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A SINISTRA
Movimento Politico Antiliberista
BRINDISI
<http://www.asinistra.it>www.asinistra.it
COMMENTI E INFORMAZIONI
DA BRINDISI E PROVINCIA

18 dicembre 2004
Nell'e-mail di oggi:


<>Le dimissioni del Presidente della Provincia di Brindisi  vanno lette
nello scontro tra la vecchia e nuova politica. Di seguito la nostra lettura
complessiva degli accadimenti.
<>Incredibile su "Liberazione" del 17\11 il direttore Pietro Sansonetti,
commentando il rinvio alle Camera del Presidente Ciampi della riforma della
Giustizia, equipara il potere esecutivo ed il potere giudiziario a poteri
"dilatati". Una dura replica del magistrato Michele DI SCHIENA.
<>Alla Regione Puglia troppi silenzi sulla questione morale un articolo di
Nichi Vendola apparso sul Corriere del Mezzogiorno, di sabato 18 dicembre,
a commento di un ennesimo arresto in un Assessore regionale e delle
successive dichiarazioni minimaliste di Fitto.
Giancarlo CANUTO - A SINISTRA - Brindisi


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BRINDISI: NON SI PUO' FERMARE IL CAMBIAMENTO
Il 2003 è stato un anno drammatico per la nostra città e per la nostra
provincia: l'economia in una preoccupante fase di involuzione con minacce
di dismissioni aziendali e di licenziamenti, il degrado ambientale e gli
attentati alla salute dei cittadini, il vasto sistema di collusioni tra
ambienti deviati del potere pubblico e del mondo degli affari. Uno
sconcertante scenario che chiamava in causa pesanti responsabilità
politiche per scelte rovinose, gravi errori ed inammissibili omissioni. Ci
fu tuttavia una salutare reazione. La rassegnazione ed il disorientamento
si convertirono subito in una diffusa domanda di radicale cambiamento, in
una pressante richiesta di mutamento di rotta, nel generoso protagonismo
dei settori più avvertiti delle forze politiche e sindacali, dei movimenti,
dell'associazionismo cattolico e laico e delle espressioni più avanzate
della società civile. Ma c'era anche, sia pure in palese difficoltà, il
vecchio potere che si opponeva ad ogni rinnovamento, che cercava di
controllare per quanto possibile le oramai prossime elezioni amministrative
e che si proponeva, passata la burrasca, di riprendere in mano le leve del
comando con i metodi e gli obiettivi di sempre.
Si andò così al voto dello scorso giugno in un clima politico di ambiguità
che vedeva false conversioni e sinceri ripensamenti, il "vecchio" mescolato
col "nuovo", spinte innovative che dovevano fare i conti con forti
resistenze. In questa confusa situazione i cittadini votarono come
potevano: guardando meno agli orientamenti ideali e politici (fatto non
positivo in linea di principio ma comprensibile nell'anomala situazione) e
molto di più agli impegni concreti, alle credibilità personali e alle
garanzie di innovazione. Ed il voto dette risultati che, pur presentando
aspetti di contraddittorietà politica, esprimevano l'inequivocabile scelta
di chiedere che le porte del Palazzo si aprissero alla partecipazione
democratica e che un volto nuovo fosse dato alla gestione della cosa
pubblica e all'economia locale. Da qui una nuova attenzione alle domande
della gente da parte delle due maggiori amministrazioni locali ed i loro
formali deliberati in favore di un diverso e più equilibrato modello di
sviluppo con la conseguente opposizione al rigassificatore, che avrebbe
cancellato con un colpo di spugna ogni progetto di cambiamento.
Ma da qui anche il ritorno alla grande, su tutti i versanti e con tutti i
mezzi, del partito trasversale della vecchia politica che, contando sui
suoi consolidati collegamenti con i "poteri forti", tenta oggi di
vanificare le domande popolari, gli impegni assunti durante la campagna
elettorale, l'esito del voto del giugno scorso nonché le scelte ed i
deliberati delle amministrazioni locali. Ora è con quest'ottica che si
devono individuare le ragioni e gli obiettivi dei sistematici attacchi
mossi al Sindaco Mennitti ed al Presidente Errico e degli ostacoli che
vengono continuamente posti sul cammino da essi intrapreso con le
rispettive Giunte. Ed è in questo stesso quadro che vanno, da ultimo,
riguardate le dimissioni del dr. Errico, ben al di là della pur rilevante
questione che le ha formalmente determinate. Una questione che ci trova
d'accordo col Presidente della Provincia sulla scelta da lui operata per
restituire, con un tempestivo e responsabile intervento pubblico, lavoro e
serenità a tante famiglie.
Occorre allora lucidità, ponderatezza e determinazione. I tortuosi
avvenimenti degli ultimi mesi sono fatti che vanno ben oltre le sensibilità
e le valutazioni di chi è stato chiamato, in questo delicato momento, a
reggere faticosamente le due maggiori istituzioni locali. Sono fatti che
riguardano l'intera collettività e se la collettività dice, come ha
dimostrato in mille modi e da ultimo con la massiccia manifestazione del 4
dicembre, di non volersi "dimettere" dalla politica, non hanno diritto di
farlo né Errico oggi né eventualmente Mennitti domani: e lo diciamo da
sinistra avvertendo il dovere di prescindere, in questa incredibile
situazione, da ogni criterio valutativo suggerito da vicinanze o lontananze
politiche. Il dr. Errico deve restare al suo posto per portare avanti con
l'appoggio della gente il lavoro già avviato oppure, qualora questo
obiettivo risultasse assolutamente irraggiungibile, per disvelare fino alle
estreme conseguenze la irresponsabilità del progetto rivolto a restaurare
un passato che getta la sua minacciosa ombra sul futuro delle nostre
popolazioni.
Brindisi, 17 dicembre 2004
Giancarlo CANUTO - Michele DI SCHIENA - Raffaella GUADALUPI - Salvatore LEZZI -
Pompeo MOLFETTA - Maurizio PORTALURI  - Giovanni RUBINO - Graziano SANTORO -
Fortunato SCONOSCIUTO



