Foglio di Collegamento n. 140



Cari amici,
                   in un file Word allegato a questo messaggio trovate il
numero 140 del nostro Foglio di Collegamento il cui sommario e' riportato
qui sotto.

Si tratta dell'ultimo numero prima della pausa estiva, il successivo numero
lo riceverete all'inizio di settembre. Potremo comunque sentirci per e-mail
prima di allora.

Vi invito a dare una scorsa a tutti gli articoli senza dimenticare gli
ultimi che contengono richieste di corrispondenza provenienti da detenuti
del braccio della morte. Nella seconda parte del F. d. C. notate inoltre un
breve articolo sul sito <https://www.jpay.com/>www.jpay.com  che potra'
essere di grande utilità per chi corrisponde con i prigionieri e vuole
mandar loro dei soldi.

In questo numero è contenuto il resoconto conclusivo della Campagna per
chiedere di migliorare le orribili condizioni nel braccio della morte del
Texas. Insieme a Kenneth Foster possiamo dirci assai soddisfatti della
partecipazione dei lettori.

Guardate quanti progetti sono stai fatti durante l'Assemblea di Firenze del
4 giugno: ora dobbiamo portarli avanti!

Naturalmente fateci sapere in tutta liberta' i vostri commenti e anche le
vostre critiche su quello che scriviamo.

Cordiali saluti e... buone vacanze!
Grazia Guaschino

P. S. Loredana ringrazia i numerosi soci che, rispondendo al suo invito,
hanno rinnovato la quota associativa, alcuni con cifre superiori alla quota
ordinaria di 25 euro

****************
FOGLIO  DI COLLEGAMENTO  INTERNO
DEL COMITATO PAUL ROUGEAU

Numero 140  -  Giugno 2006
Sommario:

1 ) Le Filippine aboliscono la pena di morte
2 ) Clarence Hill ha facolta' di contestare l'iniezione letale
3 ) Ammissibili le prove del DNA a discarico anche se tardive    
4 ) Spietate reazioni ai tragici suicidi di Guantanamo 
5 ) La Corte suprema Usa definisce illegali le Commissioni militari
6 ) Nel processo farsa, l'accusa chiede la pena di morte per Saddam
7 ) Addestramento etico dei Marine in Iraq 
8 ) Pena di morte per delitti non di sangue  
9 ) Quando l'umanita' entra nel piu' buio dei luoghi 
10) Consuntivo della campagna sulle condizioni di detenzione 
11) Kenneth vuole allargare il giro di suoi corrispondenti ! 
12) Richiesta di corrispondenza dagli Usa      
13) Richiesta di corrispondenza dallo Zambia     
14) Semplicissimo inviare soldi ai detenuti con j-pay !    
15) Dal verbale dell'Assemblea di Firenze del 4 giugno   
16) Notiziario: Tennessee, Texas, Virginia



LE FILIPPINE ABOLISCONO LA PENA DI MORTE

L'impegno personale della presidente Gloria Macapagal-Arroyo, incalzata
dalla chiesa cattolica, ha portato le Filippine ad essere l'87-esimo paese
abolizionista per tutti i reati ad appena due mesi dalla commutazione
presidenziale delle 1.200 condanne capitali pendenti (v. n. 138). Il 6
giugno l'iter della legge che abolisce la pena di morte, ripristinata dal
generale Ramos nel 1993, si è concluso con una vo-tazione plebiscitaria in
Senato. La presidente ha reso operativo il provvedimento firmandolo il 24
giu-gno, alla vigilia del suo viaggio in Europa. "Ben fatto!" ha detto il
Papa due giorni dopo dandole un colpetto sulla spalla. 

Con numerosi articoli questo Foglio di Collegamento ha seguito negli anni
le alterne vicende della pena di morte nelle Filippine, ripristinata in
modo demagogico nel 1993 dal presidente Ramos, successore
dell'abolizionista Corazon Aquino, e resa effettiva dal successivo
presidente Joseph Estrada che auto-rizzò sette esecuzioni tra il 1999 e il
2000, prima di indire una moratoria che ha retto fino ad oggi.     
   Ricordiamo l'impegno degli Italiani, e in particolare dei membri del
Comitato Paul Rougeau e del Coordinamento "Non uccidere", che sollecitarono
all'inizio del 1999 un intervento papale per scongiu-rare la prima
esecuzione nel paese dopo molti anni, quella di Leo Echegaray. La
colpevolezza di quest'ultimo - accusato di aver abusato della figliastra di
10 anni - è ora messa fortemente in dubbio. Allora, per sfruttare
politicamente l'esecuzione, Joseph Estrada si mostrava in pubblico con la
'vittima' ostentando nei riguardi della ragazzina un atteggiamento
protettivo. Gloria Arroyo, che era vice presi-dente, partecipò, insieme ad
Estrada e alla first lady, alle manifestazioni in favore dell'esecuzione di
Echegaray.
   L'attuale presidente delle Filippine, emersa dalle sue sconcertanti
oscillazioni riguardo alla pena ca-pitale (v. nn. 90, 113; 99, 116,
Notiziario), appare definitivamente acquisita dalla causa abolizionista.
Nel firmare la legge 9346 che abolisce la pena di morte per tutti i reati,
in armonia con la costituzione democratica, la Arroyo ha dichiarato fra
l'altro: "Noi combatteremo il terrorismo tanto seriamente quanto ci
impegniamo per la pace e lo sviluppo, per la solidarietà nei riguardi dei
cittadini onesti e delle nostre alleanze strategiche." "Ci impegniamo
fortemente contro le minacce alla legge e alla repubblica, ma nello stesso
tempo ci sottomettiamo agli alti imperativi morali dettati da Dio
allontanandoci dalla pena capitale."
   Il Nunzio apostolico nella Filippine, arcivescovo Fernando Filoni,
congratulandosi per l'iniziativa abolizionista dell'Arroyo e del
Parlamento, ha dichiarato: "Questo può essere un altro notevole limpido
passo per mostrare che la cultura della vita è vitale ed importante in
questo paese."
   Non è stato tutto facile per Gloria Arroyo che ha dovuto fronteggiare
nell'arco di due mesi le accanite proteste - arrivate al livello
dell'offesa personale - delle forze che sostengono la pena di morte nelle
Filippine. Gruppi conservatori, associazioni per le vittime del crimine ed
anche la Federazione delle Chiese Evangeliche del paese si sono battuti per
la conservazione della pena capitale. Il 22 giugno, dopo l'approvazione
della legge 9346 ma prima della firma del provvedimento da parte della
presidente, un giudice ha perfino emesso 7 nuove condanne a morte.
   L'atteggiamento chiaro e deciso adottato da Gloria Macapagal-Arroyo in
questo frangente ha sbara-gliato ogni opposizione guadagnandole il consenso
della grande maggioranza dei politici e degli opinion leader del paese e
consentendole di incassare la piena approvazione della Chiesa cattolica
filippina. Nonché della Santa Sede. La Arroyo il 26 giugno ha donato a
Benedetto XVI una statuetta della Madonna e una copia della legge 9346
dicendo: "Questi due doni sono espressione della fede del po-polo
filippino." Il Papa si è congratulato per l'abolizione della pena di morte
esclamando "Ben fatto!" e dando un affettuoso colpetto sulla spalla della
presidente delle Filippine.


CLARENCE HILL HA FACOLTA' DI CONTESTARE L'INIEZIONE LETALE

L'attesa decisione della Corte suprema degli Stati Uniti sul ricorso di
Clarence Hill, la cui esecuzione fu sospesa in Florida il 24 gennaio quando
egli aveva già gli aghi inseriti nelle braccia, è stata resa nota il 12
giugno. La massima corte ha accolto all'unanimità il ricorso di Hill che
rivendica il diritto di conte-stare in extremis, in una causa civile, il
metodo di esecuzione mediante iniezione letale, in quanto cru-dele ed
inusuale e quindi contrario all'Ottavo emendamento della Costituzione. La
corte tuttavia nega ai condannati il diritto di prolungare a tempo
indeterminato la serie degli appelli "perché sia lo stato che le vittime
del crimine hanno un importante interesse nell'esecuzione sollecita delle
sentenze."

