lettera Francesco Caruso



La lettera-racconto di Francesco Caruso: 'Una notte in cpt'


Nel modulo b1 del cpt di Crotone, le luci a mezzanotte si spengono
automaticamente.
Ahmed e Ibrahin hanno finito per forza di cose di giocare a scacchi e mi
lasciano (tutto per me) quel materasso buttato lì per terra, che viene
usato a mò di divano, per stendermi e cercare di dormire qualche ora.
Chiudo gi occhi a più riprese per la stanchezza ma non ce la faccio a
dormire, sono troppo 'abbuffato', per dirla alla napoletana.  Come nei
classici cenoni di Natale di un tempo dalla nonna, arrivi ad un certo punto
che non ce la fai più.
Ma qui non sono cibi e bevande che ti riempiono lo stomaco fino
all'inverosimile, ma un mare incontenibile di angoscia e disperazione umana
che ti bombarda la coscienza, ti riempie di rabbia, ti lascia l'amaro in
bocca. E ogni storia è un pugno nello stomaco, così uguale a quella
precedente, così diversa da quella successiva.
Dopo otto ore di racconti e di parole, vorresti gridargli di smetterla, di
avere pietà del tuo senso di colpa, ma loro si aggrappano a te, a quel filo
di speranza che lo sconosciuto, primo, unico visitatore possa capire e fare
qualcosa per farli uscire dal cast di questo assurdo film dell'orrore in
cui sono finiti, loro malgrado, nel ruolo di inconsapevoli protagonisti.
La trama è quasi sempre la stessa, seppur con le dovute sfumature: la casa
e la famiglia distrutta e dilaniata dai nostrani bombardamenti umanitari o
gli scontri etnici trapiantati in terre ricchissime di oro e di petrolio di
cui gli abitanti del luogo non hanno mai potuto beneficiare; la fame e la
miseria che  falcidiano i sopravvissuti a quelle violenze e la lunga
traversata a piedi nel deserto sotto il sole a 50 gradi che falcidia i
sopravvissuti dei sopravvissuti, e poi ancora la drammatica traversata
sulle carrette del mare che decimano i sopravvissuti dei sopravvissuti dei
sopravissuti e lasciano in fondo al mare i corpi di donne, ragazzi e
bambini morti imbrigliati nel filo spinato di questo Mediterraneo diventato
ormai il nuovo muro di Berlino che non divide più l'est e l'ovest del
mondo, ma il nord ricco ed opulento da un sud lacerato, povero e
abbandonato.
Ma i vincitori di questa drammatica roulette russa, alla fine di questo
calvario, non trovano accoglienza e solidarietà, ma un nuovo capitolo di
dramma e crudeltà.
Non lo sanno ancora, e a stento riusciamo a spiegarlo, che è vero, sono
arrivati nella democratica e moderna Europa, ma i loro corpi sono rinchiusi
in uno dei tanti buchi neri della democrazia e dello stato di diritto: sono
rinchiusi dentro un cpt. Sono in attesa di essere espulsi, di ritornare
indietro di chissà quante caselle in questo perverso gioco dell'oca, la cui
posta in gioco è la loro stessa vita.
E' questa l'Europa che hanno conosciuto e conosceranno, questo ennesimo
girone infernale rinchiuso in queste quattro mura cinte da un'inferriata,
strette in un'altra inferriata e poi un muro di cinta e poi ancora una rete
di filo spinato.
Dopo ore di paziente ascolto e discussione, ti accorgi che per la
stragrande maggioranza di loro non ci sarebbe nemmeno bisogno di
organizzare un'evasione, ma un semplice e banale ricorso all'espulsione:
gli irakeni, i sudanesi, i palestinesi avrebbero il diritto all'asilo o
quantomeno alla protezione umanitaria, ma nessuno si è preoccupato di
informarli.
E così dalla protesta politica scivoliamo progressivamente verso
l'assistenza legale e umanitaria, a fare domande di asilo e nominare gli
avvocati, a tradurre e decodificare le maglie della burocrazia repressiva
nelle quali sono rimasti imbrigliati.
Qui l'assurdità non è pura follia ma quotidiana ordinarietà: è inutile
descrivere ogni caso personale e 'umano'. Alla fine, per divincolarci dalla
pur onorevole funzione di assistenza sociale e mera solidarietà, cerchiamo
di riportare alla politica la nostra 'internità' al cpt, vorremmo
organizzare un' assemblea di campo con tutti i migranti, cerchiamo di
discutere delle condizioni di vita, le carenze e le deficienze di questa
struttura, ma non ce la fanno e forse nemmeno gli interessa la qualità del
cibo, le condizioni igieniche, i servizi e le strutture. No, mi ripetono
con straordinaria lucidità politica, non è questo il cuore del problema. Il
punto dirimente non è 'how', ma il 'why' della loro detenzione
amministrativa.
Non è il come, ma il perchè.
Non è il televisore che non funziona, quello si ripara o magari si compra
anche a colori.
E' qualcosa di molto più prezioso e delicato quello che non funziona: qui,
in questi lager etnici, si è rotta la democrazia, si è frantumata la
libertà.

Da uno dei buchi neri della democrazia - Crotone, 10 dicembre 2006


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L'autoritarismo ha bisogno
di obbedienza,
la democrazia di
DISOBBEDIENZA


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