question time su donne afghane



 Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 166 di giovedì 27 giugno 2002



(Iniziative per la valorizzazione del contributo delle donne afgane alla
ricostruzione del proprio paese - n. 2-00389)

PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di illustrare la sua
interpellanza n. 2-00389 (vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti
- http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stenografici/sed166/aurg05.htm#sez5).

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, illustrerò questa mia interpellanza
facendo alcune considerazioni preliminari per chiarire il contesto nel
quale e per il quale ho preso questa iniziativa. Durante la guerra in
Afghanistan, come elemento di utilizzazione aggiuntivo a quello della lotta
al terrorismo e dell'abbattimento delle strutture terroristiche di Al
Qaeda, si è fatto riferimento al burqa e all'infame trattamento inflitto
dal regime dei talebani alle donne.
Si è trattato di un elemento aggiuntivo per giustificare e legittimare in
qualche modo le operazioni di guerra: i bombardamenti, i cosiddetti effetti
collaterali (la morte di civili), insomma tutto il quadro operativo di vera
e propria guerra che è stato approntato in quei territori.
La sottoscritta, assieme ad altre colleghe parlamentari - e come altre
donne hanno fatto nel passato - ha più volte avuto modo di richiamare
l'attenzione dei mass media e delle forze politiche sulla situazione che le
donne soffrivano in quel paese, senza avere nessun riscontro, nessuna
attenzione. D'altronde, nessun riscontro e nessuna attenzione hanno avuto
le sollecitazioni affinché si guardasse con attenzione a quello che le
stesse donne facevano in Afghanistan e nei campi profughi al confine con il
Pakistan per alleviare la loro condizione e per affermare diversi punti di
vista rispetto all'icona - consegnata a noi occidentali - che vedeva le
donne prigioniere del burqa ed assolutamente incapaci di denunciare la loro
condizione e di cercare strade nuove per uscire da quella situazione. La
soggettività femminile - come io la definisco - lavora dovunque nel mondo,
ma non viene messa in luce, valorizzata, stimolata e supportata in modo
adeguato. Faccio queste considerazioni poiché sono utili a chiarire il
contesto della mia interpellanza urgente: da una parte, vi è
l'utilizzazione del burqa per aggiungere, in qualche modo, elementi di
legittimazione della guerra e, dall'altra, il silenzio, di questo come di
tutti i parlamenti, sulla situazione vissuta in precedenza dalle donne.
Oggi ci troviamo a fare i conti con un diverso quadro della situazione in
Afghanistan, in parte provocato dagli effetti della guerra; è un quadro -
si dice - di avvio alla democratizzazione e alla pacificazione. Nei giorni
scorsi si è arrivati alla formazione del Governo Karzai, ciò dovrebbe
rappresentare un elemento di stabilizzazione del paese. Voglio sottolineare
due aspetti che hanno a che fare con le premesse che prima ho formulato e
che, solo apparentemente, sono lontani e diversi. Innanzitutto, vi è un
primo elemento di valutazione politica: la formazione del nuovo Governo
Karzai non rappresenta affatto una pacificazione, né tantomeno l'avvio di
un reale processo di democratizzazione. La Loya Jirga, cioè la grande
assemblea dei capi tribù afgani, si è conclusa con la nomina del nuovo
Governo, ma con questo voto si sono anche sedimentate una serie di nuove
tensioni nel paese. Sicuramente, il premier Karzai ha lanciato un messaggio
chiaro, da capo di Governo: ha detto che a Kabul si comanda, che le milizie
locali agli ordini dei signori della guerra dovranno obbedire al Ministero
della difesa, che le tasse - raccolte direttamente dai molti signorotti e
capi tribù - dovranno andare al governo centrale e la moneta - ancora oggi
sono usate altre valute, per cui la banca centrale non ha idea di quanti
soldi circolino - deve essere unica. Inoltre, Karzai ha ribadito l'impegno
alla lotta al terrorismo e ad un processo di pacificazione.
Tuttavia, la situazione è, nei fatti, diversa anche per la pesante
intromissione e presenza dietro le quinte, perlomeno sul piano diplomatico
e della formazione del processo di istituzionalizzazione del nuovo potere,
degli Stati Uniti che mirano ad un controllo egemonico dell'area,