Negli ultimi decenni il metodo di esecuzione mediante iniezione letale ha
sostituito gli altri metodi ed è divenuto il metodo usato abitualmente
negli USA. Tutti gli stati che applicano la pena di morte, eccetto il
Nebraska che conserva la sedia elettrica, lo considerano metodo di
esecuzione primario.
   Ricordiamo che dei tre farmaci iniettati in sequenza (pentotal, curaro e
cloruro di potassio), gli ultimi due sono suscettibili di provocare intense
sofferenze al condannato se - come sembra possa facilmente avvenire - la
prima sostanza anestetizzante non funziona a dovere. La dimostrazione che
le sofferenze connesse con un metodo di esecuzione sono elevate e non
necessarie renderebbe il metodo illegale.
   Lo scorso febbraio, il giudice distrettuale californiano Jeremy Fogel
fermò l'esecuzione di Michael A. Morales e fissò un'udienza, per il
prossimo autunno, per rivedere il metodo dell'iniezione letale usato in
California.
   Poco prima di questa decisione, il 24 gennaio, la Corte suprema aveva
bloccato in extremis l'esecuzione di Clarence Hill in Florida (costui era
già legato al lettino con gli aghi inseriti nelle brac-cia) riservandosi di
esaminare un suo ricorso. Hill rivendicava il diritto di contestare
all'ultimo mo-mento - in una causa civile per violazione della legge sui
diritti civili - la liceità del metodo dell'iniezione letale, in quanto
crudele ed inusuale e quindi contrario all'Ottavo emendamento della
Costituzione.
   Il 12 giugno la Corte suprema ha deciso all'unanimità in favore del
condannato. Presentando docu-menti legali, quasi tutti gli stati che
conservano la pena di morte si erano inutilmente impegnati per pre-venire
una decisione del genere. La Corte si è rifatta ad una propria sentenza del
2004 relativa ad un al-tro problema connesso con l'iniezione letale (la
necessità di procedimenti cruenti nei casi in cui i mori-turi non abbiano
in superficie vasi sanguigni adatti all'inserzione degli aghi).
   I giudici hanno sottolineato il fatto che Hill non ha contestato la sua
colpevolezza, la sua condanna a morte o la decisione dello stato di
ucciderlo con un'iniezione letale, ma solo la particolare maniera con cui
la procedura viene eseguita. La Corte si è preoccupata in ogni caso di
rassicurare i sostenitori della pena di morte scrivendo che la sentenza non
deve causare un inaccettabile ritardo nella somministra-zione della
giustizia con il prolungamento a tempo indeterminato degli appelli "perché
sia lo stato che le vittime del crimine hanno un importante interesse
nell'esecuzione sollecita delle sentenze."
   Alcuni esperti dicono che la decisione del 12 giugno potrebbe avere un
effetto rilevante, anche se li-mitato nel tempo. Eric M. Freedman, docente
di legge all'Università di Hofstra, ha dichiarato: "Signi-fica che ogni
stato dovrà rivedere il suo protocollo sull'uso dei farmaci letali.
Potranno impiegarci un anno, o un paio d'anni, per perfezionare la cosa, a
seconda di quanto velocemente si attiveranno".
   Per la verità, essendosi la massima corte rifiutata anche recentemente
di intervenire sulla costituzio-nalità in sé e per sé dell'iniezione letale
(v. n. 139), tale parere sembra troppo ottimistico. In effetti, no-nostante
gli sforzi degli avvocati difensori, dopo il 12 giugno le esecuzioni non si
sono fermate negli USA ed entro la fine del mese ne sono state portate a
termine altre tre.
   Mentre l'Arkansas e il Missouri hanno sospeso le esecuzioni in giugno,
il 19 del mese la Corte Crimi-nale d'Appello dell'Oklahoma ha sentenziato
che il metodo dell'iniezione letale è costituzionale, umano ed efficace.
    Probabilmente gli stati 'forcaioli' modificheranno i dosaggi dei
farmaci o la loro natura, ben decisi a continuare o a riprendere quanto
prima le esecuzioni, ma se non altro la sentenza del 12 giugno aumen-terà i
problemi per i boia - cui la classe medica si rifiuta compatta di venire in
soccorso (v. n. 136) - e getterà un'altra palata di fango sull'immagine
della pena di morte, sottolineando come sia assurdo di-fendere una
punizione, comunque crudelissima, cercando di spacciarla per indolore,
umana ed etica-mente accettabile.


AMMISSIBILI LE PROVE DEL DNA A DISCARICO ANCHE SE TARDIVE

Il 12 giugno, insieme alla decisione riguardante l'iniezione letale, la
Corte Suprema USA ha reso nota un'altra importante decisione favorevole ai
condannati a morte: una prova del DNA che metta in discus-sione l'impianto
accusatorio dà diritto ad un condannato a morte di ottenere la riapertura
del caso, anche se sono passati molti anni dal processo.

La decisione, che ha portata generale, è stata presa in accoglimento del
ricorso di un certo Paul Gregory House. House, un uomo già in carcere per
stupro in Tennessee e liberato sulla parola, vent'anni fa fu ritenuto
colpevole dell'assassinio di Carolyn Muncey, una sua vicina di casa.
L'accusa sostenne che egli aveva cercato di violentare la donna. Gli
avvocati hanno ora dimostrarono con il test del DNA che una macchia di
liquido seminale sulla camicia da notte della vittima apparteneva a suo
marito e non a Paul House.
   In una delibera presa a stretta maggioranza, con 5 voti contro 3, la
Corte Suprema ha stabilito che questa prova è motivo sufficiente per
riaprire il caso. Il giudice Alito - non ancora in carica al momento della
discussione del ricorso - non ha partecipato alla sentenza. E' stato il
giudice Anthony M. Kennedy a determinare con il suo voto la differenza.
Dopo il pensionamento della giudice Sandra Day O'Connor, è lui che ha
assunto il ruolo di arbitro, nei casi in cui la corte risulta divisa a
metà, tra conservatori e moderatamente progressisti. I nuovi giudici
Roberts ed Alito, nominati da George W. Bush in sostitu-zione di Rehnquist
e della O'Connor, votano infatti con notevole coerenza a favore delle
sentenze più conservatrici.
   Kennedy ha scritto che la nuova prova non esclude che House sia
colpevole di omicidio, tuttavia la prova del DNA inficia l'affermazione
dell'accusa che House avesse assalito la vittima per stuprarla. Di fatto,
la prova non vanifica l'incriminazione di House, ma gli dà la possibilità
di argomentare in una corte federale che la sua condanna fu
incostituzionale perché la giuria, se fosse venuta a conoscenza di una
prova che coinvolge nel caso il marito della vittima, avrebbe potuto
decidere diversamente da come fece vent'anni fa. (Grazia)


SPIETATE REAZIONI AI TRAGICI SUICIDI DI GUANTANAMO

Nel precedente bollettino abbiamo parlato delle accuse di tortura contro
gli Stati Uniti, formulate in maggio dal Comitato Contro la Tortura
dell'ONU, che si sono concluse, fra le altre cose, con la richie-sta della
chiusura del campo di detenzione di Guantanamo, considerato il simbolo più
vistoso delle vio-lazioni compiute dagli Americani. Pochi giorni dopo,
quasi a confermare le accuse del Comitato Contro la Tortura, tre
prigionieri di questo allucinante campo di concentramento sono riusciti a
suicidarsi. Gli Stati Uniti considerano questi suicidi nient'altro che un
atto di guerra nei loro confronti.

Dei tre prigionieri che si sono tolti la vita impiccandosi a Guantanamo il
10 giugno, due erano sauditi, l'altro era uno yemenita. Il più giovane
aveva solo 21 anni. Queste tragiche impiccagioni - a detta delle autorità
statunitensi - sono le uniche "riuscite", ma i tentativi di suicidio sono
stati numerosissimi.
   La morte dei tre uomini è solo la punta di un iceberg. E' il prodotto
più visibile di un'atroce soffe-renza che si sta protraendo da anni, a
causa delle disperate condizioni di vita dei prigionieri, che "vege-tano"
rinchiusi in un luogo dove il tempo sembra essersi bloccato nel corso di un
incubo, dal quale il ri-sveglio non pare possibile né prevedibile.
   Il dramma di questi prigionieri è ormai sotto gli occhi di tutti, sia in
America che nel resto del mondo, sia degli alleati dell'amministrazione
Bush, più o meno consenzienti alla "guerra al terrore", sia dei suoi nemici.
   Reazione ovvia e sensata a questi suicidi da parte dell'amministrazione
americana, avrebbe potuto es-sere l'immediata decisione di porre la parola
"fine" al famoso campo di detenzione. Ciò sarebbe ap-parso perlomeno un
tentativo, con una parvenza di credibilità, di dimostrare coerenza con il
tanto sban-dierato ossequio per i diritti umani da parte degli USA.
   Tutt'altra invece è stata la reazione dei diretti responsabili del
carcere prima, e, salendo nella  gerar-chia, delle massime autorità
americane.
   L'ufficiale Robert Durand, portavoce del campo di prigionia e del
comparto interrogatori di Guantanamo, ha detto che sono state subito
riesaminate le procedure di detenzione, per determinare quali cambiamenti
occorrono per evitare futuri tentativi di suicidio: per  cominciare saranno
variati i turni di guardia in modo tale da far sì che i prigionieri non
sappiano quando sono osservati e non pos-sano quindi sapere quando possono
agire di nascosto.
   Un altro ufficiale dell'esercito, tale Henry Harris, ha dichiarato che
questi suicidi sono stati "atti di guerra asimmetrici." "Non atti di
disperazione, bensì sforzi coordinati da parte di tre combattenti dediti
alla loro missione", implicitamente affermando che si tratta di azioni
contro le quali prendere misure di-fensive, non certo da compatire. Ma il
colmo della spregiudicatezza è stato raggiunto dalla dichiara-zione di
Colleen P. Graffy, un funzionario del Dipartimento di Stato che ha il
compito di migliorare l'immagine degli Stati Uniti nel mondo. Ebbene,
questo signore ha dichiarato alla BBC che queste morti tra i detenuti di
Guantanamo rappresentano "una buona mossa di 'public relations' per
attirare l'atten-zione"!
   Il mondo arabo e i sostenitori dei diritti umani hanno palesato il
disgusto per tale affermazione.
   Amnesty International, reiterando l'invito a chiudere immediatamente il
campo, ha chiesto un'investi-gazione effettuata da personale civile sulle
morti di Guantanamo e ha condannato con vee-menza la dichiarazione di
Graffy, segnale di "un gelido disprezzo della vita umana" da parte delle
auto-rità go-vernative degli Stati Uniti, mentre il "Times" ha domandato
invano di poter intervistare lo psico-logo militare di Guantanamo.
Immediato è stato infatti l'ordine impartito dall'alto di mantenere il
si-lenzio e una totale segretezza sulle indagini in corso nel carcere.
   Persino sulla sorte dei tre cadaveri il destino si deciderà dall'alto.
Il portavoce del campo ha infatti di-chiarato che, mentre il governo
saudita ha richiesto la restituzione delle salme dei due suoi cittadini,
l'amministrazione carceraria sta aspettando disposizioni dalle autorità
superiori, nella speranza che giungano presto, ed è disponibile a seguire
qualsiasi istruzione, inclusa la sepoltura dei tre corpi nel ci-mitero
della base navale.
   Di fatto, mentre il mondo è indignato e pone domande pressanti,
l'arrogante risposta americana è che solo il Pentagono deciderà sulle
questioni di vita e di morte a Guantanamo. (Grazia)


