[Punto Rosso] Articoli di Vittorio Agnoletto: "viaggio dentro S.Vittore" e "A Bogotà un presidente quasi fascista"



Care/i,

spero di fare cosa gradita nell'inviarvi due miei articoli pubblicati negli
scorsi giorni da il manifesto: «Viaggio dentro San Vittore», sulla visita al
carcere milanese e

«A Bogotà un presidente quasi fascista», a proposito della missione in
Colombia cui ho partecipato come eurodeputato.

Buona lettura,

saluti solidali



Vittorio Agnoletto





Viaggio dentro San Vittore



(Il manifesto, venerdì 15 febbraio 2008)



Credevamo che i manicomi non esistessero più. Purtroppo ho constatato che
invece uno esiste, ed è a Milano: sto parlando del Centro di osservazione
neuropsichiatrica (CONP) del carcere di San Vittore, che ho visitato ieri
mattina, 14 febbraio, nell'ambito della campagna «Il sole a scacchi», che mi
porterà nei prossimi mesi a visitare penitenziari, ospedali psichiatrici
giudiziari e centri di permanenza temporanea.  Insieme a me sono entrate a
San Vittore Alessandra Naldi dell'associazione Antigone e Annamaria
Cavenaghi del Naga.

Il CONP è uno spazio, situato al primo piano del così detto settimo raggio,
che comprende il centro clinico del penitenziario, ed accoglie 16 detenuti.
Persone affette da patologie psichiatriche, depressive e quindi a rischio di
episodi di autolesionismo, che vivono in condizioni pessime: muri scrostati,
intonaco cadente, finestre rotte, addirittura assenza di riscaldamento nelle
stanze. Nel reparto , seppur saltuariamente,  è praticato il contenimento,
esattamente come nei manicomi del pre-Basaglia. Il CONP del carcere
circondariale è un girone dell'Inferno dantesco.  Sempre nel centro clinico,
nei piani superiori  abbiamo incontrato persone dalle situazioni a dir poco
drammatiche: come un trentacinquenne, senza un rene, senza il retto, affetto
da osteoporosi e da altri problemi, ex dipendente da stupefacenti che,  se
continuerà a vivere nello spazio che ho appena descritto, è in buona
sostanza condannato a morte. Il centro clinico di San Vittore è un ambiente
inumano: andrebbe chiuso subito.

Tuttavia,  pur in presenza di problemi cronici  e irrisolti, qualche passo
in avanti negli ultimi anni si è verificato anche a S.Vittore. I farmaci, ad
esempio, oggi sono accessibili a tutti i detenuti, al contrario di quanto
avevo constatato solo pochi anni fa. Resta, costante, la questione
gravissima del sovraffollamento: 1409 detenuti per poco più di un migliaio
di posti, a fronte di 40 nuovi ingressi ogni giorno. L'indulto ha avuto un
effetto importante nell'agosto 2006: sono usciti circa 450 detenuti; di
questi ad oggi ne sono rientrati per recidiva circa il 10 per cento. Si
tratta, come ci ha spiegato la direttrice del carcere, Gloria Manzella, di
un numero assolutamente in linea con le statistiche relative ai casi di
recidiva nell'insieme della popolazione penitenziaria.

Ma l'alto numero di nuovi detenuti rischia di annullare, in buona sostanza,
le conseguenze positive del provvedimento. Uno dei motivi è la legge
sull'immigrazione. Oltre il 10 per cento dei detenuti stranieri, su
ammissione della stessa direttrice del carcere, è composta da persone che
non hanno rispettato il decreto di espulsione. Non hanno commesso alcun
altro reato, solo non sono riuscite, grazie alla vergognosa Bossi-Fini, ad
entrare nella dimensione della legalità.

Oltre a tutto ciò, altre "solite" carenze strutturali: manca il personale
amministrativo, quello pedagogico, gli educatori, i mediatori linguistici e
culturali.

Il piccolo emporio all'interno del carcere, poi, ha prezzi altissimi: 4,5
euro per le sigarette e fino a 3 euro per un chilo di riso.

Questo è S.Vittore, oggi.  In una città sempre più indifferente, con
istituzioni locali che cancellano le convenzioni con associazioni che da
anni operano in carcere, nel silenzio quasi totale del mondo politico e di
gran parte della società civile.



