Preti nel mirino



Preti nel mirino
Dalle Filippine all'Iraq passando per la Cina, perché i sacerdoti sono diventati in tutto il mondo le vittime preferite di terroristi e regimi intolleranti
di Casadei Rodolfo

Se veramente è il cavaliere senza macchia che vuol fare credere, che si batte indomito contro la censura, adesso ci aspettiamo che Michele Santoro, dopo quella sui preti pedofili, dedichi una puntata di AnnoZero ai preti vittime di rapimenti. Perché se c'è una storia davvero censurata in tv e sugli altri media è proprio quella dei preti rapiti ai quattro angoli del globo: missionari nelle Filippine, sacerdoti caldei in Iraq, vescovi cattolici nella Cina comunista. Se il missionario è italiano, come nel caso di padre Giancarlo Bossi del Pime rapito nell'isola filippina di Mindanao il 10 giugno, qualche passaggio in video ci sarà di sicuro. Ma senza contestualizzare troppo. Per tutti gli altri, al massimo spiccioli di notiziario. Eppure le storie dei sacerdoti rapiti a diverse latitudini raccontano molte cose interessanti del mondo fuori della porta di casa nostra.

Padre Bossi è l'ultimo di una serie
«Non sono ancora noti i mandanti di questo rapimento -ha commentato il vicepresidente del Parlamento europeo Mario Mauro a proposito del rapimento di padre Bossi - ma si rende ancora più evidente il sistematico attacco a cui sono sottoposti i missionari nel mondo. Dal 1998 a oggi nelle Filippine del sud sono stati rapiti ben 6 sacerdoti, di cui 3 uccisi». Meno male che qualcuno tiene il conto. Padre Luciano Benedetti, altro missionario del Pime a Mindanao, e padre Giuseppe Pierantoni, dehoniano, sono stati fortunati. Il primo, rapito nel settembre 1998 da un commando del Fronte di liberazione Moro (Milf), fu rilasciato dopo poco più di due mesi di prigionia. Il secondo, catturato mentre celebrava la Messa il 17 ottobre 2001, rimase nelle mani del gruppo armato "Pentagono" per quasi sei mesi. Tragico invece l'esito del sequestro di 29 cattolici presso una scuola nell'isola di Basilan nel marzo 2000 da parte dei ribelli del gruppo Abu Sayyaf: il direttore della scuola, il clarettiano Rohel Gallardo, fu assassinato insieme a tre maestri quando i guerriglieri furono individuati dall'esercito filippino. Un missionario irlandese di San Colombano, Rufus Halley, venne ucciso durante un tentativo di sequestro da parte del Milf nell'agosto 2001 e la stessa sorte toccò a un missionario evangelico americano, Martin Burnham, quando nel giugno 2002 le forze armate intercettarono i guerriglieri di Abu Sayyaf che più di un anno prima l'avevano rapito insieme alla moglie e a due turisti, uno dei quali era stato già assassinato. Tutte queste vicende hanno avuto luogo nella penisola di Zamboanga e dintorni, l'area dell'isola di Mindanao (la più meridionale delle Filippine, grande come il Portogallo) dove dal 1978 infuria una guerriglia separatista musulmana contro il governo "cristiano" di Manila. Le vittime spesso erano impegnate in attività di dialogo e riconciliazione fra popolazione cristiana e popolazione musulmana, fra autorità e ribelli. Il 20 maggio 1992 il Pime ha perduto il padre Salvatore Carzedda, assassinato a Zamboanga City all'uscita di una riunione islamo-cristiana del gruppo di dialogo interreligioso Silsilah che dirigeva insieme a un altro sacerdote. Il primo missionario del Pime assassinato a Mindanao è stato padre Tullio Favali nell'aprile 1985, vitima di un gruppo paramilitare filogovernativo.
Un paese dove non ci si aspetterebbe di registrare sequestri di persona ai danni dei sacerdoti è la Cina. Non per l'alta qualità dell'ordine pubblico, ma perché, quando ha problemi con esponenti religiosi, il sistema cinese può ricorrere tranquillamente all'arresto e al rinvio a giudizio dei suddetti con vari pretesti. A volte però il regime ha bisogno più di ottenere ritrattazioni che di infliggere punizioni, e allora gli arresti si trasformano in veri e propri sequestri di persona con maltrattamenti del malcapitato, rilasciato quando accetta di correggersi.

