Genova: spezzone anarchico



Tutti a Genova!

 

L'appuntamento per lo spezzone anarchico è alla partenza presso la stazione marittima (circa 300 metri dalla stazione ferroviaria di Porta Principe). Per chi lo ricorda è la stessa piazza da cui partì il corteo organizzato da Anarchici contro il G8 il 9 giugno del 2001.

Lo striscione sarà lo stesso:

PADRONI DI NIENTE - SERVI DI NESSUNO

ALL'ARREMBAGGIO DEL FUTURO!

 

Il corteo del 17 novembre a Genova sarà molto lungo. Pertanto tutte le partenze sono anticipate: è importante essere in piazza alle ore 14.

 

Genova 2001 – Genova 2007

La memoria spezzata

225 anni di galera. C’è voluta la scossa delle richieste del PM al processo contro 25 di coloro che, nel luglio del 2001, manifestarono a Genova contro il G8, perché si tornasse a parlare di quei giorni, perché scattasse la voglia di reagire, di andare in piazza in solidarietà ai compagni che rischiano lunghi anni di detenzione.

Quello che accadde è ormai parte della memoria collettiva: migliaia e migliaia di persone che scendono in piazza, la repressione feroce, il massacro della Diaz, le torture di Bolzaneto, l’assassinio di Carlo Giuliani.

I più sono convinti che di quei giorni si sappia ormai tutto, che la verità su quello che accadde, che qualcuno vorrebbe relegata alle aule di tribunale o alle commissioni parlamentari, sia un patrimonio ormai acquisito.

Eppure non è così. In questa storia vi è un convitato di pietra: un movimento che voleva mettere in discussione l’ordine del mondo e che è naufragato sul lungomare di Genova. Un naufragio che si è consumato a lungo, attraversando l’11 settembre, la guerra permanente, le leggi speciali, per giungere a questi giorni di follia e crudeltà, giorni di fascisti scatenati e di un governo che stringe il cappio della legge al collo dei poveri, degli immigrati, dei pochi che ancora si oppongono concretamente alla marea scura che avanza.

Il 19 20 21 luglio del 2001 venne elaborata la favola consolatoria di un movimento segnato da aurorale innocenza, vittima della violenza dello Stato, che massacra gli inermi e “lascia fare” chi attacca banche, supermercati, carceri. Il Blocco Nero in particolare e poi gli anarchici in generale sono trattati come corpi estranei, protetti dalla polizia, agiti da infiltrati che li guidano tra i non violenti per farli caricare.

Eppure erano ormai anni che i movimenti contestavano i vertici dei potenti dando vita a manifestazioni in cui convivevano anime diverse, che in piazza avevano differenti approcci. Ricordo i cortei tematici dei cortei praghesi o le zone delle manifestazioni canadesi. Tanti volti, tanti modi di esprimere la propria opposizione, ma un unico movimento. Anche a Genova avrebbe dovuto essere così: tante piazze tematiche, tanti luoghi perché ciascuno potesse manifestare come preferiva.

La gran parte degli anarchici italiani, riuniti sotto il cartello “anarchici contro il G8”, decise di evitare il teatrino mediatico, l’assedio alla zona rossa e scelse di manifestare nel ponente genovese, a Sanpierdarena, storico quartiere operaio, mirando a coinvolgerne la popolazione.

Tutti gli altri optarono per la contestazione del vertice, cercando di violare le barriere della zona rossa. Ciascuno a suo modo. La risposta violenta delle forze del disordine statale avrebbe dovuto essere prevista. Non molto prima in Svezia al vertice di Goteborg, per poco non c’era scappato il morto: un ragazzo di 19 anni aveva lottato per giorni tra la vita e la morte per le tre pallottole che un poliziotto gli aveva piantato in corpo.

Solo nelle favole sulla democrazia si racconta che assediare per giorni i padroni nel mondo asserragliati nei loro palazzi, circondati da uomini armati, sia una pratica indolore. Sebbene si rimanesse sul piano simbolico, poiché le varie strategie di piazza – da quelle non violente a quelle di attacco – avevano necessariamente una mera valenza comunicativa, tuttavia rendevano visibile una crisi di legittimità ampiamente condivisa.

A Genova accadde quello che era già accaduto altrove, solo su scala più ampia: la democrazia reale, non il fantasma che ci mostrano negli spot elettorali, si dispiegò davanti a decine migliaia di manifestanti, picchiando di santa ragione tutti quelli su cui riuscì a posare i propri manganelli, calci di fucile, scarponi. Gasò senza pietà i buoni e i cattivi, i moderati e gli estremisti. Sarebbe stata una buona occasione per guardare in faccia il potere e per capire che di poteri buoni non ce ne sono. Un’occasione perduta.

A Genova il movimento si spaccò e rapidamente si estinse nelle inutili passeggiate romane contro la guerra. Più facile accusare il Blocco Nero di connivenza con la polizia che guardare negli occhi la bestia.

A sei anni da quel luglio si torna a Genova e sulla nostra strada ci sono molte più macerie di allora: milioni di morti in Iraq e Afganistan, la tortura come arma di guerra riconosciuta, le deportazioni degli indesiderabili, secoli di galera per chi si oppone. A Genova, come a Milano, come a Torino. Per tutti la stessa accusa: “devastazione e saccheggio”.

Nei prossimi mesi si giocheranno molte partite importanti: dal blocco della nuova base USA a Vicenza alla lotta contro le mille nocività che ci affliggono, dall’opposizione alle leggi razziste, alla lotta contro la precarietà per legge.

Sarà un banco di prova per tentare ancora di vincere la scommessa forte di ogni movimento che voglia vincere e non solo testimoniare: saldare radicalità degli obiettivi, radicamento sociale e capacità di mettere in rete solidale i tanti che, oggi come le luglio 2001, si oppongono all’ordine feroce del mondo.

Ripartendo da Genova, dalla solidarietà ai 25 compagni sotto processo, dalla riconquista di una memoria spezzata.

 

Da Umanità Nova n. 37 2007