URGENTE! STANNO CAMBIANDO LA COSTITUZIONE ITALIANA.DIFENDIAMOLA!



                                       "Salviamo la Costituzione":

mobilitazione a Roma, il 1° marzo

Il Coordinamento nazionale delle iniziative contro il progetto di riforma
della II parte della Costituzione organizza una manifestazione per il 1°
marzo, data dell'avvio della votazione in aula per la riforma della nostra
Carta.

L'appuntamento è fissato alle ore 16.30, in Piazza Navona, di fronte al Senato.



Cari Amici,
facendo seguito al precedente messaggio, segnalo a tutti i membri ed
alle associazioni che aderiscono al Comitato romano per il No alla Riforma
costituzionale l'importanza della manifestazione fissata, dal Coordinamento
nazionale,  per il primo marzo a Piazza Navona.
I tempi sono ristrettissimi ed è difficile mobilitarsi ed organizzare una
partecipazione significativa in pochissimi giorni, tuttavia dobbiamo farlo
e non possiamo discutere i tempi, che ci sono stati imposti dalla
improvvisa accellerazione che il Governo ha dato alla riforma, portanto il
testo in aula prima che terminasse l'esame in Commissione, per imporre una
discussione blindata ed una approvazione senza modifica alcuna del
testo approvato dalla Camera dei Deputati. La votazione finale è prevista
per l'8 marzo.

A questo punto è essenziale che tutte le persone e le associazioni che si
stanno impegnando sul fronte del No diano un segno di vita, in modo che
tutti insieme  possiamo portare in piazza, in forma visibile, il dissenso e
far emergere l'allarme per lo stravolgimento della Costituzione che sta
avvenendo - finora - nella quasi indifferenza generale.

Poichè non abbiamo ancora messo a regime una macchina organizzativa,
ciascuno di noi deve diventare spontaneamente agente della organizzazione
di un fatto collettivo.

Chiedo a tutte le associazioni, i movimenti ed i partiti che aderiscono al
comitato di attivare i propri circuiti di comunicazione, inoltrare a tutte
le mailing list frequentate il messaggio con la convocazione della
manifestazione e l'appello a parteciparvi, diffondere comunicati stampa e
praticare ogni altra forma di comunicazione possibile, ivi compresa quella
telefonica, telefondando a tutte le persone che possiamo raggiungere.

Costruire la partecipazione, accettando la sfida del poco tempo che abbiamo
a disposizione.
E' la prima sfida che il Comitato romano si trova ad affrontare ed è anche
il banco di prova della nostra capacità di azione.
Dunque, buon lavoro a tutti.

                                                       Domenico Gallo


Per comodità di lettura inserico - di seguito -  l'ottimo articolo di Luigi
Ferrajoli pubblicato dal manifesto di giovedi 24 febbraio.

La Carta stravolta
LUIGI FERRAJOLI
E' cominciata silenziosamente in senato la discussione sul progetto
governativo di revisione costituzionale già approvato dalla camera in una
prima lettura nello scorso ottobre. Si tratta chiaramente, per le sue
dimensioni e per lo stravolgimento progettato, di una nuova costituzione,
promossa da una coalizione di forze - Alleanza nazionale, Forza Italia e
Lega nord - nessuna delle quali ha partecipato alla formazione della
Costituzione attuale. Il senso politico dell'operazione è chiaro. Ciò che
si vuole realizzare è una completa rottura della continuità costituzionale
al fine di rifondare la Repubblica sulle forze che alla Costituzione del
'48 e alla sua origine antifascista furono estranee od ostili. Proprio
perché non si riconosce nella Costituzione vigente, questa nuova destra,
oggi maggioritaria in parlamento ma non nel paese, pretende di archiviarla,
di varare una sua costituzione a sua immagine e somiglianza, di rompere il
vecchio patto di convivenza che non a caso Berlusconi ha squalificato come
«sovietico». Di qui una prima domanda: è legittima, sul piano delle forme e
del metodo, una simile riforma, non consistente in una semplice «revisione»
costituzionale ma nella confezione di una costituzione del tutto diversa,
che cambia al tempo stesso la forma di stato, da nazionale a federale, e la
forma di governo da parlamentare a para-presidenziale e tendenzialmente
monocratica? La risposta è chiaramente negativa. La nostra Costituzione,
come del resto la quasi totalità delle costituzioni democratiche, non
ammette il varo di una nuova costituzione, neppure a opera di un'ipotetica
assemblea costituente eletta con il metodo proporzionale che pur decidesse
a larghissima maggioranza. Il solo potere ammesso dal suo articolo 138 è un
potere di revisione, che non è un potere costituente ma un potere
costituito, il cui esercizio può consistere solo in specifici emendamenti;
laddove, se diretto a dar vita a una nuova costituzione, esso si converte
in un potere costituente e sovrano, anticostituzionale ed eversivo, in
contrasto, oltre che con l'articolo 138, con il primo articolo della
Costituzione secondo cui «la sovranità appartiene al popolo» che da nessuno
può esserne espropriato.