LA CORTE SUPREMA USA DEFINISCE ILLEGALI LE COMMISSIONI MILITARI

Le Commissioni Militari istituite da George W. Bush, all'indomani degli
attentati dell'11 settembre del 2001, per giudicare stranieri accusati di
terrorismo e insediate nel tristemente famoso Campo di Guantanamo non hanno
mai potuto cominciare a funzionare regolarmente per i ricorsi presentati
dagli imputati che contestano la legalità delle stesse (v. nn. 120, 131).
Il 29 giugno, nel momento stabilito per l'inizio dei procedimenti a carico
di dieci detenuti scelti dal governo americano per essere processati, una
sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti ha messo fuori legge tali
Commissioni argomen-tando che il presidente Bush non aveva l'autorità di
istituirle  senza il mandato del Congresso. Nella sentenza, la massima
corte scrive anche che le Commissioni Militari (che furono subito definite
dai cri-tici 'tribunali di canguri') mancano dei requisiti minimi di
giustizia stabiliti dalla legge e dalle Conven-zioni di Ginevra.

La sentenza della Corte Suprema USA resa nota il 29 giugno, adottata a
stretta maggioranza (con 5 voti a favore e 3 contrari espressi dei giudici
ultraconservatori), è stata definita dal New York Times la più netta
sconfitta legale dell'amministrazione Bush nel corso della 'guerra al
terrore'.
   La sentenza prodotta dal ricorso di Salim Ahmed Hamdan (il cui reato è
quello di essere stato per un periodo autista di Osama bin Laden) vanifica
in pieno la pretesa di Bush di avere mano libera, in qualità di comandante
in capo in tempo di guerra, nel decidere quali sospetti terroristi devono
essere detenuti, come devono essere trattati, come devono essere processati
e quali reati si debbano classificare come crimini di guerra. Per la
maggioranza della Corte suprema, le Commissioni militari sono illegali
perché non raggiungono gli standard previsti dal Codice Uniforme di
Giustizia Militare e dalle Convenzioni di Ginevra.
   L'opinione di maggioranza è stata scritta dall'ottantaseienne giudice
John Paul Stevens che è l'ultimo reduce della II guerra mondiale a sedere
nella Corte. Essa prospetta una visuale della Costituzione in tempo di
guerra diametralmente opposta a quella del presidente Bush: la Costituzione
dà al Congresso il potere di fare le leggi e di stabilire le regole per
trattare i prigionieri di guerra e di definire i crimini di guerra.
   Si prevede che la sentenza del 29 giugno non avrà estesi effetti pratici
(alcuni detenuti potranno essere processati secondo le regole dei normali
Tribunali militari o secondo nuove regole approvate dal Congresso) né
renderà più umano il trattamento dei meschini accusati di essere 'nemici
combattenti' nella 'guerra al terrore'. Essa però ravviva le speranza di
chi crede che il concetto di stato di diritto, che fu messo alla base del
grande paese nordamericano fin dal 1776 con la Dichiarazione di
Indipendenza, sia ancora vivo nella coscienza degli Americani anche se
parzialmente offuscato dalle tragiche vicende belliche degli ultimi cinque
anni.


NEL PROCESSO FARSA, L'ACCUSA CHIEDE LA PENA DI MORTE PER SADDAM

"Bravo, benissimo!": il 19 giugno Saddam Hussein ha commentato con due sole
ironiche parole la ri-chiesta della pena di morte per impiccagione nei suoi
confronti formulata dall'accusatore Jaafar al-Moussawi. La 'massima pena' è
stata chiesta anche per i tre principali coimputati. La pena capitale per
Saddam era attesa da tutti, quasi come un adempimento rituale,  nonostante
il fatto che i reati gravissimi contestati a Saddam e agli altri -
esecuzioni sommarie, torture, distruzione generalizzata di beni - non siano
stati provati in modo chiaro, esauriente, equilibrato ed attendibile. Nel
corso di un processo cao-tico che non ha visto più di una trentina di
udienze nell'arco di otto mesi, costellato di intimidazioni e di minacce di
morte nei riguardi dei partecipanti, sono state uccise almeno 10 persone,
tra cui un giudice, tre avvocati difensori e forse alcuni testimoni a
discarico.

"L'accusa chiede la pena massima per questi imputati" ha detto il 19 giugno
Jaafar al-Moussawi. "Essi non hanno avuto pietà, neanche per le donne e i
bambini, e perfino gli alberi dei frutteti non si salvarono dalla loro
repressione. La legge prevede la pena di morte per tali crimini, e noi
domandiamo che sia ap-plicata nel caso questi uomini."
   Nella sua drammatica requisitoria finale l'accusatore capo, prima di
chiedere le sentenze di morte, ha ricapitolato le accuse contro Saddam
Hussein e i suoi principali ex collaboratori, Barzan Ibrahim Hasan
al-Tikriti, fratellastro di Saddam ed ex capo della polizia segreta, Taha
Yassin Ramadan, ex vice presi-dente, ed Awad al-Bandar, ex giudice capo del
Tribunale rivoluzionario.
  Jaafar al-Moussawi non ha richiesto la pena capitale pur autorizzata dal
Tribunale - bensì punizioni lievi o nulle - per i rimanenti quattro ex
collaboratori di Saddam Hussein sotto processo davanti al Tribunale
speciale iracheno di Baghdad.
    Saddam e i suoi tre principali collaboratori sarebbero responsabili tra
l'altro di esecuzioni conseguite ad un processo irregolare, dell'uccisione
sotto tortura di 46 prigionieri, della deportazione in una zona desertica
di altre 399 persone, della distruzione sistematica di frutteti e di palme
da dattero nei pressi della città di Dujayl oggetto della repressione
cominciata nel 1982 in occasione di un fallito attentato contro lo stesso
Saddam Hussein.
  Jaafar al-Moussawi ha citato il Tribunale di Norimberga, che giudicò i
Nazisti nel 1945, per dimostrare che "il criminale" (Saddam) "fu
responsabile" di delitti che raggiungono lo standard dei crimini contro
l'umanità "o perché sapeva di essi, o perché essi vennero perpetrati in
base ad ordini che egli aveva per-sonalmente approvato."
   Moussawi ha cominciato la sua requisitoria col dire che la
falsificazione era alla base del comporta-mento di Saddam Hussein e dei
suoi complici. Ha quindi tirato fuori, in modo pressoché gratuito, anche
l'accusa di aver simulato l'attentato del 1982: Saddam avrebbe ordinato di
sparare contro l'autocolonna nella quale viaggiava una 'debole raffica' di
colpi. "L'attentato è stato un'invenzione machiavellica di Saddam Hussein"
per giustificare la repressione, ha affermato l'accusatore.
   Similmente è stato presentato come un'impostura il processo capitale a
148 abitanti di Dujayl - di cui 20 minorenni all'epoca dell'attentato -
davanti al Tribunale rivoluzionario presieduto da Awad al-Bandar. Secondo
Moussawi il processo si svolse solo sulle carte senza avvocati difensori e
senza pre-sentazione di prove, né fu consentito appello contro le 148
sentenze di morte comminate. Per di più, se-condo l'accusa,  all'epoca del
processo 46 imputati erano già deceduti, periti sotto tortura nelle carceri
del regime.
    A proposito dell'uccisone dei 148 cittadini di Dujayl, si è verificato
una specie di giallo in quattro tempi.
   Un anonimo testimone a discarico ha affermato in aula il 30 maggio che
oltre una ventina dei presunti giustiziati di Dujayl sarebbero ancora vivi
(v. n. 139). Costui insieme ad altri tre testimoni della difesa sono stati
incarcerati (e forse malmenati) il giorno dopo per ordine del presidente
del Tribunale con l'accusa di falsa testimonianza. Gli stessi testimoni
sono ricomparsi in aula il 12 giugno dichiarando sotto giuramento che la
difesa di Saddam li aveva indotti - con minacce e blandizie - a
testimoniare il falso. La difesa di Saddam, a sua volta, ha accusatoŠ
l'accusa e il tribunale di aver minacciato i testi-moni per indurli a
ritrattare e ad autoaccusarsi di falso.
   Questo è solo un esempio delle mille assurdità che rendono il
procedimento in corso a Baghdad scar-samente credibile.
   Un altro elemento che rende ingiusto il processo contro Saddam Hussein è
la scarsità dei fondi per la difesa e la totale disorganizzazione dei
servizi per gli avvocati difensori che non riescono neanche ad avere in
tempo utile le trascrizioni delle sedute.
   Per non parlare della carenza della sicurezza personale e delle minacce
e degli attentati che si sono avuti durante tutto il periodo del processo
la cui fase preliminare è cominciata il 18 dicembre 2004 e la cui fase
dibattimentale ha avuto inizio il 19 ottobre 2005. Tra i 10 attentati
mortali che come minimo si sono verificati, ci sono stati quelli contro il
giudice Barwize Mohammed Mahmoud al-Merani ucciso il 1° marzo 2005 e quelli
contro gli avvocati difensori Sadoun al-Janabi e Adel Muhammad al-Zubaidi
uc-cisi rispettivamente il 20 ottobre 2005 e l'8 novembre 2005. Si è
parlato inoltre dell'assassinio di al-meno un testimone a difesa.
    Ultimo fatto sconcertante in ordine di tempo è l'eliminazione di un
personaggio di importanza cru-ciale nella difesa di Saddam Hussein e di
Barzan Ibrahim Hasan al-Tikriti, il noto e stimato avvocato Khamis Ubaidi
(*). Ubaidi il 21 giugno sarebbe stato prelevato presso la sua abitazione
da uomini ar-mati che avevano divise e documenti di riconoscimento del
Ministero degli Interni iracheno. Il suo corpo crivellato di colpi e con
ferite da percosse è stato ritrovato due ore più tardi. Khamis Ubaidi ha
la-sciato sei orfani. Sua moglie accusa il governo. La sdegnata smentita
del Ministero degli Interni non dissipa tutti i dubbi dal momento che
squadroni della morte di etnia sciita di ispirazione governativa si sono
resi responsabili di numerose esecuzioni extragiudiziarie per rappresaglia
contro gli attacchi degli insorti sunniti.
    Khamis Ubaidi è stato ucciso nel momento più delicato, dopo la
conclusione della requisitoria dell'accusa e prima delle arringhe finali
della difesa. Egli stava per recarsi ad Amman allo scopo di concordare con
gli altri legali gli interventi conclusivi da tenere alla ripresa del
processo fissata per il 10 luglio. Dopo questo fatto a dir poco
increscioso, la Corte, su indicazione delle autorità americane ed
ira-chene, ha respinto la richiesta della difesa di spostare più in là nel
tempo la ripresa dal processo in modo da potersi in qualche maniera
riorganizzare.
____________
(*) Il nome dell'avvocato viene anche trascritto Khamis al-Obeidi


