intervento Deiana ad Atene





Atene, 27 ottobre 2005

Assemblea delle donne della Sinistra Europea

Guerra e patriarcato

Relazione di Elettra Deiana

Il tema che abbiamo messo all'ordine del giorno - guerra e patriarcato,
cioh maschi e femmine, donne e uomini nella guerra- h di quelli complessi,
che richiederebbe e richieder` da parte nostra un ulteriore tempo di
approfondimento e di riflessione. Va detto intanto che si tratta di un tema
di grandissima attualit`, centrale nel contrassegnare e nel rendere
intelligibili le vicende della contemporaneit`. Esso non appartiene al
passato, nel senso che non ha nulla di residuale ni di meramente arcaico.
Al contrario interroga a fondo questo nostro tempo, sta dentro i processi
della globalizzazione capitalistica e riguarda, da una parte, tutte le
dinamiche di potere messe in atto dalla superpotenza americana per il
dominio del mondo e, dall'altra, la tensione sp! esso estrema che tali
dinamiche innescano nei rapporti internazionali, in particolare quel
micidiale mix di guerra e terrorismo che caratterizza questa fase storica,
facendo da sfondo ai tumultuosi e grandemente contraddittori processi in
atto nel mondo islamico.

Voglio subito sottolineare, come primo punto di riflessione, il carattere
emblematico che rivestono, in tutto questo, le nuove figure femminili del
patriarcato contemporaneo, quelle attraverso cui si esibiscono, nel loro
intreccio antropologico oltre che politico, la guerra imperiale e il
terrorismo jihadista. Parlo degli alti ufficiali di sesso femminile
impegnate nelle strategie belliche di Bush; delle torturatrici di Abu
Grhaib; delle ambasciatrici di guerra ai massimi livelli del potere come la
segretaria di Stato Condolezza Rice. E, dall'altra parte, le kamikaze dei
gruppi alqaedisti. Queste figure e il significato che esse assumono nei
fatti, nel messaggio mediatico, nell'immaginario collettivo e nella
costruzione del senso delle cose - richiedono, per la loro pregnanza,
un'analisi molto attenta, dal momento che non tollerano ni semplificazioni
ni riduzionismi ideologici. C'h una vasta letteratura, oltre a un diffuso
senso comune, che considera il rapporto tra le donne e la guerra unicamente
dal versante delle vittime. Non solo prevale, quando si affronta questo
tema, lo stereotipo della donna vittima, succuba, obbligata a subire la
violenza della guerra, ma h questa sostanzialmente l'unica ottica
attraverso cui si leggono i rapporti della parte femminile della societ`
con la guerra. A mio giudizio, non c'h niente di piy lontano da questa
rappresentazione semplificata. Infatti i rapporti di cui parliamo sono
sempre stati assai piy complessi e ambigui e mai come in questo momento
storico le semplificazioni non ci aiutano assolutamente a capire che cosa
stia in realt` accadendo.

La guerra va considerata come il lato estremo d! el potere patriarcale,
quello attraverso cui l'ordine maschile manifesta la sua intensa e radicale
forza di persuasione occulta, di convincimento morale, di strutturazione
delle coscienze. La guerra, in altre parole, dimostra la capacit` del
patriarcato di organizzare l'intera societ` secondo un'inflessibile e
crudele gerarchia che giustifica la morte, i massacri, la distruzione,
mentre, nello stesso tempo, esalta la subordinazione e la disciplina piy
assoluta. Nella guerra si celebrano i fasti e i nefasti del potere
maschile, intriso da sempre dei colori mescolati dell'eroismo guerriero e
del lutto eroicamente celebrato.

La guerra, tuttavia, mette anche in grande e particolare evidenza che
nell'ordine patriarcale i due generi  gli uomini e le donne  sono
coinvolti in un ruolo e con una funzione complementari e che

entrambi sono parte integrante del patriarcato. Le donne non sono
innocenti, sono estranee alla guerra cosl come non sono estranee ad ogni
altro a! spetto del patriarcato. Certamente esse subiscono piy degli uomini
gli effetti devastanti della guerra, come accade ai settori piy deboli
dell'intero corpo sociale, quelli su cui si scaricano in particolare i
bombardamenti, le rappresaglie, le deportazioni dei conflitti bellici.

Le creature, le fasce piy anziane della popolazione, la gente malata e le
donne pagano prezzi pesantissimi.

C'h poi un altro aspetto, una violenza specifica e intrinseca ai rapporti
tra i sessi, che entra in gioco nella guerra come veicolo di sopraffazione
sulle e contro le donne. Parlo della violenza sessuale, quella particolare
che nella guerra si trasforma in strumento di guerra, di annientamento del
nemico, attraverso l'annientamento del corpo femminile. Voglio ricordare
gli stupri etnici compiuti durante la terribile guerra nella ex Jugoslavia.
Quei corpi femminili stuprati non furono soltanto l'esito dell'atavica idea
maschile che le donne siano corpi a disposizione. Furono a! nche il modo
per umiliare e degradare il nemico, per introdurre, attraverso la violenza
sul corpo di una donna che appartiene all'Altro, la disgregazione del
vincolo comunitario. Quel corpo infatti h custode della purezza dell'etnos
e violarlo, introducendo in esso il seme di un altro etnos, h il piy
terribile affronto che si possa compiere in guerra contro il nemico.