Al Direttore di
LIBERAZIONE
dr. Piero SANSONETTI
ROMA

Egregio Direttore,
ho letto con sorpresa il suo articolo pubblicato in prima pagina su
"Liberazione" del 17 dicembre  sotto il titolo, ed anche questo mi ha
sorpreso, «Quei due poteri troppo forti». I due poteri in questione par di
capire sarebbero «questo» governo ed i giudici trattati - sembrerebbe -
l'uno e l'altro con pari giudizio critico.
Lei afferma, in particolare, che probabilmente Ciampi sarebbe stato spinto
a rinviare alle Camere la riforma della giustizia da «forze abbastanza
potenti disposte a sostenerlo nello scontro con Berlusconi nella battaglia
contro l'idea di associare e subordinare il potere giudiziario a quello
esecutivo». Mi sarei atteso che Lei avesse attribuito il clamoroso gesto di
Ciampi al dovere avvertito dal Capo dello Stato di esercitare la sua alta
funzione in assoluta fedeltà alla Costituzione repubblicana, sentendosi in
questa «battaglia» sostenuto non da forze «abbastanza potenti» (?) ma dalla
cultura civile e dalla sensibilità democratica della stragrande maggioranza
del popolo italiano.
Lei dice poi che non solo il potere esecutivo ma anche quello giudiziario
si sarebbero «dilatati a dismisura» schiacciando e quasi annullando il
potere rappresentativo. Un giudizio questo nei confronti dell'ordine
giudiziario (Lei lo chiama «potere») ingeneroso ed inaccettabile non fosse
altro che per la considerazione dei durissimi servizi resi in questi anni
dai giudici al Paese nella lotta contro la corruzione e le mafie ed anche
tenuto conto degli attacchi, delle intimidazioni e dei vituperi che i
magistrati stanno subendo in questi ultimi tempi.
Mi perdoni ma devo dirLe con ruvida franchezza che non credo Lei abbia reso
col suo articolo un buon servizio alla verità né alla lotta in favore della
Giustizia che con ogni determinazione sta conducendo la sinistra e
specialmente quella radicale. La prego di ospitare integralmente sul suo
giornale questa mia nota e la saluto distintamente.
Brindisi, 17 dicembre 2004
Michele DI SCHIENA (magistrato)