ADDESTRAMENTO ETICO DEI MARINE IN IRAQ

Nel tentativo di placare l'indignazione sollevata dalla strage, da parte
dei "Marine", di almeno 24 civili innocenti nella città sunnita di Haditha,
avvenuta il 19 novembre scorso e fatta passare in un primo tempo per una
battaglia contro gli insorti, otto marine sono stati arresti e messi sotto
inchiesta nella base di Camp Pendleton in California. Nei riguardi dei
responsabili di questo e di altri tragici episodi la legge statunitense
prevederebbe la pena di morte. Per attenuare le critiche, il comando delle
truppe americane in Iraq ha infine deciso di istituire un corso di
'addestramento etico' per i militari, precisando tuttavia che il 99,9 % dei
soldati che operano nel paese mesopotamico si comportano già secondo le
regole.

Recentemente anche il governo iracheno ha preso una posizione dura contro i
comportamenti violenti e ingiustificabili dei militari americani, da quando
è emerso che lo scorso novembre i soldati americani hanno assassinato
almeno 24 civili, tra cui vecchi, donne e bambini, ad Haditha, per
rappresaglia contro l'uccisione di un loro commilitone, provocata da una
bomba fatta esplodere in mezzo alla strada al pas-saggio di un convoglio di
blindati.
   Quattro sono gli episodi di violenza letale sui civili su cui gli
Americani sono stati costretti ad aprire inchieste in giugno, dopo quella
avviata in maggio sulla strage di Haditha documentata da foto
inequi-vocabili riprese con un telefono cellulare.
   Quattro militari sono stati incolpati dell'omicidio di tre detenuti
avvenuto il 9 maggio e di minacce contro un collega che avrebbe potuto
denunciarli.
   Il corpo dei Marine ha incriminato sette Marine e un medico della Marina
militare per il rapimento e l'uccisione di un uomo presso Baghdad avvenuti
il 26 aprile e per aver simulato un combattimento mettendo in mano al morto
un Kalshnikov e un badile (con il quale avrebbe tentato di seppellire una
mina).
   Due membri della Guardia nazionale sono stati incriminati dell'omicidio
colposo di un cittadino di-sarmato ucciso il 15 febbraio.
   Il 24 giugno infine gli Americani hanno aperto un'inchiesta su cinque
soldati che il 12 marzo avreb-bero ucciso una giovane donna, violentata da
almeno uno di loro, e tre familiari, incluso un bambino, per non lasciare
testimoni. Anche questo fatto in un primo tempo sarebbe stato classificato
come un 'combattimento contro gli insorti'.
   I giornali americani hanno parlato di possibile pena di morte per molti
dei militari coinvolti nelle ucci-sioni e ora sotto inchiesta, ma le
autorità militari invitano alla cautela mentre conducono in assoluto
se-greto le loro indagini.
   Il primo ministro iracheno Nouri Maliki ha dichiarato che la dignità
dell'Iraq è stata calpestata, che l'uccisione di civili "avviene
regolarmente" e ha promesso di aprire trattative con le autorità militari
straniere per stabilire regole basilari che definiscano standard di
comportamento inerenti le incursioni e le detenzioni.
   Gli Americani hanno reso noto per contro che nei campi di addestramento
dei Marine viene letto il te-sto delle Convenzioni di Ginevra, e a coloro
che sono destinati alla missione in Iraq viene insegnato il regolamento che
definisce l'uso di forza letale. I soldati vengono anche impegnati in
esercizi miranti a testare le loro reazioni di fronte a scene che simulano
la confusione e la complessità dell'ambiente ira-cheno. Quando arrivano sul
posto, i Marine ricevono ulteriori istruzioni da avvocati militari circa la
ne-cessità di identificare gli individui e di capire se si tratta di
combattenti, prima di sparare.
   Probabilmente quest'ultimo insegnamento non risulta molto chiaro e ben
compreso, viste le numerose vittime che si registrano ai posti di blocco:
il 31 maggio ha suscitato scalpore l'uccisione a Samarra di una partoriente
e della madre di lei, freddate dai fucili americani, mentre si recavano in
auto all'ospedale condotte dal  fratello della donna incinta.
   Il 1° giugno i militari americani hanno reso noto che il vice comandante
in Iraq, generale Peter Chiarelli, ha dato istruzioni affinché entro trenta
giorni venga fornito un ulteriore addestramento alle truppe: dovranno
essere insegnati ai soldati i valori militari, le aspettative della cultura
irachena e una materia che l'esercito definisce "condotta disciplinata e
professionale durante il combattimento".
   Il generale William B. Caldwell IV, portavoce delle forze armate
americane in Iraq, dice che si stanno svolgendo "attente indagini" sul
comportamento vergognoso di alcuni militari.
   Caldwell ha dichiarato "Siamo qui in qualità di ospiti del popolo
iracheno. Ed è come ospiti che do-vremmo comportarci".
   Ospiti? Mentre scriviamo questo articolo viene divulgata la notizia di
un video, che circolerebbe tra le truppe in Iraq, di un Marine che canta
una lugubre canzone. Il canto descrive la morte di una bimba ira-chena,
tenuta ferma da un soldato americano, colpita da proiettili statunitensi,
con il sangue che le cola sul volto mentre il resto della famiglia viene
distrutto. Si sentono nel video le risate del pubblico, com-posto dai
commilitoni di questo eccezionale cantante.
   Non voglio essere pessimista, ma dubito che il nuovo addestramento etico
dei Marine provocherà ra-dicali cambiamenti nella condotta di questi
soldati nel caotico teatro di guerra iracheno. Del resto, come può
l'autorità americana insegnare seriamente valori morali, quando i primi a
dimostrare un'insufficiente considerazione della vita umana sono, a tutti i
livelli, i membri del governo statuni-tense? (Grazia)




PENA DI MORTE PER DELITTI NON DI SANGUE

Il 9 giugno l'Oklahoma è diventato il quinto stato nordamericano ad avere
una legge che consente la pena di morte per i recidivi di crimini sessuali
nei confronti di bambini, il giorno prima la North Carolina aveva approvato
una legge simile. Gli sforzi in atto negli USA di estendere la pena di
morte a fattispecie di reato non di sangue, così come i tentativi di
ripristinare la pena capitale in stati che non la prevedono da molto tempo,
violano lo spirito dei trattati internazionali sui diritti umani che
tendono a limitare sempre più l'applicazione della pena di morte in attesa
della sua abolizione universale.