Ciò cui invece stiamo assistendo è l'approvazione a colpi di maggioranza di
un testo che altera l'intero assetto istituzionale, modificando competenze
e regole di formazione e funzionamento di tutti gli organi costituzionali:
del parlamento e del governo, del presidente della Repubblica e del
presidente del consiglio, dello stato e delle regioni. Il precedente della
sconsiderata riforma del titolo V varata dall'Ulivo è invocato a
sproposito: benché gravemente colpevole, quella riforma fu pur sempre una
revisione settoriale della Costituzione che per di più riprodusse, nella
sostanza, una modifica che era stata approvata qualche anno prima dai due
schieramenti nella bicamerale. L'attuale disegno riscrive invece ben 43
articoli della seconda parte, con gli inevitabili riflessi sulla prima. E'
la vecchia idea che Gianfranco Miglio espresse brutalmente dieci anni fa,
dopo la prima vittoria elettorale delle destre: la costituzione non è un
accordo tra tutti sulle regole del gioco ma è un «patto che i vincitori
impongono ai vinti».

Ma questa nuova costituzione è illegittima non solo sul piano del metodo,
ma anche su quello dei contenuti, che come stabilì una storica sentenza
della Corte costituzionale del 1988 non possono derogare ai «principi
supremi» della Costituzione. Non mi soffermo sulla cosiddetta «devolution»,
che assegnando in maniera esclusiva alle regioni scuola, sanità e funzioni
di polizia, rompe l'unità della Repubblica che si basa sull'uguaglianza dei
cittadini nei diritti fondamentali, quali sono in particolare i diritti
sociali alla salute e all'istruzione.
Neppure mi soffermo sull'incredibile complicazione, quasi un sabotaggio
della funzione legislativa, divisa tra ben quattro tipi di fonti - leggi
della camera, leggi del senato, leggi bicamerali, leggi del senato con
«modifiche essenziali» su iniziativa del governo e, in più, commissioni e
comitati paritetici per decidere chi deve legiferare e mediare i conflitti
- con l'inevitabile caos istituzionale, le incertezze e gli infiniti
contenziosi che proverranno da una ripartizione inevitabilmente astratta e
generica delle quattro competenze. L'aspetto più grave di questa riforma,
senza confronti né precedenti in nessun sistema democratico, consiste nella
demolizione del principio della rappresentanza politica, che è
indubbiamente un «principio supremo» sottratto al potere di revisione.
Viene anzitutto capovolto il rapporto di fiducia tra parlamento e governo:
non sarà più il primo ministro, legittimato direttamente dal voto popolare,
che dovrà avere la fiducia del parlamento, ma sarà il parlamento che dovrà
avere la fiducia del primo ministro, il quale potrà scioglierlo in forza di
un potere affidato non più al presidente della Repubblica ma alla sua
«esclusiva responsabilità». E' prevista soltanto la mozione di sfiducia,
votata dalla camera per appello nominale, approvata dalla maggioranza
assoluta dei suoi componenti e seguita dal suo scioglimento, salvo che sia
accompagnata dalla «designazione di un nuovo primo ministro da parte dei
deputati appartenenti alla maggioranza espressa dalle elezioni, in numero
non inferiore alla maggioranza dei componenti della camera». Non solo: «il
primo ministro si dimette altresì qualora la mozione di sfiducia sia stata
respinta con il voto determinante dei deputati non appartenenti alla
maggioranza espressa dalle elezioni».