Come negare dunque che le donne siano vittime della guerra? Sono vittime 
diciamo lo con

chiarezza. Eppure, nello stesso tempo, sono complici della loro parte
maschile, massime sostenitrici delle ragioni di quella parte, solerti
madri, spose, muse pronte a dare il cuore e l'anima, oltre ai figli, ai
capi della loro comunit` (triby, clan, nazione). Le donne insomma
condividono dall'interno la vicenda del loro gruppo, se ne fanno carico
intrinsecamente, legate come sono ai loro uomini. Perchi le donne
subiscono, nel rapporto con l'altro sesso, anche la trappola di una
speciale dialettica servo-padrone che h la relazione fondata su un
esclusivo sentimento d'amore. Sono intrappolate in quella che possiamo
chiamare la prigione d'amore ed h molto difficile per loro sfuggire.
Sappiamo quanto, in generale, le donne siano disposte a sopportare,
elaborare, accettare per quella prigione.

Non c'h dunque nessuna naturale attitudine da parte delle donne a dire no
alla guerra. Il loro

essere madri non h un vaccino contro la guerra. La madri, come ci insegnano
il mito, la letteratura,

la storia, mandano i loro figli in guerra e poi, tra alti lamenti e
disperazione  pianto e disperazione si addicono alle donne  celebrano il
lutto per la morte di quelli che hanno messo al mondo.

Le madri dei duemila marines americani morti in Iraq avevano appeso sulle
porte delle loro case un fiocco giallo, un orgoglioso segno distintivo per
mostrare che il p! roprio figlio era partito per la guerra, per portare
democrazia e libert` in Iraq, secondo la volont` del presidente Bush.

Possiamo anche dire che gli uomini uccidono i corpi e le donne li curano,
li accudiscono, li piangono, secondo una divisione dei ruoli, delle
funzioni, della rappresentazione simbolica che h tipica del patriarcato.

Il patriarcato della con temporaneit` sopravvive e si organizza proprio
grazie alla sua capacit` di integrare le donne a tutti i livelli,
preservando nello stesso tempo la sua natura. La logica e i meccanismi del
potere rin1angono infatti gli stessi, le donne svolgono il loro compito
rimanendo nell'ordine, e sotto l'autorit` pratica e/o simbolica, degli
uomini.

Un aspetto particolarmente importante, che contraddistingue oggi i nuovi
conflitti e su cui varr` la pena di soffermarsi piy a lungo di quanto sia
possibile fare oggi, h la forte spinta a volersi riconoscere in una
identit` comune e comunitaria come risposta! al nemico, come nicchia
difensiva e protettiva, come appiglio securitario di fronte agli
scombussolamenti del mondo contemporaneo.

C'h un risvolto arcaico e ancestrale che ritorna in questo ripiegamento, un
lato oscuro della nostra umanit` che speravamo cancellato per sempre. Ma al
lato oscuro, che viene da lontano, si accompagna prepotente e subdola la
volont` politica, tutta iper moderna, di nutrire e far crescere
quell'atavico sentimento di paura, perchi cos' si fanno accettare le
guerre. Siamo cioh di fronte, soprattutto, a una determinazione
politico-culturale, a una scelta ideologica, a una volont` di potere volta
a costruire i nuovi miti identitari, le nuove fortezze dell'appartenenza, i
nuovi confini della rappresentazione amico/nemico. Lo scontro tra le
civilt` sta a significare questo: l'identit` cristiano-occidentale contro
l'identit` arabo-islamica.

Le donne entrano in pieno in questi processi. Esse sono infatti chiamate, e
rischiano sempre! piy di essere chiamate, a essere custodi della purezza
dell'etnos, dell'identit` assicurata dalla discendenza del sangue. Per
questo il controllo sul corpo delle donne torna essere un punto dell'agenda
politica

di tutte le forze politiche, un richiamo nel discorso pubblico. Anche dalle
nostre parti e non soltanto presso le nuove destre che imperversano in
Europa e negli Stati Uniti. Il corpo femminile assicura infatti il
controllo sociale, legale e simbolico sui membri di una comunit`. La
certezza di essere

nella linea della discendenza di questa o quella famiglia, di essere figlio
di un maschio della comunit` di appartenenza, pur essere garantita soltanto
dalla sicurezza che quel corpo stia alle regole del gruppo, appartenga,
sessualmente e nella capacit` procreativa, a un maschio del gruppo.

Ovviamente le donne, proprio a partire dall'esperienza del proprio corpo,
della propria quotidianit`, della propria storia sociale possono portare
alla l! uce le contraddizioni piy acute dell'ordine patriarcale. Tra le
quali quella  lancinante  di mettere al mondo figli che la guerra divora.
La vicenda di madre di un giovane marine morto in Iraq, lo sta a
testimoniare con la forza dei fatti. Una madre che chiede conto al
presidente degli Stati Uniti d'America del perchi suo figlio sia morto, una
donna che sfida il potere politico-militare e costringe l'opinione pubblica
a fare i conti con l'altra faccia della guerra, quella che entra nelle case
e tocca la vita quotidiana di tutti.

Ma tutto questo, perchi avvenga, richiede grandi rotture esistenziali,
antropologiche, politiche. Avvengono continuamente e producono un diverso
sguardo femminile sulla guerra, una capacit` di critica e una politica che
sanno nutrirsi delle ragioni della vita, della forza delle relazioni umane
e degli affetti e non soltanto degli aridi calcoli della convenienza di
Stato. Gli ultimi grandi movimenti pacifisti che abbiamo conosciuto sono
stati s! orretti dall'impegno di un grandissimo numero di attiviste. Donne
differenti, perchi la politica le fa differenti. Ed h cir per cui
lavoriamo, ben sapendo quanto sia difficile e tuttavia indispensabile. E
quanto sia difficile e tuttavia necessario costruire ponti e rapporti con
le donne delle altre parti, per costruire insieme altri sguardi femminili
sulla guerra e sul mondo e cosl un'altra politica.