Quando vengono messe sotto pressione nelle sedi internazionali, le autorità
dei paesi che mantengono la pena di morte rispondono che la pena capitale è
riservata agli autori dei delitti più gravi, agli omicidi più spietati.
Eppure nella maggioranza di tali paesi si può essere giustiziati per
delitti non di sangue, come i reati politici contro la sicurezza dello
stato, i reati di droga, lo stupro, i reati economici, le violazioni dei
precetti etici o religiosi.
   Le violenze sessuali figurano spesso tra i delitti che comportano la
morte. Ma sono tra i meno coe-rentemente puniti.
   Nei paesi islamici la violenza sessuale nei riguardi delle donne viene
raramente punita e non sono in-frequenti casi in cui è addirittura la donna
stuprata ad essere uccisa dai congiunti - su indicazione delle autorità
tribali - per "lavare l'onore" familiare.
   Negli Stati Uniti un uomo può essere condannato al carcere a vita per
uno stupro senza che vi siano contro di lui inoppugnabili prove
accusatorie, specie se è un nero accusato di aver violentato una donna
bianca.
   Ma il più delle volte i violentatori non vengono neanche perseguiti.
Ricordiamo, ad esempio, che non furono mai perseguite le continue
aggressioni sessuali subite dal nostro amico Joe Cannon a partire dai 6
anni di età e fino ai 17 quando commise l'omicidio insensato che gli costò
la condanna a morte. Tali violenze - e le violenze familiari di altro tipo
descritte nella domanda di grazia rivolta al governatore del Texas George
Bush - non furono nemmeno considerate attenuanti sufficienti ad evitarli
l'iniezione letale, che Joe subì il 22 aprile 1998.
   Negli ultimi decenni negli USA vi sono state alcune condanne a morte per
violenza carnale, ma non c'è stata alcuna esecuzione per tali reati dopo il
1964. Dal momento in cui la Corte suprema ripristinò la pena capitale nel
1976, nessuno è stato giustiziato per crimini che non hanno comportato
almeno un omicidio.
   Prima della messa fuori legge della pena capitale del 1972, 16 stati e
il governo federale consentivano la pena capitale per stupro. La Corte
suprema nel 1977 ha sentenziato che la pena di morte inflitta a Ehlich
Coker, violentatore di una donna in Georgia, fu sproporzionata rispetto al
crimine e in quanto tale da considerarsi crudele e inusuale e perciò
proibita dalla costituzione. "La vita è finita per la vittima di un
omicidio" scrisse il giudice Byron R. Withe per la maggioranza. "Per la
vittima di uno stupro, la vita può non essere così felice come lo era prima
ma non è finita, e normalmente non ha subito un danno irreparabile."
    Il caso della Georgia riguardava però una donna adulta. In seguito -
come abbiamo detto - cinque stati hanno reintrodotto la pena di morte per
reati sessuali nei confronti di bambini. Alla Florida, alla Louisiana e al
Montana, si sono ora aggiunte l'Oklahoma e la North Carolina. In Oklahoma
la pena di morte è stata consentita per la recidiva nello stupro e in altri
reati sessuali ai danni di minori di 14 anni; l'analoga legge della North
Carolina consente una sentenza capitale nei confronti di recidivi in reati
ses-suali contro minori di 11 anni.
   Il Governatore della North Carolina Mark Sandfor ha dichiarato che la
legge approvata l'8 giugno "costituisce un deterrente incredibilmente forte
per i criminali che siano stati rilasciati." Dal canto suo Trey Walker,
vice del Ministro della giustizia della North Carolina, prevede che nei
vari stati ci saranno sempre più leggi che renderanno i crimini sessuali
contro i bambini reati capitali. "Questa è una cosa che la Corte suprema
tiene in considerazione," ha affermato. "Non ci sono molti dubbi che la
nostra legge sarà confermata e ritenuta costituzionale."
   Noi preferiamo dar credito a chi prevede che invece leggi come questa,
che espandono i reati capitali, saranno - prima o poi - bocciate dalla
Corte suprema. Tuttavia ci preoccupa la tracotanza con cui i so-stenitori
della pena capitale in USA cercano di porsi in controtendenza con il resto
del mondo quasi a dimostrare la vitalità e l'equità della pena di morte.
Sono da leggere in questo senso anche la ripresa delle esecuzioni in
Tennessee e soprattutto i ripetuti tentativi di ripristinare la pena di
morte in stati abolizionisti. Come il caparbio tentativo del governatore
del Massachusetts, fallito nel mese di novem-bre scorso - e il tentativo in
atto nel Wisconsin, uno dei primi stati abolizionisti - con l'indizione di
un referendum in materia (v. n. 139).


QUANDO L'UMANITÀ ENTRA NEL PIÙ BUIO DEI LUOGHI di Charles Perroud (*)

La nonviolenza è la risposta alle domande politiche e morali del nostro
tempo. Vi è la necessità da parte dell'umanità di vincere l'oppressione e
la violenza senza ricorrere all'oppressione e alla vio-lenza. L'umanità
deve sviluppare un metodo di gestire i conflitti che rifiuti la vendetta,
l'aggressività e la rappresaglia. Il fondamento di questo metodo è l'amore.
(Martin Luther King)

L'ultimo dei luoghi in cui ci si aspetterebbe di vedere il metodo della
resistenza nonviolenta in piena at-tività, secondo gli insegnamenti del
dottor King e l'eredità del satyagraha di Mahatma Gandhi, è il brac-cio
della morte del Texas.
   Eppure è proprio ciò che sta accadendo nel luogo su cui i cittadini
onesti che pagano le tasse preferi-rebbero chiudere gli occhi e del quale
vorrebbero gettare via le chiavi. Non potrebbe importare loro di meno ciò
che accade ad individui considerati "sub-umani", al massimo meritevoli di
morire il più in fretta possibile; non importa se alcuni sono stati
condannati ingiustamente (come possono dimostrare le 123 persone liberate
dal braccio della morte in tutti gli Stati Uniti, dagli anni '70 ad oggi) o
quanto meno condannati non tanto per il crimine che hanno commesso, ma
piuttosto per la loro povertà, razza o altri fattori sociali,
impossibilitati ad ottenere una valida difesa legale e, alla fine del
processo, un giudi-zio espresso da una giuria formata da loro simili.
   Un gruppo di detenuti appassionati e generosi hanno posto i loro corpi
sulla linea del fuoco, hanno messo a rischio i cosiddetti "privilegi" o
"lussi" (come un'ora fuori cella o una doccia al giorno) nel corso di una
protesta nonviolenta allo scopo di ottenere il rispetto dei diritti umani
basilari. La loro azione è stata contrastata con l'uso della forza, con
dure rappresaglie, senza rispettare le regole da parte dell'amministrazione
carceraria, convinta che la propria opinione costituisca la regola.
   Il movimento nonviolento D.R.I.V.E., lungi dall'essere passivo, è
impegnato dal novembre 2005 in azioni di resistenza che cercano di
suscitare la consapevolezza nei riguardi di esseri umani indipenden-temente
da ciò di cui sono stati accusati.
   La massima enfasi è da porre nella compattezza del movimento; gli
obiettivi non riguardano i singoli individui coinvolti ma tutta la
popolazione carceraria. Troppo spesso e tristemente, l'atteggiamento dei
prigionieri è di rassegnazione nel proprio destino con una contemporanea
ricerca di piccole soddisfa-zioni in termini di privilegi personali che
diano un po' di sollievo alle loro giornate, spesso a danno di altri o del
benessere collettivo. Il movimento D.R.I.V.E. ha l'obiettivo ambizioso e
tuttavia raggiungi-bile di cercare di farsi sentire non solo da chi
gestisce la Polunsky Unit di Livingston in Texas, ma da tutta
l'amministrazione carceraria, per portare le condizioni di detenzione ad un
livello di decenza e far entrare l'umanità all'interno delle mura oscure
del braccio della morte.
   Le diverse strategie utilizzate, come il rifiuto di lasciare la doccia o
l' "occupazione" delle feritoie per il cibo, hanno prodotto innumerevoli
attacchi con il gas urticante, che lascia i detenuti soffocati e
anna-spanti alla ricerca di aria, la negazione di basilari servizi igienici
ed alimentari, la negazione di un cibo che persino il Capo delle guardie ha
ammesso non essere adatto ad esseri umani, e così via.
   Ciononostante, le tattiche di rappresaglia da parte degli agenti
penitenziari, lungi dal produrre l'effetto desiderato, hanno ottenuto il
contrario: sono servite a rafforzare la determinazione contro la bieca
op-pressione e hanno allargato il sostegno da parte del "mondo esterno", in
quanto la dedizione dei parteci-panti alla loro causa ha attratto una rete
ben organizzata di attivisti dei diritti umani e di loro amici. Questo
fenomeno non è ovviamente senza precedenti - pensiamo a ciò che avvenne
all'epoca della lotta per i Diritti Civili - e trova la sua ispirazione
nella stessa fonte di umanità e di dedizione al benessere comune, come
fecero un tempo i leader del Movimento per i Diritti Civili.
   Nelson Mandela una volta disse: "Nessuno conosce davvero una nazione
fino a quando non è stato dentro le sue carceri. Una nazione non dovrebbe
essere giudicata per come tratta i cittadini di alto rango ma per come si
comporta con quelli di rango più basso". Bene, questo concetto esprime in
modo ele-gante l'obiettivo del D.R.I.V.E. E' lungi dall'essere un tentativo
di glorificare certi individui o di dipin-gerli tutti come vittime
innocenti di un sistema malvagio. Tuttavia, non promuove neppure il
concetto dell'"occhio per occhio" che perpetua solo odio e violenza.
   Ciò che si intende ottenere attraverso questa resistenza nonviolenta è
di restituire la dignità ad esseri umani che vivono in condizioni squallide
(descritte in 24 argomentazioni che si possono trovare nel  "DRIVE
Handbook" riportato nel relativo sito). Si vuole contribuire a mettere in
piedi un clima in cui la gente sia portata a prendere in considerazione
l'assoluta urgenza di una società più giusta, che elimini alle radici i
fattori che hanno contribuito alla violenza e alla sfiducia che pervadono
tutte le classi so-ciali. Si vuole infine arrivare all'abolizione di questo
atto barbaro e violento di pura vendetta e di di-sprezzo della vita umana
che è la pena di morte.
   Non c'è modo migliore di concludere l'articolo che citare le parole
degli stessi contestatori:
"La gente cerca di definire le persone e i gruppi - persino quando si
guarda indietro alla storia, e alle azioni un tempo compiute, si cerca
ancora di ridefinirle. Noi cerchiamo di darci una definizione nel senso che
quando la storia guarderà indietro a noi, capiranno che siamo stati
fondatori di una nuova tendenza. Noi non stiamo comodi all'interno di
stereotipi. Il D.R.I.V.E. è un gruppo ricco di sfaccetta-ture. Non siamo né
violenti, né passivi. Siamo combattivi. Siamo coloro che oppongono
resistenza. Siamo attivisti diversi, ma soprattutto possiamo essere
considerati uomini che abbracciano la causa della sacralità della vita e
che cercano di affermare la piena misura della loro umanità in faccia a
co-loro che cercherebbero di distruggerla".
__________
(*) Charles Perraud, esponente del movimento D.R.I.V.E., è un attivista per
i diritti umani e uno studioso degli insegnamenti di Martin Luther King.
Può essere contattato all'indirizzo: innocent.criminal51 at gmail.com
Questo articolo viene pubblicato su proposta di Kenneth Foster  in
sostituzione del suo abituale articolo personale