Vittorio Agnoletto



A Bogotà un presidente quasi fascista



(Il manifesto, 14 febbraio 2008)



"Com'è possibile affermare che una società è democratica quando
l'opposizione parlamentare non viene ritenuta parte integrante di quella
stessa società?" Carlos Gaviria, presidente del Polo Democratico
Alternativo, ha così aperto l'incontro con una delegazione del Parlamento
Europeo a Bogotà proprio la sera del 4 febbraio, quando da poche ore si era
conclusa la marcia che ha portato in piazza almeno un milione di persone "Il
Polo - continua Gaviria - nelle scorse elezioni presidenziali ha preso il
23% e rappresenta la prima esperienza di opposizione parlamentare nella
storia di questo Paese, infatti storicamente esistevano due partiti, ma vi
era un costante accordo sulla divisione del potere. Ora tutti i media sono
controllati da Uribe, che offre al Polo solo due possibilità: o venire
distrutto o essere cooptato nella sua gestione del potere". La delegazione
europea è composta oltre che dal sottoscritto del GUE, il gruppo della
Sinistra Europea, da rappresentanti dei Verdi, dei Socialisti e del PPE, i
conservatori europei. La delegazione, la sera precedente, con la sola
opposizione del GUE, aveva deciso di partecipare alla marcia.

"Inizialmente - ci ha spiegato il leader del Polo - siamo stati favorevoli
all'iniziativa lanciata da quattro ragazzi su Internet in favore di tutti i
sequestrati. Ma poi il governo l'ha trasformata in una marcia in solidarietà
dei sequestrati solo dalle Farc e in un referendum o con Uribe o con le
Farc, ignorando l'esistenza di un'opposizione legale. Per questo noi non vi
abbiamo partecipato, ma abbiamo organizzato un meeting in piazza
Bolivar,dove  il sindaco, il nostro compagno Samuel Moreno, ha fatto
appendere uno striscione con un enorme Sì all'accordo umanitario. Ci
accusano di essere semplicemente un'appendice di Chavez, noi riconosciamo
l'importanza della sua mediazione,ma alcuni suoi comportamenti favoriscono
una reazione nazionalista contro il Polo."

Gran parte del finanziamento per l'organizzazione della manifestazione
proveniva dalla multinazionale Sab Miller proprietaria dell'unica fabbrica
di birra Colombiana, Bavaria, molto vicina al presidente Uribe.

La partecipazione è stata favorita dalla scelta di un giorno semifestivo, il
lunedì di carnevale; vi erano persone di ogni ceto ma con una netta
prevalenza della popolazione dei quartieri medio-alti di Bogotà. Ovunque
slogan contro le Farc, non una parola contro i paramilitari; eppure
attualmente i sequestrati  sono circa 3000, 700 circa ad opera della Farc,
oltre 300 nelle mani dei gruppi paramilitari, altri rapiti dall'ELN, l'altra
formazione guerrigliera ed i restanti nelle mani della criminalità comune.

Molti striscioni chiedevano a Uribe di proseguire in una linea intransigente
nel confronto sugli ostaggi e di rifiutare ogni zona  umanitaria. Nel corteo
ho più volte ascoltato le parole di El pueblo unido jamàs sarà vencido. Ero
incredulo e angosciato: una canzone nata in solidarietà con il governo
cileno di Allende, travolto dal golpe militare fascista di Pinochet,  veniva
ora cantata per sostenere Uribe, un uomo accusato da tutte le associazioni
per i diritti umani di essere il mandante di centinaia di omicidi. La sera
precedente tutti i canali televisivi (con buona pace delle accuse a Chavez
di mancanza di pluralismo mediatico) trasmettevano gli appelli per la marcia
lanciati dai rappresentanti del governo.

"Il rischio - ci spiega un collaboratore di Gaviria - è che la Colombia,
attraverso una manipolazione populista e demagogica, si avvii verso un
sistema molto simile al fascismo italiano." All'indomani  dalla marcia si
moltiplicano le pressioni per un referendum che modifichi la Costituzione
per permettere ad Uribe di correre per un terzo mandato presidenziale.

"Per noi la solidarietà internazionale è fondamentale, abbiamo purtroppo
scoperto - continuano i dirigenti del Polo - che in Europa partiti a noi
affini dimenticano questa vicinanza quando vanno al governo"

Il riferimento è al comportamento dei governi dell'UE che nell'ultimo
Consiglio hanno rinnovato il loro sostegno ad Uribe, limitandosi ad una
generica condanna delle esecuzioni extragiudiziali compiute quotidianamente
dall'esercito.