Io credo che queste norme anti-ribaltone siano il vero cuore della riforma:
il segno inequivoco della svolta che si intende realizzare. Grazie ad esse
saranno impossibili le crisi di governo parlamentari. Maggioranza e
minoranza vengono blindate, sicché solo i parlamentari della maggioranza
avranno un potere di iniziativa politica e di responsabilizzazione
dell'esecutivo, mentre i parlamentari della minoranza non conteranno nulla.
E' la fine della rappresentanza «senza vincolo di mandato», sancito quale
principio basilare della democrazia politica dall'art.67, essendo ciascun
parlamentare vincolato alla coalizione di appartenenza.

Non si tratta di una semplice «riforma». Con questa rigida separazione tra
maggioranza e minoranza il parlamento viene di fatto emarginato. Già con il
sistema maggioritario è stata abolita l'uguaglianza nel voto dei cittadini.
Il nuovo sistema abolisce ora anche l'uguaglianza del voto dei parlamentari
ed estromette di fatto l'opposizione da ogni funzione di controllo e di
mediazione politica. Non solo. Esso vanifica anche la rappresentatività e
la responsabilità politica dei parlamentari della maggioranza, i quali
risulteranno vincolati da un rapporto di mandato imperativo, non già dal
basso ma dall'alto, nei confronti del primo ministro. Queste norme sono
infatti dirette non solo a neutralizzare l'opposizione ma soprattutto a
disciplinare, a ricattare e di fatto a neutralizzare ogni potere di
controllo della stessa maggioranza parlamentare. Ne risulterà una totale
irresponsabilità del primo ministro di fronte al parlamento in favore di un
suo rapporto organico, diretto, con l'elettorato.

Si sta insomma progettando la soppressione della democrazia parlamentare e
forse della democrazia tout court. Giacché un organo monocratico non
accompagnato da un parlamento indipendente non può per sua natura, come
insegnava Hans Kelsen settant'anni fa, rappresentare tutto il popolo, che
non è un'entità omogenea ma una pluralità di soggetti e di interessi
attraversata da conflitti politici e di classe. La democrazia, aggiungeva
Kelsen, «è un regime senza capi». E l'idea di un rapporto organico tra un
capo e il popolo intero è un'idea organicistica e populista che contraddice
la nozione stessa della democrazia, non diciamo costituzionale ma
semplicemente «rappresentativa».

Per questo sarebbe essenziale - prima che lo scempio si compia, prima della
seconda lettura del progetto da parte del parlamento - un messaggio
motivato del presidente della Repubblica che quanto meno ricordi alle
camere i limiti del potere di revisione, il fatto che la Costituzione è un
patrimonio di tutti e l'inviolabilità dei principi supremi tra i quali
rientrano indubbiamente la rappresentanza politica senza vincolo di mandato
e il ruolo di iniziativa, di controllo e mediazione di un libero
parlamento. Se c'è un caso in cui l'esercizio del ruolo di garante della
costituzione del presidente della Repubblica è doveroso, esso è proprio
questo; tanto più che per le leggi di revisione costituzionale ben
difficilmente il presidente potrebbe ricorrere al potere di rinvio previsto
dall'art.74 prima della promulgazione, la quale fa seguito al referendum
confermativo.

Ma ancor più essenziale è l'informazione dell'opinione pubblica e la sua
mobilitazione intorno al pericolo incombente. Temo che alla base
dell'inerzia dell'opposizione ci sia una scarsa consapevolezza intorno alla
gravità della posta in gioco e, insieme, il solito timore di «demonizzare»
un avversario che si rivela ogni volta peggiore e, oltre tutto, accusa
quotidianamente la sinistra di preparare al paese terrore, miseria e morte.
E' invece necessario drammatizzare la questione costituzionale
proponendola, semplicemente, come emergenza democratica: come la scelta,
cui saremo chiamati con il referendum costituzionale tra l'istituzione di
un regime e la sopravvivenza della democrazia. Solo così, del resto, il
referendum potrà essere vinto: solo se diventerà una grande battaglia di
principio, non inquinata da proposte di compromesso, consapevole della
posta in gioco e dei guasti già prodotti dall'avventura berlusconiana,
capace di rifondare, nel senso comune, il valore della Costituzione
repubblicana quale fondamento della nostra democrazia!