CONSUNTIVO DELLA CAMPAGNA SULLE CONDIZIONI DI DETENZIONE

Il bilancio della campagna di lettere per ottenere migliori condizioni di
detenzione nel braccio della morte del Texas ha pienamente soddisfatto
Kenneth Foster che ci aveva proposto di mobilitarci in me-rito già dal mese
di marzo (v. n. 137). Kenneth ha definito "stupefacente" e "favoloso" il
bilancio della campagna. E non si riferiva neanche al bilancio definitivo!

Possiamo affermare che, per protestare contro le orribili condizioni di
detenzione nel braccio della morte del Texas, almeno 67 lettere (nella
versione 'corrispondenti dei detenuti' o 'generici difensori dei diritti
umani'), firmate in totale da 550 persone, sono state spedite ai quattro
destinatari da noi indicati: il Direttore dell'amministrazione carceraria
Dretke, il Governatore Perry, i quotidiani Dallas Morning News e Houston
Chronicle.
   C'è da notare che una parte delle lettere mandate all'Houston Chronicle
sono tornate ai mittenti per-ché l'indirizzo indicato era troppo generico.
Tali lettere possono essere rispedite al medesimo indirizzo aggiungendo il
nome di almeno uno dei redattori che si occupano di questioni politiche o
giudiziarie (ad esempio: Clay Robison, Michael Kunzelman, R.G. Ratcliffe,
Kristen Mack).
  Fateci sapere se i destinatari hanno risposto a qualcuno di voi.
   Pensiamo di inviare una lettera conclusiva chiedendo con gentile
insistenza una parere in merito a ciò che è stato scritto.
   Un particolare ringraziamento, per l'impegno con cui hanno partecipato
alla campagna, va ad Antonio, Emanuela O., Grazia, Paolo, Nadine, Giorgio,
Graziella, Emanuela A., Mauro, Walter, Riccardo, Laura, Aldo, Stefania,
Federica, Katia, Marco, Luca, Carmen, Tiziana, Sabrina, Claudio,  Giuseppe,
Loredana, Luciana, Christian, Margherita, Lorenzo, Anna, Luana, Stefano,
Cinzia, Luisa.
KENNETH VUOLE ALLARGARE IL GIRO DI SUOI CORRISPONDENTI !

Il nostro amico Kenneth Eugene Foster, come sapete, collabora con questo
Foglio di Collegamento mensile da più di tre anni ormai, inviando articoli
interessanti e vivi, testimonianze drammatiche dei gravi problemi che
regnano nel braccio della morte del Texas. Kenneth scrive regolarmente a
Grazia Guaschino ogni mese per inviarle l'articolo da pubblicare e altre
comunicazioni e richieste. Egli ha bi-sogno, più della media dei detenuti,
di attenzione da parte del mondo esterno e di grande collaborazione.
Pertanto ci ha chiesto di estendere a tutti i soci del Comitato l'invito a
scrivergli e a collaborare con lui. Giriamo pertanto a voi la sua domanda,
con l'invito ad aderirvi. Sicuramente vi interesserà e vi arric-chirà lo
scrivere ad un uomo intelligente e pieno di iniziative, che dimostra un
coerente e strenuo impe-gno nella lotta contro la triste condizione dei
condannati a morte del Texas, capace di organizzare e animare i suoi
compagni di sventura. L'indirizzo di Kenneth è:
Kenneth E. Foster Jr. #999232
Polunsky Unit
3872 FM 350 South
LIVINGSTON, TX 77351   U.S.A.


RICHIESTA DI CORRISPONDENZA DAGLI  USA

Paolo Cifariello ci comunica che  un 'ospite' della tristissima Polunsky
Unit chiede amicizia. Ronnie ha 35 anni ed è nero. Ha tre figli. E' nel
braccio della morte del Texas da un mese soltanto. Scrive poesie e si
definisce un tipo molto aperto. Pubblichiamo ben volentieri l'indirizzo di
Ronnie invitando i lettori a corrispondere con lui.
Mr. Ronnie Joe Neal # 999510
Polunsky Unit
3872 FM 350 South
LIVINGSTON, TX 77351   U.S.A.


RICHIESTA DI CORRISPONDENZA DALLO ZAMBIA

Riceviamo dallo Zambia una lunga lettera di Germain Lupula Mukoji, un
condannato a morte di 45 anni, padre di 4 figli, che al momento sono
affidati a parenti vari, in quanto la madre è morta di malaria alcuni anni
fa. Germain, di origine congolese, fu arrestato in Zambia nel 1992 con
l'accusa di aver compiuto una rapina. Fu condannato a morte nel 1994 e la
condanna fu riconfermata in appello nel 2000. Egli si dichiara innocente
del crimine contestatogli e afferma di essere stato condannato perché
straniero e perché ricevette una difesa legale inadeguata. Cerca una
persona di buon cuore con cui corri-spondere e che lo aiuti a sopportare
psicologicamente e materialmente le durissime condizioni di vita nel
braccio della morte. Chi volesse dargli una mano può scrivergli in inglese
al seguente indirizzo:
Mr. Germain Lupula Mukoji
Maximum Security Prison
Condemn Section
P.O. Box 80915
KABWE    ZAMBIA


SEMPLICISSIMO INVIARE SOLDI AI DETENUTI CON J-PAY !