In questi mesi  il Congresso USA ha bloccato una parte dei finanziamenti che
l'amministrazione Bush aveva destinato alla Colombia non ritenendo
sufficienti i progressi compiuti nel rispetto dei diritti umani; anche per
questo è cresciuta l'attenzione che il governo colombiano dedica all'accordo
di libero commercio UE/CAN (la Comunità dei Paesi Andini). Impegnata nella
conquista di tutti i mercati disponibili la Commissione Europea non ha
ritenuto di inserire nell'accordo commerciale la Clausola Democratica,
approvata dal Parlamento e della quale ero stato relatore; clausola che
vincola gli accordi economici dell'UE ad una rigida verifica dei progressi
ottenuti nel campo dei diritti umani.

"Uribe ha trattato con i paramilitari e i narcotrafficanti attraverso la
legge "Giustizia e Pace"; è inaccettabile che  si rifiuti di ricercare un
accordo umanitario con le Farc” ci ha spiegato l'ex presidente conservatore
Andrés Pastrana Arango che tentò senza successo di trovare una soluzione
complessiva con le Farc, ma che riuscì a realizzare uno scambio tra
sequestrati e prigionieri.

"Di fronte al rifiuto di Uribe di accettare la formazione di una zona
umanitaria la Chiesa ha proposto almeno una zona d'incontro per avviare un
dialogo tra le parti, Uribe - ci ha spiegato  monsignor Luis Augusto Castro
presidente della Conferenza Episcopale Colombiana - ha posto alcune
condizioni, vedremo la risposta delle Farc con le quali manteniamo
necessariamente dei contatti per ricercare una soluzione. In occasione del 4
febbraio ci siamo limitati a sottolineare l'importanza del segnale che la
società civile ha voluto inviare nei confronti di tutti i sequestrati. Più
che neutrali, nel conflitto che attraversa la Colombia, noi stiamo con tutte
le vittime." Proprio i famigliari delle vittime dei sequestrati avevano
deciso di non partecipare alla marcia ma di celebrare una messa.

Intanto si avvicina la prova del nove. Sempre su Internet è stata lanciata
l'idea di una manifestazione, il 6 marzo, in solidarietà di tutti i
sequestrati dai paramilitari; Uribe, che conta tra i parlamentari suoi
sostenitori una cinquantina di indagati con l'accusa di essere stati
fortemente collegati ai gruppi paramilitari, per ora tace.



Vittorio Agnoletto




Care/i,
spero di fare cosa gradita nell'inviarvi due miei articoli pubblicati negli
scorsi giorni da il manifesto: «Viaggio dentro San Vittore», sulla visita
al carcere milanese e
«A Bogotà un presidente quasi fascista», a proposito della missione in
Colombia cui ho partecipato come eurodeputato.
Buona lettura,
saluti solidali

Vittorio Agnoletto


Viaggio dentro San Vittore

(Il manifesto, venerdì 15 febbraio 2008)