Alla Regione Puglia troppi silenzi sulla questione morale
di NICHI VENDOLA

Caro direttore, ogni volta che Raffaele Fitto perde, per ragioni
giudiziarie, un frammento del suo gabinetto di governo, ci offre commenti
degni di «cronache marziane»: scandisce parole in libertà, riduce la
portata degli eventi alla misura di un raffreddore passeggero, solidarizza
con inquisiti ed arrestati, si chiama fuori da qualsiasi coinvolgimento.
Come se avere un quarto tondo della propria giunta indagato per reati
infamanti fosse ordinaria amministrazione. Come se avere due propri
assessori carcerati fosse un problema privato di chi è inciampato nella
sventura.
Per Fitto lo scandalo è che il centro-sinistra non abbia ancora indicato
l'Anti-Fitto. Invece le ombre cupe che gli danzano attorno, il profumo dei
soldi sporchi che emana dalle inchieste, persino gli schizzi di fango
mafioso che sporcano il vertice della Regione Puglia: tutto questo è nulla.
Nulla che meriti un dibattito, un approfondimento, un'autocritica. Io non
entro nel recinto dei rilievi penali che vengono mossi, non svolgo indagini
e non abito in un ufficio di Procura. E per me il garantismo è una sorta di
«religione laica» da rispettare sempre, un catechismo del diritto (e della
civiltà) che si applica all'uomo potente come ai militi ignoti della
marginalità contemporanea. Vice- 1 versa oggi è in voga un garantismo per
quell'establishment che rivendica la propria ontologica innocenza, mentre
per i poveri cristi possono valere i modi spicci.
Ma qui non siamo impegnati in un processo. Siamo nel cuore della politica:
e vengono al pettine nodi che riguardano la credibilità delle istituzioni,
la trasparenza e l'onestà nelle funzioni di governo, persino le modalità
talvolta opache di selezione della classe dirigente. Provo a riepilogare.
Andrea Silvestri era assessore alla formazione professionale, non un
astronauta atterrato per caso sul pianeta Fitto. Enrico Santaniello era
assessore all'urbanistica, già arrestato in precedenti stagioni eppure
rimesso in sella da Fitto, oggi sotto processo per lo scandalo delle
patenti false e scalfito dall'indagine foggiana sulla criminalità
«edilizia». Giovanni Copertino, che non è un passante, è rinviato a
giudizio per le vecchie storie dei suoi eventuali rapporti con il boss
Muolo. Ed infine Pietro Franzoso, che è l'assessore ai trasporti catturato
per una brutta vicenda di voti e di clan. E non dirò nemmeno una parola
sulla verminosa vicenda delle mense per i bambini che ha schiuso l'indagine
sulla Cascina.
Si possono mettere in sequenza questi fotogrammi di un potere spudorato, si
può vedere il film «politico» di questa sporcizia istituzionale, lasciando
che i magistrati si occupino di ciò che compete loro? Ma a Raffaele Fitto
non compete alcunché? Non c'è una gigantesca «questione morale» che arde
sotto la sua preziosa poltrona? Ma c'è di più e di peggio. In tutti questi
anni la giovane e brillante «protesi» pugliese di Berlusconi non ha mai
sprecato fiato su quel protagonista sanguinario e subdolo che minacciava in
lungo e in largo il nostro territorio. La mafia sparava sul Gargano o nel
suo Salento, a Bari animava le guerre di ragazzini troppo spesso
incrociando e devastando vite di innocenti, a Brindisi puzzava di carbone:
cos'è questa, semplice cronaca nera di cui la politica non si occupa? Le
storie di malavita e di malapolitica non sono un copione cinematografico,
ma la tragedia che continua ad affogare il Mezzogiorno d'Italia. La Puglia
non ha un insediamento storico di clan, ma una recente epopea mafiosa
cresciuta sull'accumulazione primitiva del cielo del contrabbando di
sigarette. Qui più che altrove siamo in tempo per inibire la crescita
cancerosa dell'impresa criminale. Il giustizialismo non c'entra un fico
secco con il dovere di attrezzarci a recidere ogni legame tra crimine e
vita pubblica. C'entra, e tanto, la diagnosi che una classe dirigente ha di
certi fenomeni e le terapie che mette in campo. Dinanzi alla mafia il
silenzio si chiama omertà. E l'omertà istituzionale predispone alla resa
dello spirito pubblico, ara il terreno sociale del disincanto e della
paura. Forse è più facile immaginare che dietro l'angolo delle inchieste
più scomode ci siano i complotti delle «toghe rosse», Stucchevole
immaginazione che consola i propagandisti e tutta la corte del Principe. Ma
lascia sola, disperatamente sola, la Puglia: che vive il tempo del declino
economico e civile e guarda con apprensione al suo futuro.