contribuendo ovviamente con queste manovre a rendere esplosivo il contesto.
L'intervento degli Stati Uniti, finalizzato a far uscire di scena i potenti
clan tagiki, è fallito.
Il ministro degli esteri, Abdullah Abdullah, e quello della difesa,
Mohammad Khan Fahim, sono rimasti al loro posto (si tratta di due grandi
signori della guerra). D'altra parte, conoscendo i metodi che gli Stati
Uniti adottano e teorizzano con sempre maggiore virulenza nella fase
attuale dominata dalla strategia dell'operazione Enduring Freedom, non vi è
da dubitare che faranno di tutto per garantire il controllo strategico
della zona, alimentando anche, se sarà necessario, la ripresa di una
conflittualità tra le varie etnie e tribù; conflittualità che, già prima
dell'instaurazione del regime dei Taleban, costò sofferenze indicibili,
violenze e violazioni dei diritti della parte femminile della popolazione
afgana, come, in maniera molto esauriente e lucida, quelle di noi che sono
andate a visitare quelle zone, hanno appreso da molte rappresentanti di
quelle associazioni femminili che hanno combattuto, nell'indifferenza quasi
totale dell'occidente, la loro battaglia in difesa dei loro diritti e dei
diritti delle donne del loro paese.
Le donne sono, ovviamente, esposte più di altri soggetti a queste
dinamiche, per il contesto di violenza che, potenzialmente e fattualmente,
contrassegna ancora il paese e perché nulla di strutturale si è andato
sedimentando in questa esperienza di formazione del nuovo Governo né
probabilmente avrebbe potuto sedimentarsi.
La composizione di genere, vale a dire dal punto di vista della copresenza
di donne e di uomini nel Governo Karzai, è bassissima per quanto riguarda
le donne. Soltanto alla signora Suhaila Seddiqi, è stato confermato il
Ministero della sanità.
Durante i lavori della Loya Jirga si sono manifestate enormi difficoltà per
la rappresentanza delle donne, per il gruppo del 13 per cento che
rappresenta la parte femminile della società afgana, ad ottenere parola e a
poter sviluppare il punto di vista delle donne nel dibattito della Loya
Jirga.
Questo è il contesto in cui si colloca l'interpellanza proposta. Si tratta
di un'interpellanza che mira a mantenere vivo il contesto, secondo un
impegno che ho assunto con altre parlamentari e con esponenti della
resistenza femminile al regime dei Taleban e alla riproposizione di nuove
forme di integralismo e di fondamentalismo che possano di nuovo violare i
diritti delle donne, soprattutto nel quadro di utilizzazione delle
dinamiche negative interne, con la quale intendiamo rivolgere alcune
domande al Governo. Vorrei, in particolare, sapere quali iniziative il
Governo intenda intraprendere per valorizzare e promuovere, attraverso una
diffusa informazione nel nostro paese, il contributo che le donne afgane
stanno offrendo alla costruzione della pace e della democrazia in
Afghanistan.
Spentasi l'attenzione sulle vicende militari in Afghanistan, la situazione
torna ad essere di estrema indifferenza rispetto a quanto concretamente sta
accadendo in quella parte del mondo, mentre i processi vanno avanti. Le
donne continuano così a rappresentare una forza vitale per l'affermazione
di quei principi di civiltà, democrazia e pacificazione che, in modo a mio
giudizio alquanto farisaico, vengono adottati anche nel nostro paese.
Quindi vorrei chiedere cosa intenda ancora in questo contesto fare il
Governo per appoggiare i progetti di crescita e sviluppo promossi dal
ministero degli affari femminili, per il quale non è stata ancora indicato
un responsabile in Afghanistan e che è stato l'unico ministero che, durante
il viaggio di una delegazione di parlamentari italiani in Afghanistan, ha
prodotto una documentazione sui progetti che stava elaborando, corredando
il progetto stesso di precise richieste di aiuto ai paesi europei.
Infine chiedo ancora cosa intenda fare il Governo in sede internazionale
per farsi promotore delle istanze di queste donne, sensibilizzando la
Comunità europea e gli altri paesi occidentali nel loro complesso affinché
rivolgano una maggiore attenzione al processo di integrazione e
partecipazione delle donne africane alla vita del loro paese.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, onorevole
Baccini, ha facoltà di rispondere.

