Re: A una coppia gay non servono i pacs, basta il diritto privato



Cari amici,
già parecchie volte avete mandato questi tipi di post e ogni volta vi è stato risposto, ponendovi quesiti, confutando le vostre posizioni e chiedendo chiarificazioni. Post ai quali non avete mai dato risposta, se non in rari casi e con poche stringate righe. Sembra che vogliate semplicemente usare questo mezzo solo come propaganda delle vostre posizioni senza mai dare la sensibilità di porvi di fronte a un confronto. Mi sembra sinceramente molto limitativo e deprimente. Pur rispettando anche le vostre idee in merito mi piacerebbe se foste anche capaci quantomeno di confrontarvi con chi non la pensa come voi. Come fa chi impiega il proprio tempo nel cercare un confronto con voi. Più in generale non vedo più quelle appassionanti discussioni su punti di vista anche molto distanti, ma vedo sempre più spesso dei post messi lì per chi ha voglia di leggerli, ben sapendo da parte del lettore che una probabile replica non troverebbe risposta.

Sarebbe bello che questo spazio non fosse solo una bacheca, ma un luogo di confronto. La verità non la tengo io e non la tenete nemmeno voi, probabilmente sta nel mezzo, ma se non c'è comunicazione ognuno rimane nelle proprie barricate, e questa mailling list rimmarrebbe molto sterile.

Ciao e buona serata,
Luca.


associazione Amici di Lazzaro ha scritto:
A una coppia gay non servono i pacs, basta il diritto privato

Testimonianza pratica: il codice civile già tutela (e con piccole modifiche può tutelare meglio) i diritti delle coppie di fatto

Da Il foglio

Rosy Bindi, ministro della Famiglia, ha sostenuto che i diritti delle coppie di fatto non possono essere tutelati soltanto con modifiche del codice civile.

Tutto dipende da quali siano i diritti che si intende riconoscere.

Se fra questi c'è il riconoscimento sociale e la sanzione pubblica dell'unione, ha ragione, ma in questo caso hanno ragione anche coloro che ritengono un'unione civile di questo tipo un surrogato del matrimonio.

Se invece si punta a riconoscere ai componenti delle coppie di fatto, eterosessuali o omosessuali, che nei loro confronti non vengano esercitate discriminazioni, cioè limitazioni dei loro diritti dovute alla loro condizione, l'affermazione di Rosy Bindi appare assai discutibile.

Quali sono queste discriminazioni? Si tratta di limitazioni che riguardano l'assistenza, la fruizione di servizi e di benefici che provengono dalla vita in comune. Molte di queste situazioni si risolvono già oggi quando l'interlocutore della coppia è un'istituzione privata. Per assistere un partner malato in ospedale, per esempio, nelle cliniche private basta una dichiarazione dell'interessato. Si tratta, se si vuole evitare una discriminazione che in certi casi assume caratteri disumani, aggiungere alla tessera sanitaria un allegato nel quale, oltre alla disponibilità alla donazione di organi, si possano indicare le persone alle quali si gradisce sia garantito il diritto di yisita. Per questo è sufficiente un'indicazione amministrativa.

Più complesso è il caso del diritto al subentro nell'affitto della casa comune. Esistono modalità di cointestazione dei contratti di locazione, oppure formule un po' spurie di subaffitto.

Anche qui basterebbe una modifica del diritto privato, che renda più solida la base giuridica di questi contratti. D'altra parte tutti i contratti di locazione privata sono a termine.

Resta il problema delle case popolari, che si potrebbe risolvere in base al principio di continuità della residenza. Naturalmente perché si possa provvedere in questo senso è necessario che le coppie di fatto abbiano requisiti di stabilità, per esempio un congruo periodo di coabitazione, senza i quali, peraltro, non si potrebbe definire la titolarità dei diritti.

Ci sono poi le differenze di trattamento nel godimento del reddito e del patrimonio comune. Qui non è giusto parlare di discriminazione, per esempio nel diritto ereditario, perché questo è per sua natura connesso al concetto di continuità della famiglia. Ferma restando la "legittima" per i familiari, per il partner non coniugato c'è, in caso di testamento, un differente trattamento fiscale, che potrebbe essere attenuato, anche qui intervenendo solo sul diritto civile.

Resta la questione più complessa, quella previdenziale pubblica. La previdenza privata consente forme di cointestazione dei fondi accumulati che ne consentono il godimento al partner sopravvissuto. Le pensioni pubbliche, invece, negano la reversibilità al partner non coniugato. Qui si potrebbe agire con gradualità, tenendo conto del passaggio dal sistema a ripartizione a quello a capitalizzazione. Se la pensione diventa una normale rendita di un capitale accumulato, non c'è ragione perché questa non possa essere cointestata, naturalmente con tassi di fruizione diversi. Si potrebbe cominciare con la previdenza volontaria, che è completamente a capitalizzazione, e, per quelle pubbliche, per la quota già a capitalizzazione, che tende a diventare, col tempo, prevalente e infine totale.

Sono modifiche che non incidono sul diritto di famiglia e non sollevano questioni di principio. Se si cominciasse da queste, si abolirebbero discriminazioni senza intaccare il valore sociale della famiglia o creare mezzi matrimoni.