Formidabile sintesi: "La genetica contro il razzismo"



(dal sito:
<http://jekyll.sissa.it/index.php?document=707>http://jekyll.sissa.it/index.php?document=707)

La genetica contro il razzismo. Secondo Alberto Piazza, conoscere le
origini comuni della specie umana aiuta ad abbattere i pregiudizi razziali

di <http://jekyll.sissa.it/index.php?author=176>Elisa Frisaldi


I nostri geni racchiudono gli elementi per abbattere i pregiudizi razziali.
In tempi in cui immigrazione e integrazione sembrano parole sempre più
difficili da coniugare e nelle città crescono diffidenza e intolleranza
verso gli stranieri, la genetica di popolazione può avere interessanti
ricadute anche sul piano socioculturale, oltre che scientifico.

È questa l'opinione di Alberto Piazza, docente di genetica umana presso la
facoltà di medicina e chirurgia dell'Università di Torino, che ha appena
concluso uno studio sulle origini del popolo etrusco. Un'opinione, la sua,
condivisa tra gli studiosi che scavano nel passato della specie umana.

Professor Piazza, che cosa ci insegnano gli studi sulle origini delle
popolazioni?

Ci permettono di approfondire la conoscenza del nostro passato. Grazie alle
attuali tecniche molecolari è possibile tracciare una memoria storica che
le fonti precedenti alla scrittura non ci possono dare.

Quando le indagini riguardano epoche di cui non esiste documentazione
scritta, si assiste a un'inversione temporale dei ruoli dei genetisti e dei
paleoantropologi: i risultati forniti dai primi diventano i presupposti
necessari alla formulazione di ipotesi che i secondi dovranno confermare.

Questo tipo di approccio consente di ricostruire la storia delle
popolazioni, i loro movimenti migratori e le modalità di distribuzione in
una certa area geografica. Il rapporto tra archeologi e antropologi ha così
ricevuto un nuovo impulso che potrà contribuire alla ricomposizione tra i
saperi umanistico e scientifico.

Dal punto di vista genetico quanto siamo diversi uno dall'altro?

Il progresso della ricerca genetica, della paleontologia e
dell'antropologia ha contribuito a confermare la teoria monocentrica
secondo la quale discendiamo da un unico ceppo genetico. Inoltre, lo studio
del genoma umano ha permesso di scoprire che le differenze tra due
individui della stessa specie sono estremamente piccole. Ci distinguiamo
l'uno dall'altro per idee, cultura, aspetto esteriore. Ma non per struttura
biologica. Ognuno di noi possiede singole variazioni che ci impediscono di
considerarci una razza pura.

La maggior parte delle persone non è ancora completamente conscia di questo
concetto. Inoltre, involontariamente, noi umani notiamo solo i caratteri
visibili delle persone (colore della pelle, dei capelli, degli occhi) senza
considerare che, a livello genetico, rappresentano una piccolissima parte
della nostra variabilità biologica.

Eppure tendiamo a considerare nemico tutto ciò che è appare diverso da noi...

Probabilmente avviene per un meccanismo di difesa. Era così anche in
passato. Basti pensare alle grandi esplorazioni del Quattrocento e del
Cinquecento: le descrizioni e i disegni di quei viaggi rappresentano sempre
l'estraneo, "il selvaggio", in modo mostruoso.

Il pregiudizio razziale è un problema culturale: se i risultati della
ricerca possono aiutare a sfatare i miti, non sono sufficienti a sradicare
l'idea di 'altro' e perciò di nemico. Il razzismo esiste ancora e in
Europa, per esempio, sta tornando a prendere piede l'antisemitismo. Io
credo che queste resistenze contro il diverso si potrebbero ammorbidire con
un'educazione basata sulle certezze scientifiche attuali.

( 11 maggio 2007 )