MARIO BACCINI, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri. Signor
Presidente, in risposta all'interpellanza formulata dall'onorevole Deiana,
vorrei ricordare che il Governo italiano intende sostenere il ruolo delle
donne afgane nella società locale ed opera attivamente anche attraverso
l'Unifem, il fondo delle Nazioni Unite per le donne, al fine di sostenere
il ruolo delle associazioni delle donne e delle ragazze afgane a favore di
una maggiore diffusione, a tutti i livelli, della coscienza dell'apporto
che le donne possono dare alla vita politica e amministrativa del paese.
L'azione del Governo italiano è però anche a più vasto raggio a favore del
ristabilimento di una situazione accettabile dei diritti umani in
Afghanistan ed in occasione della cinquantottesima sessione della
Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite svoltasi nella
primavera di quest'anno, l'Italia ha proposto ed ha fatto approvare, per
consenso, una risoluzione di ordine generale che riafferma i principi di
restaurazione e di rispetto dei diritti umani contenuti nell'accordo di
Bonn. Essa ribadisce inoltre il sostegno all'opera dell'autorità interinale
afgana e l'impegno ad individuare e punire i responsabili di abusi, nonché
a tutelare la vita e i diritti dei rifugiati dei bambini e delle donne.
Per quanto riguarda il particolare ruolo delle donne nella ricostruzione
dell'Afghanistan, la risoluzione sottolinea l'importanza che venga
assicurata la loro piena ed effettiva partecipazione ed integrazione in
tutti i processi decisionali concernenti il futuro del paese, inclusa, in
particolare, la loro partecipazione agli organi rappresentativi e di
Governo previsti dall'accordo di Bonn.
Il testo invita altresì l'autorità interinale afgana a riaprire le scuole
per le ragazze e ad adottare con urgenza le misure necessarie per
cancellare ogni norma legislativa che discrimina le donne, assicurando la
loro piena ed effettiva partecipazione alla vita del paese a tutti i
livelli. Si intende inoltre garantire la loro reintegrazione nei posti di
lavoro, il rispetto della integrità fisica e che i responsabili di
violazione dei diritti umani siano portati dinanzi alla giustizia.
Il Governo guarda oggi con attenzione all'attività politica avviatasi in
Afghanistan a seguito della convocazione della Loya Jirga e intende
continuare a vegliare affinché il nuovo Governo, guidato dal presidente
Karzai, mantenga gli impegni presi dall'autorità interinale e prosegua
nell'opera di rivalutazione del ruolo delle donne.
Non nascondiamo d'altra parte le difficoltà e le lentezze che
accompagneranno l'opera di ammodernamento delle strutture amministrative
del paese. Auspichiamo, tuttavia, che i principi contenuti nella
risoluzione della Commissione per i diritti umani costituiscano la linea
guida per l'azione politica ed amministrativa della autorità locali e del
Governo di Kabul.
Venendo più in concreto agli interventi della cooperazione da parte
dell'Italia, che ha riconosciuto fin dall'inizio l'importanza delle donne
afgane a svolgere un ruolo costruttivo nel processo di pace, si ricorda
innanzitutto il finanziamento di un programma di intervento biennale
proposto dal Fondo di sviluppo delle Nazioni Unite per le donne. Tale
organismo interviene, in particolare, a favore delle donne in situazioni di
emergenza post-conflitto e ha già operato con successo nei campi profughi
del Pakistan, per favorire la sicurezza economica, i diritti e le
possibilità di una vita più sicura alle donne afgane.
La strategia dell'iniziativa finanziata dall'Italia per un ammontare
superiore a 2,5 milioni di euro - su un totale di circa 11 milioni di
dollari - si basa sul sostegno delle associazioni di donne che stanno da
qualche tempo operando in Afghanistan, nelle regioni limitrofe e a livello
internazionale per il sostegno della popolazione colpita da più di
vent'anni di guerra e da un lunghissimo periodo di discriminazione sofferta
delle donne. L'Unifem opera in collaborazione con il Ministero afgano per
le questioni femminili.
Tutto questo mostra con chiarezza, onorevole Deiana, che il Governo
italiano è impegnato in maniera significativa dalla prima ora - come ella
sa - in un intervento anche di mediazione politica presso gli organismi
internazionali, al fine di superare tutte le problematiche che lei ha
ricordato e che ricorda anche in questo momento con questa importante
interpellanza, proprio per rivitalizzare qualsiasi spinta al fine di
sollevare, soprattutto sui diritti umani, i problemi che oggi insistono
sull'area e che, con l'intervento italiano, credo possano essere
affievoliti.