Il movente non sono solo i soldi
Il caso più recente è quello di monsignor Martino Wu Qinjing, vescovo di Zhouzhi. Il presule appartiene alla Chiesa cinese ufficiale, ma è stato ordinato d'intesa con Roma e passando sopra i desiderata dell'Associazione patriottica. Per farlo rinunciare all'autorità sulla diocesi è stato arrestato nel settembre dello scorso anno e rilasciato dopo soli cinque giorni, con una sospetta commozione cerebrale per cui è stato ospedalizzato. Secondo le autorità avrebbe firmato un impegno a non comportarsi come un vescovo, ma il 17 marzo è stato prelevato nuovamente dalla sua chiesa senza spiegazioni e da allora non si sa dove sia. I fedeli sostengono che è sottoposto a continue "sessioni di studio" sulla politica religiosa del partito, allo scopo di ottenere le sue dimissioni e il trasferimento ad altra diocesi. Ancora più curiosa la vicenda di monsignor Li Liangui, vescovo ufficiale di Cangzhou, sequestrato con una scusa dall'ufficio Affari religiosi per farlo partecipare a un'ordinazione episcopale a cui era contrario. Giunto nella città di Xuzhou a bordo dell'auto su cui era stato caricato, ha approfittato di un momento di distrazione dei suoi custodi per rendersi irreperibile fino alla fine della celebrazione.
In Iraq, invece, sono 13 i religiosi cristiani rapiti fra il gennaio 2005 (quando venne sequestrato il primo sacerdote, il vescovo siro cattolico di Mosul Basile Georges Casmoussa, rilasciato nel giro di un giorno) e il 6 giugno scorso, quando è stato rapito a Baghdad padre Hani Abdel Ahad, che stava andando a visitare un seminario minore insieme a cinque ragazzi. Ma soltanto a partire dal dicembre scorso è diventata evidente la valenza politica dei rapimenti, quando dopo un mese di maltrattamenti è stato rilasciato dai suoi rapitori padre Douglas Yusuf al Bazy, sequestrato il 19 novembre 2006. I vescovi caldei avevano interpretato i cinque rapimenti di religiosi cristiani fra luglio e novembre come un fenomeno meramente criminale, essendo stati tutti rilasciati dietro riscatto. La sola eccezione era stata il siro ortodosso Paulos Iskander, rapito e poi decapitato da un gruppo che non aveva chiesto solo denaro, ma anche che il Papa ritrattasse il discorso di Ratisbona. Al Bazy, liberato dopo il riscatto, aveva riportato i discorsi fortemente allusivi dei suoi rapitori. La strategia dei sequestratori è diventata più chiara. Catturando i preti, i sequestratori contano di ottenere più obiettivi contemporaneamente: guadagnare denaro, costringere i superiori del sacerdote a trasferirlo in Kurdistan o all'estero e inviare un messaggio intimidatorio alla comunità cristiana, privata di un punto di riferimento. A causa dei rapimenti il patriarca caldeo Delly ha già dovuto trasferire ad Ankawa, in Kurdistan, il principale seminario maggiore e la Facoltà teologica del Collegio Babel di Baghdad, che si trovavano nel quartiere di Dora. Un tempo roccaforte dei cristiani nella capitale, l'area si sta svuotando dei medesimi. Sette chiese del quartiere hanno già chiuso i battenti o ridotto le Messe a una al mese. «Il modo migliore di colpire le centinaia di famiglie della mia parrocchia di Sant'Elia era di rapirmi e poi costringermi ad andarmene», commenta padre al Bazy da Ankawa. La pulizia etnica procede.