queste due ultime condizioni sono state respinte dal convoglio.

Siamo stati comunque costretti a tornare in Siria sino al porto di Lattakia con un ulteriore viaggio di circa 800 km.  Qui, dopo lunghe trattative della delegazione di VP, del  governo siriano e turco con quello egiziano, tutti i mezzi sono stati fatti salire su una nave turca e le persone divise in 4 gruppi trasferite con voli charter all’aeroporto di El Arish.

Da quel momento infiniti ostacoli e continui nuovi raggiri sono stati posti dalle autorità egiziane: attese lunghissime all’aeroporto di El Arish per la verifica dei documenti, per alcuni gruppi oltre le sei ore, per altri una notte intera senza cibo e acqua, portati poi dalla croce rossa egiziana, senza sufficienti bagni, con l’appello finale per restituire i passaporti, gridati, i nomi, con voci rauche che ricordavano il Raus nazista, sino alla ‘detenzione’ nel compound del porto e all’attacco pianificato da parte della polizia egiziana a sera inoltrata.

La  polizia egiziana, giunta in forze (circa 2000 poliziotti) e in assetto antisommossa, con decine di furgoni (della Iveco) nella tarda serata del 5 gennaio, ha iniziato a provocare chi manifestava per la chiusura dei cancelli e per il rifiuto egiziano di far entrare a Gaza alcuni veicoli. Hanno iniziato a lanciare sacchi di sabbia e pietre e  successivamente a picchiare e arrestare chiunque fosse sotto tiro. Personalmente siamo stati testimoni dell’arrivo successivo, verso mezzanotte, di circa 200 giovanissimi poliziotti egiziani senza uniforme ma con sacchi di grosse pietre. Il bilancio, il giorno successivo, è stato di 55 feriti e 7 arrestati (fra cui due giovani attivisti del gruppo US Viva Palestina, con cui avevamo condiviso il lungo viaggio e che erano stati con noi poco prima).

E che oltre 500 attivisti filopalestinesi siano stati attaccati con pietre, l’arma della prima intifada palestinese, da la misura del grottesco con il quale si è mossa la polizia egiziana.

Nella tarda mattinata del 6, George Galloway, dopo lunghe e stressanti mediazioni, ha annunciato la liberazione degli arrestati e l’entrata nella striscia di Gaza per tutto il Convoy, tranne 59 veicoli alcuni dei quali con grosse apparecchiature e generatori, che Israele pretendeva passassero per Kerem Shalom. La delegazione turca ha spiegato poi che saranno destinati ai campi profughi palestinesi in Siria e Libano.

L’uscita dal compound e l’arrivo a Rafah hanno occupato tutto il pomeriggio e parte della notte tra il 6 e 7 gennaio. L’entrata nella Striscia di Gaza, con gruppi di palestinesi che offrivano garofani a tutti gli attivisti e attiviste nei veicoli ha ripagato tutti delle fatiche e delle lunghe attese. Uno dei ragazzi del nostro autobus, del US Viva Palestina, picchiato e con la testa fasciata, al suo arrivo ha detto di voler tenere il suo sangue sulla maglietta, come simbolo del sangue di tutti i palestinesi.

Secondo il Palestinian Center for Human Rights a Gaza sono entrate 482 persone e 130 veicoli del convoglio.

Il giorno 7 ci sono state le grandi manifestazioni di consegna dei veicoli e degli aiuti (medicinali innanzitutto, protesi, pacchi di materiale scolastico ecc.), l’incontro con le autorità del governo di Hamas, con un lungo discorso di ringraziamento del premier Haniyeh, che è il primo ministro legittimo dell’ANP e non semplicemente il primo ministro de facto a Gaza, ma anche con molti ragazzi e ragazze, con donne che volevano conoscere personalmente chi era riuscito ad arrivare sino a loro. “Da dove vieni, come ti chiami, perché sei venuto a Gaza?” erano le domande più frequenti durante tutto il giorno. “Vieni a casa mia, ti invito, stai con la mia famiglia”. Era rilevabile, specie fra i più giovani l’ansia di parlare con “chi sta  nel mondo di fuori”, un’ansia, talora aggressiva nei giovani uomini, che tradiva il trauma subito non solo nel gennaio 2009, ma negli anni passati, trauma che la popolazione continua a subire, per la chiusura delle comunicazioni con l’esterno e per la paura di un'altra aggressione, “The Second Gaza War”, di cui molti parlano e che già si legge nei giornali israeliani.