PRESIDENTE. L'onorevole Deiana ha facoltà di replicare.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, non posso che dichiararmi parzialmente
soddisfatta, come mi capita spesso, soprattutto su argomenti che hanno a
che vedere con le grandi questioni, come la guerra e come l'intervento
italiano al seguito di azioni di guerra. Infatti, conosco bene l'impegno
italiano nel finanziamento, nell'aiuto, nell'appoggio ad iniziative di tipo
umanitario. Tuttavia, non credo che questioni drammatiche come quelle che
sono state e continuano ad essere vissute dalle donne afgane possano essere
affrontate esclusivamente in chiave umanitaria.
Credo vi sia una dimensione politico-strategica che, ovviamente, non può
essere risolta né affrontata in questo breve spazio che concerne un punto
specifico, ma che, tuttavia, voglio ribadire in questa sede: la dimensione
dell'impegno del nostro paese perché si abbandoni, in sede occidentale,
qualsiasi logica di neoprotettorato, in parti del mondo come quella in
esame. Infatti, la pretesa di imporre forme nuove di protettorato nelle
zone del mondo che conoscono la fatica dell'emancipazione e della
liberazione umana, come l'Afghanistan, non può che introdurre elementi di
tensione e di conflittualità. Quindi, rimane un piano grandissimo, che è
radicalmente alla base della situazione, per come si è sviluppata fino ad
adesso e per come rischia di svilupparsi nuovamente.
Il rischio è che si ripiombi in una situazione di preregime e regime, in
ragione dei superiori interessi degli Stati Uniti e dell'Occidente, che
segue gli Stati Uniti in questa incredibile avventura di neoprotettorato in
una zona molto importante dell'Asia. Affermo ciò per sottolineare che non
possono essere soddisfacenti risposte che pongono l'accento solo su un
aspetto, come ha fatto il sottosegretario.
Vorrei rilevare anche un altro aspetto. L'appoggio sul piano umanitario non
può essere disgiunto dall'appoggio sul piano politico e culturale, della
trasmissione dell'informazione e della formazione di un'opinione pubblica
democratica che guardi con interesse, non meramente umanitario, a ciò che
avviene in Afghanistan, ossia al grande sforzo che una parte della società
femminile afgana sta compiendo per far uscire dalla minorità giuridica,
culturale e simbolica, le donne del proprio paese.
Credo che lo sforzo di costruire un punto di vista occidentale e del nostro
paese, per capire quale grande partita di umanità, di esperienza umana
femminile, di soggettività, di autoemancipazione e autoliberazione (quindi,
di emancipazione e liberazione per l'intera società afgana) si stia
giocando in quella zona, lo sforzo di costruire questo punto di vista,
attraverso l'informazione, l'attenzione, la comunicazione, varrebbe molto
più (o, perlomeno, sarebbe di pari valore) dell'impegno finanziario. Si
tratta, dunque, dello sforzo di sensibilizzare un'opinione pubblica attenta
ai processi, perché altrimenti si elargiscono soldi e si tiene tranquilla
la coscienza.
Credo che far conoscere la vicenda che ha visto coinvolta la signor Sima
Samar - ex ministra della condizione femminile, fortemente messa sotto
accusa dai fondamentalisti del suo paese, accusata di essere la Salman
Rushdie afgana, di essere blasfema e traditrice - e costruire un punto di
vista democratico, di solidarietà, facendo conoscere la soggettività,
l'iniziativa politica e culturale, l'impegno grande di civilizzazione e di
costruzione di una civiltà più sopportabile tra donne e uomini (ciò che le
donne hanno fatto in tutti i paesi e continuano a fare), sia molto
importante.
Ciò rappresenterebbe un contributo che questo nostro paese potrebbe dare,
anche partendo dalle grandi risorse che le donne italiane hanno mostrato di
possedere su questo terreno; potrebbe costruire un ponte di solidarietà con
le donne afgane molto più potente, dal punto di vista della trasformazione
dei processi di democratizzazione e pacificazione di quel paese (o,
perlomeno, ugualmente potente), rispetto a quanto possono fare i contributi
finanziari, rispetto ai quali non ho motivo di dubitare: è l'unico punto,
su cui, forse, posso dichiarami soddisfatta.





