MARCO FAZZINI INTERVISTA WOLE SOYINKA



          TESTIMONIANZE. MARCO FAZZINI INTERVISTA WOLE SOYINKA

[La seguente intervista al grande scrittore africano abbiamo ripreso dal
quotidiano "Il manifesto" del 4 ottobre]

Primo scrittore africano a ricevere il Nobel per la Letteratura, Wole
Soyinka ha saputo fondere in modo esemplare - dalla fine degli anni `50
quando vennero pubblicati i suoi primi libri - rielaborazione mitica e
trattazione politica, in maniera da rendere i suoi regni cosmologici e
spirituali una sensazionale soluzione per la ricerca della liberta' dei
molti popoli oppressi della nostra geografia contemporanea. Lo abbiamo
incontrato ad Ascoli Piceno, poche ore prima che gli venisse assegnato il
Premio internazionale di poesia e traduzione della Fondazione Cassa di
Risparmio di Ascoli Piceno con una motivazione che ricorda tutta la gamma
delle forme letterarie da lui praticate - dalla poesia al teatro alla
narrativa alla saggistica - facendone uno dei massimi intellettuali "del
continente piu' ferito della storia".

- Marco Fazzini: Per cio' che concerne strettamente la poesia, pensa sia
ancora possibile scrivere e leggere tenendo a mente, in maniera moralmente
e intellettualmente imperativa, l'impegno civile e sociale della scrittura?

- Wole Soyinka: Non l'ho mai pensato. E' inevitabile che ci siano opere
legate a questioni sociali, cosi' come ci sono opere derivate dalla
percezione dei fenomeni, o altre direttamente legate ai nostri stati
d'animo, e cosi' via: sono scelte che spettano ai diversi scrittori,
altrimenti si rischia di scadere nella scrittura di propaganda, una
scrittura totalmente menzognera. Mi piace prendere una poesia e gustarmela
per il modo in cui allarga gli orizzonti umani, senza che sia
necessariamente impegnata da un punto di vista politico. D'altronde, se
confesso di essere un consumatore di questo bene creativo debbo credere che
esso sia giusto e assolutamente veritiero.

- M. F.: Da dove nasce, per lei, la poesia? Da una immagine, da una frase,
oppure da un periodo di gestazione che risponde a una volonta' piu' ampia e
piu' alta?

- W. S.: Direi che la poesia nasce da una combinazione di tutto questo.
Puo' nascere da una immagine trattenuta nella mente, o da un fenomeno che
puo' tradursi immediatamente tanto in una immagine che in un'espressione
destinata a descrivere un'esperienza totalmente diversa, cosi' come puo'
nascere da un concetto puramente intellettuale che mi commuove. Puo'
funzionare indifferentemente attraverso una via emotiva o politica, e
talvolta attraverso uno stato d'animo in cui mi trovo, specialmente nelle
ore piccole della notte. Ricordo, tempo fa, lo speciale stato d'animo che
mi fu procurato stando seduto a un bar, osservando la gente che si muoveva
tra il fumo, i loro gesti e le loro membra: sembrava stessero dentro a una
caverna. E' un processo dagli svariati aspetti; non riesco a definirlo o
catalogarlo con precisione, ne' riesco a definire la sua gestazione, che
puo' essere breve o lunghissima.

- M. F.: Durante la sua carriera, ha mai tenuto particolarmente presente
qualche modello, o ha tratto idee da qualche scrittore in particolare?

- W. S.: No, non riconosco alcun tipo di influenza letteraria. Lascio
questa attivita' all'analisi e alla critica letteraria. Considero la
creativita' come una giuntura sempre attiva attraverso variazioni ben
congegnate, consciamente o inconsciamente, su sentieri inventivi sempre
nuovi. Si potra' dire, per esempio, che l'Opera da tre soldi di Bertolt
Brecht si e' plasmata sull'Opera del mendicante di John Gay, e che ne
esistono versioni ambientate in Nigeria e nella repubblica dell'Africa
centrale: queste sono influenze dirette e scoperte. Ma per cio' che mi
riguarda sento di non avere alcun controllo sulle influenze inconscie e
nascoste del mio operare.

- M. F.: La figura di Ogun, dio della guerra e della creativita', dei
metalli, della strada ma anche riparatore di diritti, esploratore (colui
che va per primo), e' sempre stata una presenza costante nella sua opera
sin dal poemetto, Ogun Abibiman, che lei scrisse nel 1976 per lanciare un
invito alla lotta contro le diseguaglianze razziali del Sudafrica. Potrebbe
descrivere qual e' la particolare attrazione che questa divinita' le ispira?

- W. S.: Ogun rappresenta il volto ricorrente della condizione umana, la
componente creativa dell'uomo ma anche la sua distruttivita'. La
particolarita'" di Ogun, una delle tante divinita' yoruba, risiede nella
prerogativa del rimorso e della restituzione nei confronti degli umani. E'
un dio lirico, eppure, oltre a essere dio dei metalli, e' anche il
protettore delle aziende agricole e il demiurgo che sovrintende allo
sviluppo tecnologico. Per questo lo vedo particolarmente pertinente allo
sviluppo scientifico contemporaneo; si pensi ai piloti, agli astronauti, ai
motociclisti... E' anche un dio guerriero, dunque contiene in se' quella
mistura di elementi diversificati che mi attrae particolarmente e mi spinge
a investigare ancora il personaggio.