 

All’uscita il giorno dopo (poiché ci erano state “concesse” dal governo egiziano solo 48 ore di permanenza nella Striscia), si aspetta l’apertura del valico per circa 8 ore (ormai è chiaro che gli egiziani non vogliono mostrare la presenza del convoglio agli abitanti del Sinai, perciò si viaggia sempre di notte). Alle 18,30 si aprono i cancelli e si entra in territorio egiziano. Chiusi fra i muri di cemento costruiti da israeliani ed egiziani, pensiamo a come ci si può sentire quando si vive in queste condizioni da anni. Alcuni palestinesi presenti ci informano che nella notte sono state colpite e distrutte case vicino a Khan Younis e uccisi 3 civili, compresa una bambina di pochi mesi. Terminate le procedure, ci fanno entrare negli autobus, contati più volte dai poliziotti; gli autobus vengono chiusi e, scortati da decine di furgoni di polizia, si parte per una lunga notte. Siamo in stato di arresto per essere deportati dall’aeroporto del Cairo come persone non grate. Alcuni autobus si rompono e si fermano nella nebbia e nel freddo del deserto. Si  cambia autobus sotto un controllo duro con decine di poliziotti intorno. Spesso non permettono che donne e uomini possano scendere per le loro ‘esigenze primarie’. Lo permettono solo quando si urla. Così ‘deportati’ (se con noi ‘normali’ attivisti è questo il trattamento, possiamo immaginare come trattano i migranti clandestini e i palestinesi), si arriva all’aeroporto del Cairo, dove si aspetta ancora. E’ certamente una “punizione collettiva”,  a cui ormai vengono addestrati anche i poliziotti egiziani.  Ci tolgono i passaporti. Senza cibo e con scarse toilette. Molti non hanno più il biglietto, alcuni, specie fra i giovani, non possono pagarsene un altro e non possono quindi essere portati nei terminal. Perciò aspettano in ‘detenzione’ in attesa dell’intervento della relativa ambasciata. Via via che ciascuno/a riesce ad avere un volo assicurato, pagando un altro volo, viene portato al gate, dove la polizia ti fa il check-in e praticamente ti spedisce sin dentro l’aereo. Noi  riusciamo ad avere un volo a metà pomeriggio del sabato 9 gennaio, altri meno fortunati rimarranno ancora una notte e ripartiranno domenica, sempre in stato di detenzione.

 

Certo ora è importante fare, insieme a tutti i gruppi di internazionali che hanno fatto queste esperienze, una riflessione politica lucida sulla situazione attuale e sulle strategie nuove da adottare.

 

L’esperienza che abbiamo avuto partecipando al Convoy è stata in ogni caso, molto positiva. Abbiamo incontrato decine di attivisti/e giovani e meno giovani, di culture e religioni diverse, vivaci, entusiasti, pronti ad ogni faticoso cambiamento di programma, ma decisi nell’essere uniti per arrivare a Gaza. Persone che hanno lavorato molto nei mesi  precedenti a livello di comunità e territorio per organizzare il convoglio.

E’ stato anche molto importante l’aver attraversato paesi diversi e aver costruito insieme partecipazione e accoglienza nelle comunità, in particolare quelle musulmane, e ampliato l’informazione per far crescere un senso comune di solidarietà con tutto il popolo palestinese e in particolare con quello della striscia di Gaza, dove, non va dimenticato, è in corso un genocidio.

 

Diana Carminati e Alfredo Tradardi

ISM-Italia

Torino, 15 gennaio 2010

 

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“Verrà il tempo in cui i responsabili dei crimini contro l’umanità che hanno accompagnato il conflitto israelo-palestinese e altri conflitti in questo passaggio d’epoca, saranno chiamati a rispondere davanti ai tribunali degli uomini o della storia, accompagnati dai loro complici e da quanti in Occidente hanno scelto il silenzio, la viltà e l’opportunismo.”

 

ISM-Italia è il gruppo di supporto italiano dell’ISM.

L’International Solidarity Movement (ISM www.palsolidarity.org) è un movimento palestinese impegnato a resistere all’occupazione israeliana usando i metodi e i principi dell’azione-diretta non violenta. Fondato da un piccolo gruppo di attivisti nel 2001, ISM ha l’obiettivo di sostenere e rafforzare la resistenza popolare assicurando al popolo palestinese la protezione internazionale e una voce con la quale resistere in modo nonviolento alla schiacciante forza militare israeliana di occupazione.

 

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