(Sezione 5 - Iniziative per la valorizzazione del contributo delle donne
afghane alla ricostruzione del proprio paese)

I sottoscritti chiedono di interpellare i Ministri degli affari esteri e
per le pari opportunità, per sapere - premesso che:
le donne afgane elette nella Loya Jirga sono circa 200 su 1551 delegati,
appena il 13 per cento;
alcune di queste donne si sono fatte strada nel mondo politico con estremo
sacrificio, riuscendo, alle elezioni, a battere colleghi potenti e famosi;
queste donne, come da loro stesse denunciato, incontrano notevole
difficoltà a superare, in seno all'assemblea, l'ostilità e il maschilismo
dei colleghi uomini, tanto che sono sempre di più costrette a rivendicare
il loro diritto alla parola;
come riportato da un lancio Agi/Reuters del 12 giugno 2002, una delle
delegate che rappresentano diversi milioni di donne afgane ha protestato in
assemblea gridando: «Quando ci alziamo e cerchiamo di intervenire, gli
altri delegati cominciano a urlare e ci dicono di restare sedute. Dicono
sempre che non è il momento giusto, ma anche noi siamo parte di questo
Paese»;
le delegate si stanno battendo per un Afghanistan democratico, rivendicando
il diritto di scegliere contro chi vorrebbe ridurre la Loya Jirga a
un'assemblea per ratificare decisioni prese altrove;
il loro esempio è da stimolo per tutte le altre donne del Paese, affinché
escano dallo stato di terrore psicologico, in cui hanno vissuto per anni
sotto il regime talebano, e si sentano libere di sviluppare e affermare la
propria personalità;
la libertà d'espressione e di opinione e la possibilità di partecipare alla
costruzione democratica del proprio Paese sono diritti inalienabili;
le donne che si sono liberate del burqa sono appena un venti per cento -:
come intenda il Governo valorizzare e promuovere, attraverso una diffusa
informazione nel nostro Paese, il contributo che le donne afgane stanno
dando alla costruzione della pace e della democrazia in Afghanistan;
come intendano appoggiare i progetti di crescita e sviluppo promossi dal
Ministry for women's affairs;
se e come intendano, in sede internazionale, farsi promotori delle istanze
di queste donne, sensibilizzando a una maggiore attenzione al processo di
integrazione e partecipazione delle donne afgane alla vita del loro Paese.
(2-00389)
«Deiana, Giordano, Mantovani, Cima, Titti De Simone».
(25 giugno 2002)





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