Purtroppo l'invio tradizionale di fondi ai detenuti del braccio della morte
degli Stati Uniti non assicura tempi celeri e spesso capita che i pagamenti
non vadano a buon fine per errata procedura.  Per questo Stefania Silva ci
consiglia di utilizzare il sito:  www.jpay.com 

Per giovarsi di j-pay è necessario avere una carta di credito (sono
certamente utilizzabili anche le carte pre-pagate che appartengono ai
maggiori circuiti internazionali).
   Dopo essersi registrati si può procedere all'invio dei soldi; ogni invio
rimane memorizzato e si pos-sono aggiungere in qualsiasi momento i nomi di
altri detenuti, anche in diversi stati e non condannati a morte.
   I tempi di accredito sono rapidi (tre o quattro giorni) e il costo
equivale a quello degli invii tradizionali (5 dollari circa).
   N. B. Nell'indicare il numero di matricola del detenuto, NON anteporre
il simbolo " # "


DAL VERBALE DELL'ASSEMBLEA DI FIRENZE DEL 4 GIUGNO

[Š] Sono presenti i soci: Giuliana Bonosi, Paolo Cifariello, Margherita De
Rossi, Loredana Giannini, Maria Grazia Guaschino, Antonio Landino, Giuseppe
Lodoli, Stefania Silva, Isabella Totaro. [Š]. L'ordine del giorno è il
seguente: 1.  Relazione sulle attività svolte dopo l'Assemblea del 22
maggio 2005; 2. situazione iscritti al Comitato, gestione dei soci; 3.
illustrazione ed approvazione del bilancio per il 2005; 4. eventuali
dimissioni dalle cariche sociali e rinnovo del Consiglio direttivo; 5.
pubblica-zione in lingua originale inglese del libro su Gary Graham; 6.
proposte di invito e ospitalità di Dale Recinella in autunno 2006 in alcune
località italiane; 7. linee generali della prosecuzione delle attività del
Comitato, strategie abolizioniste; 8. proposte rivolte ai nuovi iscritti di
collaborare attivamente in iniziative consone alle loro rispet-tive
possibilità ed esperienze; 9. adesione ideale di personalità e di
or-ganizzazioni al Comitato; 10. raccolta fondi e allargamento della base
associativa; 11. eventualità per il Comitato di diventare una Onlus; 12.
varie ed eventuali. In apertura di seduta si affronta il punto 1. all'o. d.
g. [Š] Subito dopo l'assemblea del 22 maggio 2005, Giuseppe ha tentato di
rilanciare il Progetto "Non uccidere" [Š]. Rapporti con Amnesty
International: vi è stata la partecipazione di soci del Comitato ad una
decina di incontri organizzati da Amnesty nelle scuole e in altri luoghi, e
rela-zioni abbastanza regolari col Gruppo 245 che opera a nord di Roma; con
Amnesty è in corso una colla-borazione nella preparazione di materiali per
le scuole. Rappresentanti del Comitato hanno partecipato ad una mezza
dozzina di eventi educativi o di sensibilizzazione sulla pena di morte
organizzati da per-sone o gruppi diversi da Amnesty International.
Assistenza a corrispondenti o gruppi che sostengono condannati a morte (per
lo più su richiesta di Amnesty): si sono mantenuti rapporti regolari con un
quindicina di tali soggetti. Grazia il 4 marzo 2006 ha tenuto una
conferenza sulla pena di morte per i Cavalieri del Santo Sepolcro di
Gerusalemme, trattando soprattutto dei riferimenti biblici e della dottrina
cattolica in merito. Il 20 marzo Grazia ha partecipato ad un incontro
presso la scuola media "Pier Lombardo" di Novara a conclusione di un lavoro
sulla pena di morte fatto dagli studenti e pro-mosso da Anna Maria Esposito
[...] Paolo Cifariello ha partecipato ad un progetto sull'educazione alla
legalità promosso dall'Associazione "Libera". Nell'ambito del progetto
Paolo Cifariello ha incontrato alcuni gruppi di detenuti del carcere di
Piacenza. [Š] E' proseguito regolarmente il rapporto di ami-cizia  e di
collaborazione con Kenneth Foster, detenuto nel braccio della morte del
Texas, il quale ha preparato articoli per quasi tutti i numeri del Foglio
di Collegamento. Si sono fornite consulenze ed ap-poggi all'associazione
abolizionista del Togo "Federazione Africana Contro la Pena di Morte. Il 10
giugno 2005 si è svolta a Firenze l'Assemblea Generale della Coalizione
Mondiale Contro la Pena di Morte, ospitata dalla Regione Toscana. [Š]
Grazia, Giuseppe e Loredana hanno rappre-sentato il Comitato. [Š] A nome
del Comitato Paul Rougeau Grazia ha presentato un documento che sottolinea
la necessità di un'armonica cooperazione tra le varie organizzazioni
abolizioniste. Il Comitato ha parteci-pato alla Giornata mondiale contro la
pena di morte del 10 ottobre 2005, dedicata all'abolizione della pena di
morte in Africa; in quella occasione sono state inoltrate 38 lettere sul
tema della pena ca-pitale, sotto-scritte da circa 450 persone, ad
altrettanti presidenti/re dei paesi africani che mantengono la pena
capitale. La maggioranza delle lettere sono state consegnate a mano nella
giornata del 10 ottobre alle rappresentanze diplomatiche in Italia dei
paesi interessati [Š]. Su richiesta di Kenneth Foster il Comitato si è
impegnato nella Campagna per protestare contro le disumane condizioni di
deten-zione nel braccio della morte del Texas. Nel corso della campagna -
che dura da due mesi e non si è an-cora conclusa - sono state spedite oltre
60 lettere, sottoscritte da più di 500 persone, all'amministrazione
carceraria texana e, per conoscenza, al governatore del Texas e ai due
principali quotidiani di tale stato. [Š]. Il Foglio di Collegamento è
uscito regolarmente [Š]. L'indirizzario per l'invio del bollettino in forma
cartacea è rimasto pressoché stabile con circa 90 destinatari; i
destinatari dell'edizione e-mail del F. d. C. sono circa 250. Togliendo il
numero di coloro che ricevono il bollettino nelle due forme si può
concludere che in tutto i destinatari del F. d. C. sono circa 300. Per la
prepara-zione del F. d. C., la Redazione ha raccolto circa 1.000 fitte
pagine di documentazione sulla pena di morte nel mondo. Il Comitato ha
continuato a smistare informazioni sul tema della pena di morte rice-vendo
circa 14.000 e-mail e spedendone 3.800. Il sito Web è stato puntualmente
aggiornato da Grazia [Š].  E' stata pubblicata nel mese di febbraio una
nuova edizione completamente aggiornata dell'Opuscolo del Comitato. [Š]
Punto 2. Loredana riferisce che i soci presenti nel data base del Comitato
[Š] sono in totale 104 [Š]. Punto 3. Paolo Cifariello illustra il
rendiconto economico per il 2005 che viene distribuito ai partecipanti (*).
Tra le entrate l'importo delle quote associative è il più ri-levante (per
il capitolo riguardante i ricavi per la  vendita del libro su Gary Graham
si farà un discorso a parte). Scarse le offerte generiche 'pro detenuti': a
fronte delle migliaia di euro che entravano fino al 2003, si sono ricevuti
nel 2005 solo 231 euro. Il numero di operazioni di trasferimento di fondi
ai dete-nuti per conto terzi (53, per un totale di 10.600 euro) è identico
a quello dell'anno precedente [Š]. Le offerte 'pro detenuti' prelevate
dalla cassa del Comitato assommano a circa 700 euro, come nell'anno
precedente. Tra le spese rimangono molto rilevanti e pari a circa 1.400
euro quelle relative alla produ-zione e alla spedizione del F. d. C. in
forma cartacea. [Š] Il bilancio viene approvato all'unanimità; [Š]. Punto
4. [Š] L'Assemblea saluta con un applauso la disponibilità a far parte del
Consiglio diret-tivo delle socie Margherita De Rossi e Stefania Silva che
lavorano con grande impegno e notevoli capa-cità da oltre un anno
all'interno della nostra organizzazione [Š] pertanto il Consiglio direttivo
risulta composto da: Maria Grazia Guaschino (Presidente), Giuseppe Lodoli
(Vice presidente), Paolo Cifariello (Tesoriere), Margherita De Rossi,
Loredana Giannini, Anna Maria Esposito, Stefania Silva (Consi-glieri). [Š].
Si passa al punto 5. Prima di discutere della pubblicazione del libro su
Gary Graham in lingua inglese, si fa il punto sulla vendita delle copie
dell'edizione italiana acquistate dall'editore. [Š] Rimangono in giacenza
320 copie tuttora invendute. [Š] Per l'edizione in inglese, pronta da un
anno ed accuratamente rivista, sia nei contenuti che, da John Gilbert, per
la parte linguistica, non si è riusciti a trovare negli USA un editore. Si
decide pertanto di accettare la proposta dell'editrice Multimage di
pro-durre l'edizione inglese qualora si verifichi la possibilità di
distribuire un numero congruo di copie negli USA tramite gli abolizionisti
americani, anche senza alcun profitto da parte del Comitato. [Š]  Punto 6.
Per quanto riguarda la disponibilità ad 'usufruire' delle conferenze di
Dale Recinella e della moglie Susan nel prossimo mese di ottobre [Š] si
presentano le seguenti possibilità: a Piacenza probabile ac-cettazione
della Casa Circondariale [Š]; a Novara un liceo scientifico contattato da
Anna Maria Esposito ha già accettato; a Firenze è probabile l'accettazione
da parte di un grande istituto scolastico comprensivo situato al Poggio
Imperiale. Margherita verificherà un eventuale interesse per Dale da parte
dell'emittente televisiva cattolica Telepace. Essendoci un sufficiente
interesse, si decide di invitare Dale e Susan e di pagare con i fondi del
Comitato il costo del viaggio. [Š] Punto 7. Si decide di prose-guire con
tutte le attività di routine del Comitato ma anche di ravvivare la
riflessione sulle strategie abolizioniste a partire da un'attenta rilettura
dall'articolo in proposito comparso nel numero 135 del F. d. C. Dovrà
essere fatto uno sforzo per dedicare una parte delle energie di coloro che
sono impegnati in attività di sostegno ai condannati a morte in iniziative
tendenti a cambiare la mentalità dei cittadini sta-tunitensi riguardo alla
pena capitale. E' confermato il mandato dell'Assemblea per l'eventuale
organiz-zazione delle attività denominate: Progetto "Non uccidere",
Campagna "Rimbalzo", "Digiuno a ca-tena", e di attività simili. [Š ]Punto
10. Si suggerisce di organizzare delle cene per la raccolta fondi. Un tal
genere di iniziative potrebbe fruttare discreti introiti con una limitata
fatica organizzativa. [Š] Si consulterà in qualità di 'esperta' Nadine
Ricci. Una cena potrebbe essere organizzata alla Casa del Popolo di
Settignano vicino a Firenze. [Š] Punto 12. Grazia, che fa molta fatica a
portare avanti la cor-rispondenza con Kenneth Foster ed a
soddisfare/contenere/limitare le continue e variegate richieste di aiuto e
di  mobilitazione in suo favore, chiede - d'accordo con Kenneth - di poter
condividere con altre persone tale incombenza [Š]
_______________
(*) Il rendiconto economico del 2005 verrà allegato al prossimo numero.


