A Brescia sfilano duecento tacchi per Hina, uccisa in nome della sharia



A Brescia sfilano duecento tacchi per Hina, uccisa in nome della sharia
SANTANCHE’ E SBAI DIFENDONO IL SIMBOLO DELL’INTEGRAZIONE

Sarà Daniela Santanchè a rappresentare l’Acmid-donna, l’associazione delle donne
marocchine in Italia presieduta da Souad Sbai, davanti al giudice del tribunale di Brescia
tra meno di un mese. La deputata di An parlerà nel processo nel quale l’Acmid si è
costituita parte civile che vede protagonista Hina Saleem, la ragazza pachistana accoltellata
dai familiari: dal padre, due suoi cognati e uno zio che l’hanno seppellita nell’orto
di casa dopo averla uccisa l’11 agosto scorso a Saluzzo, nel bresciano. Anche per la madre
doveva morire, aveva scelto di interagire con la società italiana. Anzi. Aveva fatto
qualcosa di più. Hina, 21 anni, aveva semplicemente deciso di integrarsi senza sottostare
a divieti né diktat come quello paterno, che la voleva sposata con un cugino pachistano
che neppure conosceva, ai quali, però, Hina ha preferito non piegarsi mai.
La fermezza di una giovane immigrata, innamorata dell’Italia e di un ragazzo italiano
col quale progettava di andare a vivere, è stata tale che per ucciderla c’è stato bisogno
di un complotto orchestrato dalla madre: l’ha attirata nella casa paterna che aveva ormai
abbandonato con un banale motivo, e anziché trovare quella madre – che nonostante
la diversità di vedute continuava a rispettare – ha trovato i suoi assassini. Ecco
perché al processo che inizierà tra circa un mese l’Acmid si è costituita parte civile. “Hina
è divenuta un simbolo per tutte le donne musulmane immigrate in Italia per trovare
la libertà, che spesso si ritrovano a vivere in condizioni peggiori di quelle lasciate nel
proprio paese – dice Souad Sbai, presidente dell’Acmid e membro della consulta islamica
del ministero dell’Interno – Il fatto è avvenuto appena l’11 agosto dell’anno scorso,
ricorda Sbai, che accoglie le donne vittime di soprusi di natura religiosa grazie alla rete
nazionale costituita dieci anni fa attraverso la sua associazione. “L’hanno lasciata sola
da viva, non potevamo permetterci di lasciarla sola da morta”, spiega.
Chiedere a Daniela Santanchè di rappresentare le donne immigrate – che si presenteranno
in tribunale almeno in duecento, che hanno aderito all’iniziativa che in Italia
non ha precedenti – è stata un’evoluzione naturale. Interpellata dal Foglio, l’onorevole
Santanchè, ricorda che al funerale di Hina c’era soltanto lei tra gli italiani, “assieme
ai pochi familiari pachistani che dopo averla uccisa si sono presentati a piangere sulla
sua tomba”. Per lei Hina Saleem rappresenta un simbolo. “La sua uccisione è una testimonianza
che dovrebbe spingere tutte le donne, non soltanto quelle immigrate, a riaprire
un dibattito, purtroppo necessario anche in Italia – dice Santanchè – Siamo abituati
a parlare di ‘libertà’ ormai come un dato acquisito. Ma io già non ce l’ho più questa
libertà (dopo le minacce ricevute per la pubblicazione del libro “La donna negata”, uscito
nel 2006, il Viminale ha disposto una scorta per Daniela Santanchè, che vive controllata
24 ore su 24, ndr). Per esempio mi chiedo dove sono tutte quelle donne che manifestavano
quando furono rapite le due Simone, in piazza erano centinaia all’epoca.
Adesso, nonostante le nostre sollecitazioni, rimangono a casa. Oppure sedute su un divano
di Montecitorio”. L’esponente di An denuncia soprattutto un problema, che riguarda
prima di tutto i politici, “che a parole promettono un impegno costante e poi non
si vedono mai quando c’è da esporsi per una sconosciuta”. Assieme a Souad Sbai, infatti,
Daniela Santanchè ha creato un centro di accoglienza per donne immigrate vittime di
minacce, violenze o soprusi, che opera senza campagne di sponsorizzazione, anche per
assicurare maggiore tutela alle decine di donne che si rivolgono a lei e all’associazione
di Souad Sbai. “In Parlamento si fatica a far passare il messaggio che anche in Italia
esistono dei mini-califfati islamici dove la donna viene considerata merce, e la dignità
della persona è continuamente calpestata” – spiega la deputata – “soprattutto in uno stato
in cui il ministro dell’Interno continua a parlare con un’associazione, l’Ucoii (membro
della consulta islamica, ndr), che si rifiuta di firmare una Carta dei valori che mette
l’uomo e la donna sullo stesso piano”. Peraltro l’Ucoii ha una sezione femminile, e l’onorevole
Santanchè dice al Foglio che si rivolgerà anche a loro per coinvolgerla nell’udienza.
In nome di una integrazione che a voler guardare agli appuntamenti sponsorizzati
– come quello che domenica scorsa ha portato nel centro islamico di Brescia Zeinab
Moustafa per il convegno “Identità, libertà, cittadinanza” – sembra alquanto lontana
dai tacchi della coppia Sbai-Santanchè.
Francesco De Remigis