Credevamo che i manicomi non esistessero più. Purtroppo ho constatato che
invece uno esiste, ed è a Milano: sto parlando del Centro di osservazione
neuropsichiatrica (CONP) del carcere di San Vittore, che ho visitato ieri
mattina, 14 febbraio, nell'ambito della campagna «Il sole a scacchi», che
mi porterà nei prossimi mesi a visitare penitenziari, ospedali psichiatrici
giudiziari e centri di permanenza temporanea.  Insieme a me sono entrate a
San Vittore Alessandra Naldi dell'associazione Antigone e Annamaria
Cavenaghi del Naga.
Il CONP è uno spazio, situato al primo piano del così detto settimo raggio,
che comprende il centro clinico del penitenziario, ed accoglie 16 detenuti.
Persone affette da patologie psichiatriche, depressive e quindi a rischio
di episodi di autolesionismo, che vivono in condizioni pessime: muri
scrostati, intonaco cadente, finestre rotte, addirittura assenza di
riscaldamento nelle stanze. Nel reparto , seppur saltuariamente,  è
praticato il contenimento, esattamente come nei manicomi del pre-Basaglia.
Il CONP del carcere circondariale è un girone dell'Inferno
dantesco.  Sempre nel centro clinico, nei piani superiori  abbiamo
incontrato persone dalle situazioni a dir poco drammatiche: come un
trentacinquenne, senza un rene, senza il retto, affetto da osteoporosi e da
altri problemi, ex dipendente da stupefacenti che,  se continuerà a vivere
nello spazio che ho appena descritto, è in buona sostanza condannato a
morte. Il centro clinico di San Vittore è un ambiente inumano: andrebbe
chiuso subito.
Tuttavia,  pur in presenza di problemi cronici  e irrisolti, qualche passo
in avanti negli ultimi anni si è verificato anche a S.Vittore. I farmaci,
ad esempio, oggi sono accessibili a tutti i detenuti, al contrario di
quanto avevo constatato solo pochi anni fa. Resta, costante, la questione
gravissima del sovraffollamento: 1409 detenuti per poco più di un migliaio
di posti, a fronte di 40 nuovi ingressi ogni giorno. L'indulto ha avuto un
effetto importante nell'agosto 2006: sono usciti circa 450 detenuti; di
questi ad oggi ne sono rientrati per recidiva circa il 10 per cento. Si
tratta, come ci ha spiegato la direttrice del carcere, Gloria Manzella, di
un numero assolutamente in linea con le statistiche relative ai casi di
recidiva nell'insieme della popolazione penitenziaria.
Ma l'alto numero di nuovi detenuti rischia di annullare, in buona sostanza,
le conseguenze positive del provvedimento. Uno dei motivi è la legge
sull'immigrazione. Oltre il 10 per cento dei detenuti stranieri, su
ammissione della stessa direttrice del carcere, è composta da persone che
non hanno rispettato il decreto di espulsione. Non hanno commesso alcun
altro reato, solo non sono riuscite, grazie alla vergognosa Bossi-Fini, ad
entrare nella dimensione della legalità.
Oltre a tutto ciò, altre "solite" carenze strutturali: manca il personale
amministrativo, quello pedagogico, gli educatori, i mediatori linguistici e
culturali.
Il piccolo emporio all'interno del carcere, poi, ha prezzi altissimi: 4,5
euro per le sigarette e fino a 3 euro per un chilo di riso.
Questo è S.Vittore, oggi.  In una città sempre più indifferente, con
istituzioni locali che cancellano le convenzioni con associazioni che da
anni operano in carcere, nel silenzio quasi totale del mondo politico e di
gran parte della società civile.

Vittorio Agnoletto

A Bogotà un presidente quasi fascista

(Il manifesto, 14 febbraio 2008)