NOTIZIARIO

Tennessee. Preoccupante ripresa delle esecuzioni.  Il 28 giugno il
Tennessee ha compiuto la sua se-conda esecuzione dal 1976, anno in cui fu
ripristinata la pena di morte negli Stati Uniti. Ad essere messo a morte è
stato Sedley Alley, dopo una convulsa serie di sospensioni, ordinate in
extremis e poi annullate, che hanno ritardato l'iniezione letale di alcune
ore fino alle 3 di notte. Il Tennessee, che negli ultimi 45 anni aveva
messo a morte il solo Robert Glen Coe, 'giustiziato' nel 2000, sembra voler
riav-viare ad un ritmo sostenuto la macchina della morte fissando un gran
numero di esecuzioni. Dopo l'annullamento di alcune 'date', rimangono 4
esecuzioni programmate in Tennessee tra agosto ed otto-bre, di cui due
riguardano 'volontari', cioè detenuti che hanno interrotto l'iter degli
appelli.

Texas. Confermato il terzo annullamento della sentenza di morte per Johnny
Penry. Il 12 giugno la Corte suprema degli Stati Uniti ha respinto il
ricorso dello stato del Texas contro l'annullamento della sentenza di morte
inflitta a John Paul Penry, il ritardato mentale del Texas che
l'establishment della cit-tadina di Livingston in Texas vuole morto a tutti
i costi a 26 anni dal crimine. Ricordiamo che la Corte d'Appello Criminale
del Texas il 5 ottobre dell'anno scorso ha annullato la terza sentenza di
morte emessa da una giuria del Texas nei riguardi di Penry (v. n. 132).
Come le due volte precedenti la sen-tenza di morte è stata annullata perché
la giuria non fu messa in grado di valutare adeguatamente l'attenuante
costituita dal ritardo mentale del soggetto. Lo stato del Texas sostiene
che egli non sia un ritardato mentale e con tutta probabilità tenterà di
far condannare a morte per la quarta volta John Paul Penry per aver ucciso
la 22-enne Pamela Moseley Carpenter nel 1979.

Texas. Implacabile l'accusa contro Anthony Graves. Contro Anthony Graves,
accusato di una or-renda strage, non esiste alcuna prova degna di questo
nome ed anzi il lavoro di un gruppo di studenti di giornalismo il 3 marzo
ha contribuito a far annullare il processo del 1994 mettendo in luce che il
procu-ratore distrettuale Charles Sebasta tenne nascosto in modo
fraudolento che l'unico testimone a carico ritrattò già prima del processo
(v. nn. 98, 100, 122, 137, notiziario). Ma l'accusa, punta nel vivo dalla
sentenza emessa della Corte federale d'Appello del Quinto Circuito, ha
inoltrato il mese scorso un ap-pello alla Corte suprema degli Stati Uniti
contro l'annullamento del processo di Graves. Se la massima corte
respingerà l'appello o non si pronuncerà entro il 12 settembre p. v. lo
stato del Texas dovrà suo malgrado rimettere in libertà il malcapitato
Anthony Graves o tentare di riprocessarlo a 14 anni dai fatti.

Virginia. Ordinata una nuova udienza sul ritardo mentale di Atkins. Il caso
di Daryl Atkins, il con-dannato a morte della Virginia che ha causato la
storica sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti del giugno del 2002
che proibisce la pena di morte per i ritardati mentali, è tutt'altro che
risolto per il detenuto stesso. Infatti il 5 agosto 2005 la Virginia aveva
ottenuto da una giuria della Contea di York l'affermazione che Daryl Atkins
non è in effetti un ritardato mentale e aveva fissato la data della sua
esecuzione per il 2 dicembre scorso (v. n. 131). Gli avvocati di Atkins,
presentando un appello, avevano ottenuto di far sospendere l'esecuzione.
L'appello è stato discusso nel mese di aprile di quest'anno dalla Corte
suprema della Virginia e l'8 giugno la medesima corte ha ordinato che si
tenga una nuova udienza, davanti ad una diversa giuria, per stabilire se il
condannato è un ritardato mentale. Questa volta non dovrà essere detto alla
giuria che Atkins è stato in precedenza condannato a morte. La famiglia
della vittima di Atkins, che nel 1996 a 18 anni di età uccise per rapina un
aviere, è favorevole a risol-vere il caso con un patteggiamento tra accusa
e difesa che stabilisca una condanna a vita in luogo dell'esecuzione.








AIUTIAMOCI A TROVARE NUOVI ADERENTI

E' di vitale importanza per il Comitato potersi giovare dell'entusiasmo e
delle risorse personali di nuovi aderenti. Dal momento che non abbiamo i
mezzi finanziari per accedere ai canali della pubblicità, facciamo
affidamento su coloro che già aderiscono alla nostra associazione
pregandoli di trovare persone disposte ad aderire al Comitato Paul Rougeau.

Se ogni socio riuscisse ad ottenere l'iscrizione di un'altra persona, il
nostro lavoro migliorerebbe enormemente !

Cercate soci disposti anche soltanto a versare la quota sociale ed a
partecipare di tanto in tanto alle nostre campagne.
Cercate soci attivi. Chiunque può diventare un socio ATTIVO facente parte
dello staff del Comitato Paul Rougeau.
Cercate volontari disposti ad andare a parlare nelle scuole dopo un periodo
di formazione al se-guito di soci già esperti.
Cercate amici con cui lavorare per il nostro sito Web, per le tradu-zioni.
Occorre qualcuno che mandi avanti i libri in corso di pubblicazione,
produca magliette e mate-riale promozionale, orga-nizzi campagne e azioni
urgenti, si occupi della raccolta fondi ecc.
Qualcuno vuole assumersi la responsabilità di uno dei compiti svolti dalla
nostra associazione? Ce lo faccia sapere scrivendo al nostro indirizzo
po-stale o alla nostra casella e-mail.

Chiunque può dare un contributo alle attività del Comitato se de-cide di
dedicarvi una quota - piccola o grande - del proprio tempo. Chi ha mezzi o
capacità partico-lari - per esempio una qualche conoscenza dell'inglese -
potrà fornire un aiuto più specifico. Se vivi in una grande città potrai
venire a far parte di un gruppo di per-sone che ogni tanto si riuniscono
per programmare il lavoro e prendere lo slancio.  Anche se abiti in un
paesino sperduto, specie se possiedi un computer collegato a Internet,
potrai lavo-rare con noi!


ISTRUZIONI PER ISCRIVERSI AL COMITATO PAUL ROUGEAU

Per aderire al Comitato Paul Rougeau scrivici una lettera (o un e-mail a
prougeau at tiscali.it) con una  breve autopresentazione e con i tuoi dati:
indirizzo, numero di telefono e, se posseduti, indirizzo e-mail e numero di
fax. Appena puoi paga la quota associativa sul c. c. postale del Comitato
Paul Rougeau.
   Responsa-bile dei con-tatti con i soci è Loredana Giannini (Tel. 055
485059).
   I soci in regola hanno diritto alla rice-zione della versione cartacea
del Foglio di Colle-gamento.
   Le quote associative annuali sono le seguenti:
Socio
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	¤  25
Socio
Sostenitore                                                                    
	¤  50
Socio Giovanile (fino a 18 anni o a 26 anni se studente)    	¤  15
  L'edizione e-mail del bollettino è gratuita per soci e simpatizzanti,
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Questo numero è aggiornato con le informazioni disponibili fino al 30
giugno 2006