- M. F.: Ho visitato il Sudafrica qualche mese fa e sono stato informato
della rapida scomparsa di editori di poesia, un genere in declino anche in
altre parti del mondo, compresa l'Europa. Di recente, per esempio, la
Oxford University Press ha chiuso la sua collana di poesia contemporanea,
mentre molti dei poeti appartenenti alle aree periferiche del Regno Unito
(la Scozia, il Galles e l'Irlanda) si trovano oggi costretti a cercare
canali londinesi o newyorchesi per poter far uscire i loro libri. Pensa sia
un fenomeno fisiologico o esiste una qualche sorta di strategia economica
che rema contro i principi sui quali, in passato, si e' basata la poesia?

- W. S.: Penso che il motivo sia principalmente economico. Sto pensando
alla enorme diffusione dei prodotti tipicamente consumistici come i
computer, con i loro giochi elettronici, e a tutte le altre gratificazioni
a buon mercato, come la televisione e la video-music: emittenti di immagini
del tutto simili a un caleidoscopio. Puo' darsi che tutto questo non
influenzi la poesia, che oggi va anche sui compact disk, o in metropolitana
o su grandi camion dell'immondizia che la rendono visibile sulle strade; ma
sappiamo che la poesia richiede concentrazione. Forse riesco a leggere un
romanzo mentre qualcos'altro accade attorno a me, ma trovo difficilissimo
leggere una poesia in presenza di altre distrazioni. Ho bisogno di tempo,
concentrazione e spazio per leggere una poesia. E' forse per la crescente
difficolta' a trovare concentrazione che si sta verificando il declino
degli editori di poesia.

- M. F.: So che lei ha aiutato, negli Stati Uniti, la nascita di un nuovo
centro di studi sulla traduzione. Mi puo' parlare di questo progetto e
delle idee che stanno dietro al suo impegno nei confronti di questa
attivita', a volte definita un'arte minore nel campo della scrittura?

- W. S.: Il mio impegno nasce dal fatto di essere un soggetto coloniale,
uno che ha subito l'imposizione di una lingua straniera come mezzo
d'espressione, ma anche dal fatto di essere cosciente del fatto che il
popolo yoruba e' diviso in aree anglofone, francofone e addirittura
germanofone, in particolare quelle verso la costa del Togo. Molte
nazionalita' africane, di converso, sono confluite all'interno dello stesso
confine nazionale, e lo stesso di conseguenza e' avvenuto per molte lingue.
Sono convinto che tante etnie e tanti ceppi linguistici debbano essere
preservati per assicurare continuita' alle varie identita', portatrici a
loro volta di culture e storie del tutto singolari. La traduzione quindi
assume una particolare funzione, ed e' per questo che ha costituito sempre
una preoccupazione attorno alla quale fare ruotare il mio lavoro. Quando
negli anni Sessanta, con l'appoggio di Senghor, si penso' di promuovere lo
swahili come la lingua di tutta l'Africa nera, la traduzione divenne una
strategia non solo linguistica ma anche culturale e politica. Ovviamente,
per poter diffondere le opere scritte in altre lingue e renderle visibili a
un piu' ampio pubblico africano, la traduzione in lingua swahili risulto'
uno dei programmi sui quali si punto' con piu' insistenza. La traduzione
per me, quindi, va di pari passo con la creativita'. Inoltre di recente,
presso l'universita' del Nevada, l'istituto di lettere moderne ha avviato
un particolare programma per la traduzione letteraria, sia per promuovere
la traduzione in inglese di opere scritte in altre lingue sia per concedere
borse di studio e di ricerca su autori e poetiche. E' curioso osservare che
il tutto avviene a pochi passi dai casino' di Las Vegas, dove l'interesse
per la poesia e la traduzione temo sia molto scarso. Questo programma si
finanzia attraverso uno speciale progetto che prevede entrate provenienti
da collezionisti di opere d'arte e libri d'arte; tutti i proventi sono
indirizzati verso la traduzione e il finanziamento di uno speciale asilo
per scrittori perseguitati in tutto il mondo da governi corrotti e
totalitarismi di spietata violenza.

- M. F.: Lei ha di recente presentato il suo ultimo lavoro teatrale, King
Baabu, in Sudafrica. E' una piece ironicamente denunciataria: quale
reazione ha incontrato a Citta' del Capo?

- W. S.: In realta', King Baabu fu gia' messo in scena in Nigeria nel
luglio dello scorso anno. Per me ha rappresentato una sorta di vendetta
creativa contro il potere, la corruzione e la disumanizzazione. Non ho
voluto direttamente riferire l'opera a un singolo paese africano, quale la
Nigeria, perche' mi e' sembrato importante far uso di un piu' ampio
scenario africano, anche se ovviamente le angherie di questo leader
rimandano a cio' che e' avvenuto nel mio paese. E' stato rappresentato a
Zurigo, visto che il regista e' svizzero, e quest'anno in Sudafrica, dove
mi sono recato di recente, e poi nel Lesotho. Cio' che piu' mi ha colpito
della reazione riscontrata a Citta' del Capo non e' stato solo il
collegamento che hanno fatto tra il mio personaggio autoritario e Mugabe,
il leader dello Zimbabwe, ma l'inaspettata pertinenza che hanno avvertito
per tendenze simili all'interno del Sudafrica. L'insistenza mostrata nel
tracciare quel parallelismo mi ha imbarazzato: infatti, mi e' difficile
pensare al Sudafrica di oggi come a un paese degenerato fino al punto da
trovare analogie con cio' che dico nel mio dramma. Eppure, dopo lo
spettacolo, ho parlato con un dirigente dell'African National Congress che
era andato a vedere lo spettacolo a Pretoria e, nonostante abbia rilevato
come l'opera si rivolga genericamente all'Africa tutta, ha trovato la
performance scioccante, tanto che non ha voluto rilasciare commenti,
limitandosi a chiedere subito e semplicemente un whisky.