Art. 18 Anarchici per il SI



15 giugno  Un SI per battere le destre.



Il 15 giugno il quesito è molto semplice: stare con i lavoratori o contro
di loro.

Seppure brutalizzato è questa l'essenza della contesa.

Noi non abbiamo dubbi.

Affermare ed estendere un diritto che incide direttamente sulla vita di
milioni di lavoratori è una battaglia che non può e non deve essere
"glissata" con elucubrazioni politiciste, o con purismi ideologici.

Le posizioni assunte dall'Ulivo e dallo stesso partito dei D.S. non hanno
alcuna rispondenza con il quesito referendario, queste si misurano non con
la dignità e la libertà dei lavoratori, quanto piuttosto con i precari
equilibri interni ai partiti, ovvero con la necessità di pagare un gravoso
dazio a quei settori di piccola e meno piccola imprenditoria di cui sono
espressione politica settori consistenti dello stesso ulivo e dei D.S..

Né crediamo vi siano valide argomentazioni ideologiche che ci possono
consentire di sfilarci da questo appuntamento. Affermare, infatti, che il
referendum è un pericoloso terreno istituzionale e che è solo la lotta di
classe a garantire i diritti e le libertà dei lavoratori significa, in
questa particolare situazione, fare un'affermazione di per sé valida, ma
priva di qualsiasi capacità d'incidenza sullo stato dei rapporti di forza
tra le classi. Nessuna estraniazione è consentita perché il terreno del
confronto politico e dello scontro sociale non è determinato e non è
determinabile secondo le nostre aspettative, né secondo le aspettative di
singole forze politiche e\o sindacali per quanto grandi e forti possono
essere.

Il terreno sul quale si sviluppa il conflitto è sempre la risultante delle
forze sociali che agiscono, ognuna con la propria strategia; è in questo
contesto che si inserisce la nostra iniziativa politica. In questo agire vi
deve essere la consapevolezza che l'affermazione dei No o l'invalidazione
del referendum per la mancanza del quorum non passerà come acqua sotto ai
ponti senza lasciare traccia. Questa evenienza negativa può segnare da un
lato la chiusura di un ciclo di lotte che ha riaperto aspettative e
soprattutto ha portato alla ribalta una nuova leva di giovani lavoratori
disposti ad essere protagonisti del proprio avvenire; dall'altro dare nuovo
slancio alle già vigorose politiche di smantellamento di ogni tutela del
lavoro.

L'affermazione del SI costringerà, di converso a prendere atto che la
dignità dei lavoratori non è merce a disposizione né per grandi, né per
piccoli padroni; consentirà lo sviluppo della lotta per estendere i diritti
a tutte le forme di lavoro e, soprattutto, potrà aiutare a sviluppare
un'azione concreta tesa a contrastare la frantumazione del lavoro in mille
rivoli di iperflessibilità, vera ed unica lotta per l'estensione stabile
dei diritti.

Noi non abbiamo condiviso la scelta del referendum perché avalla l'idea che
la dignità di un lavoratore diventi un diritto che si può sottoporre al
volere di una maggioranza, quando siamo convinti dell'esatto contrario,
ovvero che non vi possa essere legge o maggioranza che norma e legittimi
comportamenti discriminatori a danno di fasce di lavoratori individuati
sulla base della grandezza dell'azienda. Un diritto è tale se ha valore
universale per cui non riconosciamo a nessuna maggioranza il potere di
limitarlo e condizionarlo.

 Nella proposta del referendum il calcolo politico ha prevalso sugli
interessi dei lavoratori.

Chi ha proposto questo referendum non tenendo conto di questo aspetto
espone tutti i lavoratori a subire una pesante controffensiva governativa e
padronale. Se il No esce vincente dalle urne, avendo avuto  la piena
legittimazione di un verdetto "democratico", difficilmente potrà essere
messo in discussione. Peraltro sia Rifondazione Comunista e sia settori
della CGIL hanno chiaramente fallito rispetto alla prospettiva di un
compattamento dei D.S. intorno al SI. Errore che trae origine da una
analisi tutta politica delle dinamiche in campo, dove è prevalsa l'idea che
l'anti Berlusconismo avesse fatto da collante, sottovalutando la
composizione di classe di questo partito che invece è espressione di
interessi di soggetti sociali che hanno rotto con le prospettive del mondo
del lavoro.

Sulla base di questo ragionamento crediamo che in positivo questa scadenza
rappresenti l'occasione per comprendere, al di là degli schieramenti
parlamentari, la vera incidenza della cultura liberale nel nostro paese.
Aiuterà a mostrare l'esistenza di due destre, quella di Confindustria,
Fini, Maroni e Berlusconi e quella di Confindustria, Fassino, Dalema e
Rutelli. Aiuta a comprendere l'irrisorio peso specifico che ha il mondo del
lavoro nella definizione delle strategie e programmi politici degli stessi
partiti dei sinistra. Aiuta a comprendere la fragilità in cui versa oggi la
classe operaia e il mondo del lavoro che non solo non riesce ad avere una
forza politica e sindacale capace di interpretare i propri interessi, ma
che vede larghi settori di questo mondo affidare le proprie sorti a
soggetti politici e sociali espressione di interessi padronali.

L'affermazione del SI sarà quindi non solo un chiaro messaggio a Berlusconi
& co, ma rappresenterà anche un segnale inequivocabile al centro sinistra,
che aveva ed ha nei propri progetti un ridimensionamento delle tutele
dell'art. 18.

IL 15 e 16 giugno sarà solo un momento del conflitto di classe, il SI darà
fiducia alla lotta, in caso contrario nel tunnel delle sconfitte la luce si
allontanerà.