"Com'è possibile affermare che una società è democratica quando
l'opposizione parlamentare non viene ritenuta parte integrante di quella
stessa società?" Carlos Gaviria, presidente del Polo Democratico
Alternativo, ha così aperto l'incontro con una delegazione del Parlamento
Europeo a Bogotà proprio la sera del 4 febbraio, quando da poche ore si era
conclusa la marcia che ha portato in piazza almeno un milione di persone
"Il Polo - continua Gaviria - nelle scorse elezioni presidenziali ha preso
il  23% e rappresenta la prima esperienza di opposizione parlamentare nella
storia di questo Paese, infatti storicamente esistevano due partiti, ma vi
era un costante accordo sulla divisione del potere. Ora tutti i media sono
controllati da Uribe, che offre al Polo solo due possibilità: o venire
distrutto o essere cooptato nella sua gestione del potere.". La delegazione
europea è composta oltre che dal sottoscritto del GUE, il gruppo della
Sinistra Europea, da rappresentanti dei Verdi, dei Socialisti e del PPE, i
conservatori europei. La delegazione, la sera precedente, con la sola
opposizione del GUE, aveva deciso di partecipare alla marcia.
"Inizialmente - ci ha spiegato il leader del Polo - siamo stati favorevoli
all'iniziativa lanciata da quattro ragazzi su Internet in favore di tutti i
sequestrati. Ma poi il governo l'ha trasformata in una marcia in
solidarietà dei sequestrati solo dalle Farc e in un referendum o con Uribe
o con le Farc, ignorando l'esistenza di un'opposizione legale. Per questo
noi non vi abbiamo partecipato, ma abbiamo organizzato un meeting in piazza
Bolivar,dove  il sindaco, il nostro compagno Samuel Moreno, ha fatto
appendere uno striscione con un enorme Sì all'accordo umanitario. Ci
accusano di essere semplicemente un'appendice di Chavez, noi riconosciamo
l'importanza della sua mediazione,ma alcuni suoi comportamenti favoriscono
una reazione nazionalista contro il Polo."
Gran parte del finanziamento per l'organizzazione della manifestazione
proveniva dalla multinazionale Sab Miller proprietaria dell'unica fabbrica
di birra Colombiana, Bavaria, molto vicina al presidente Uribe.
La partecipazione è stata favorita dalla scelta di un giorno semifestivo,
il lunedì di carnevale; vi erano persone di ogni ceto ma con una netta
prevalenza della popolazione dei quartieri medio-alti di Bogotà. Ovunque
slogan contro le Farc, non una parola contro i paramilitari; eppure
attualmente i sequestrati  sono circa 3000, 700 circa ad opera della Farc,
oltre 300 nelle mani dei gruppi paramilitari, altri rapiti dall'ELN,
l'altra formazione guerrigliera ed i restanti nelle mani della criminalità
comune.
Molti striscioni chiedevano a Uribe di proseguire in una linea
intransigente nel confronto sugli ostaggi e di rifiutare ogni zona
umanitaria. Nel corteo ho più volte ascoltato le parole di El pueblo unido
jamàs sarà vencido. Ero incredulo e angosciato: una canzone nata in
solidarietà con il governo cileno di Allende, travolto dal golpe militare
fascista di Pinochet,  veniva ora cantata per sostenere Uribe, un uomo
accusato da tutte le associazioni per i diritti umani di essere il mandante
di centinaia di omicidi. La sera precedente tutti i canali televisivi (con
buona pace delle accuse a Chavez di mancanza di pluralismo mediatico)
trasmettevano gli appelli per la marcia lanciati dai rappresentanti del
governo.
"Il rischio - ci spiega un collaboratore di Gaviria - è che la Colombia,
attraverso una manipolazione populista e demagogica, si avvii verso un
sistema molto simile al fascismo italiano." All'indomani  dalla marcia si
moltiplicano le pressioni per un referendum che modifichi la Costituzione
per permettere ad Uribe di correre per un terzo mandato presidenziale.
"Per noi la solidarietà internazionale è fondamentale, abbiamo purtroppo
scoperto - continuano i dirigenti del Polo - che in Europa partiti a noi
affini dimenticano questa vicinanza quando vanno al governo"
Il riferimento è al comportamento dei governi dell'UE che nell'ultimo
Consiglio hanno rinnovato il loro sostegno ad Uribe, limitandosi ad una
generica condanna delle esecuzioni extragiudiziali compiute quotidianamente
dall'esercito.
In questi mesi  il Congresso USA ha bloccato una parte dei finanziamenti
che l'amministrazione Bush aveva destinato alla Colombia non ritenendo
sufficienti i progressi compiuti nel rispetto dei diritti umani; anche per
questo è cresciuta l'attenzione che il governo colombiano dedica
all'accordo di libero commercio UE/CAN (la Comunità dei Paesi Andini).
Impegnata nella conquista di tutti i mercati disponibili la Commissione
Europea non ha ritenuto di inserire nell'accordo commerciale la Clausola
Democratica, approvata dal Parlamento e della quale ero stato relatore;
clausola che vincola gli accordi economici dell'UE ad una rigida verifica
dei progressi ottenuti nel campo dei diritti umani.
"Uribe ha trattato con i paramilitari e i narcotrafficanti attraverso la
legge "Giustizia e Pace"; è inaccettabile che  si rifiuti di ricercare un
accordo umanitario con le Farc" ci ha spiegato l'ex presidente conservatore
Andrés Pastrana Arango che tentò senza successo di trovare una soluzione
complessiva con le Farc, ma che riuscì a realizzare uno scambio tra
sequestrati e prigionieri.
"Di fronte al rifiuto di Uribe di accettare la formazione di una zona
umanitaria la Chiesa ha proposto almeno una zona d'incontro per avviare un
dialogo tra le parti, Uribe - ci ha spiegato  monsignor Luis Augusto Castro
presidente della Conferenza Episcopale Colombiana - ha posto alcune
condizioni, vedremo la risposta delle Farc con le quali manteniamo
necessariamente dei contatti per ricercare una soluzione. In occasione del
4 febbraio ci siamo limitati a sottolineare l'importanza del segnale che la
società civile ha voluto inviare nei confronti di tutti i sequestrati. Più
che neutrali, nel conflitto che attraversa la Colombia, noi stiamo con
tutte le vittime." Proprio i famigliari delle vittime dei sequestrati
avevano deciso di non partecipare alla marcia ma di celebrare una messa.
Intanto si avvicina la prova del nove. Sempre su Internet è stata lanciata
l'idea di una manifestazione, il 6 marzo, in solidarietà di tutti i
sequestrati dai paramilitari; Uribe, che conta tra i parlamentari suoi
sostenitori una cinquantina di indagati con l'accusa di essere stati
fortemente collegati ai gruppi paramilitari, per ora tace.

Vittorio Agnoletto



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