Re: ART. 18




Cari compagni credo che nessuno vi può dare torto in merito alla Confindustria che in finale fa il "lavoro" suo.
Ma non sarebbe il caso di mettere l'accento su altre cose?
In effetti questo gran can-can che si sta facendo sull'art.18 a me sembra tanto il chudere la stalla quando i buoi sono scappati, e rientra tanto bene nel gioco delle parti da governo "sinistro" o destro e sindacalismo cosidetto, e in questa fase è un giocare di rimessa. Se noi pensiamo che la maggior parte dei lavoratori sono atipici, a termine, a perte-time,precari e tutti gli aggettivi che qualificano il fatto "il posto garantitio ve lo scordate, non c'è più spazio per questa oscenità, nel senso che il mercato richiede che siate schiavi e basta", dico dopo aver ingoiato questi rospi le cui leggi, guarda un pò, proprio dai sinistri di governo sono state fatte, non vi pare patetico piangere sull'articolo 18? dico, a breve i contratti saranno tutti del tipo che se pure lasciano l'articolo 18 nessuno è nella condizione contrattuale di potervi ricorrere.
Nemmeno il pubblico impiego si salva dalla precarità.
E allora non sarebbe il caso invece di giocare di rimessa di alzare il tiro? e magari incominciare a lottare contro tutto il lavoro a termine?
Vittoria
L'Avamposto degli Incompatibili
http://www.controappunto.org


From: "Istituto di Studi Comunisti Karl Marx - Friedrich Engels" <istcom at libero.it>
Reply-To: dirittiglobali at peacelink.it
To: dirittiglobali at peacelink.it
Subject: ART. 18
Date: Wed, 13 Mar 2002 10:28:43 +0100

ALL'ATTENZIONE DEI COMPAGNI

CON PREGHIERA DI VOLERVI DARE LA DIFFUSIONE ED IL SOSTEGNO CHE SI RITIENE
PIU' OPPORTUNI.

grazie

istcom

PS.

siamo interessati ad un vostro giudizio sull'allegato.





ISTITUTO DI STUDI COMUNISTI
KARL MARX - FRIEDRICH ENGELS
istcom at libero.it
http://digilander.iol.it/istcom/istcom


ARTICOLO 18
I vuoti di memoria della Confindustria.
ovvero:
La CONFINDUSTRIA CI RIPROVA

La tesi della Confindustria, e consequenzialmente dei suoi teorici, è
quella che una liberalizza-zione della possibilità di licenziamento
consente una maggiore occupazione, crea nuove possibilità di occupazione.
Esiste, quindi, un rapporto diretto tra licenziamento di una unità ed
aumento dell'occupazione.
Sul piano strettamente teorico e scientifico non esiste un tale rapporto:
licenziamento ed aumento dell'occupazione rispondono a criteri diversi e
sostanzialmente opposti.
L'aumento di occupazione, le nuove possibilità di occupazione sono
determinate dalle leggi del mercato, ossia dal ciclo economico, se cioè si
è in fase di espansione o in fase recessiva, se cioè quella merce ha un
mercato, se esiste una domanda insoddisfatta tale da richiedere un aumento
della produzione. L'aumento della produzione non sempre comporta
automaticamente un aumento dell'occupazione, entro certi limiti essa può
essere soddisfatta aumentando i ritmi di lavoro.
Per esserci aumento di occupazione, per esserci le nuove possibilità di
occupazione occorre che tale domanda insoddisfatta sia di una entità tale,
e quanto meno di medio-breve periodo, da far divenire conveniente l'aumento
di una unità lavorativa. Se è solo un aspetto contingente, in questo caso
non conviene aumentare l'occupazione in quella fabbrica. Nelle condizioni
date, infine, tale domanda insoddisfatta deve essere di tale entità da
superare la massa delle merci invendute nei precedenti cicli produttivi.
Il licenziamento di una singola, o di singole unità lavorative non comporta
in nessun caso un au-mento dell'occupazione, ma solamente una sostituzione.
Il licenziamento non per chiusura e contrazione della forza lavoro
impiegata, il licenziamento di una singola unità risponde invece a criteri
e regole dettati dal codice civile, oltreché da quello penale:
scarso rendimento, ecc. Ma questo comporta unicamente ed esclusivamente la
sostituzione di quella unità lavorativa con danni nell'immediato
all'impresa ed alla produttività, giacché l'unità sostituita deve essere
immessa nel ciclo produttivo e di solito occorrono 5-8giornate lavorative
prima che la nuova unità impiegata entri a pieno regime.

La Confindustria quindi mente sapendo di mentire.
Gli intellettuali che si fanno paladini di tali teorie mentono sapendo di
mentire.
Ma il problema non è quello del mentire ed il sapere di mentire.
La verità è che la Confindustria ci riprova.
La regolamentazione dei licenziamenti individuali, imposta proprio per
impedire i licenziamenti individuali e limitare l'arroganza e lo strapotere
padronale, imposta sotto il possente movimento di lotta che saliva dalle
fabbriche, risale all'accordo del 7. agosto. 1947.
Con tale accordo venivano istituite le Commissioni Interne ed affidata alle
Commissioni Interne la complessa materia dei licenziamenti individuali e
collettivi.
All'indomani della rottura dell'unità sindacale, 1948, e dentro il più
generale attacco al movimento operaio scatenato dalla borghesia, la
Confindustria decise di disdettare l'accordo del 7. agosto. 1947. Tale
assalto borghese venne preceduto da una massiccia, violenta, prolungata,
premeditata, programmata azione di repressione, che combinava tre elementi:
la scissione in campo sindacale, la repressione in fabbrica, la repressione
statale.
Dal 1948 ai primi mesi del 1950 ci furono
62 operai uccisi, 3.126 operai feriti, di quelli che furono costretti a
ricorrete alle cure ospedaliere,
92. 169 arrestati, 19. 306 condannati a 8.441anni di carcere;
licenziati per rappresaglia 674 membri delle Commissioni Interne, 1.128
attivisti della C.G.I.L.
Dopo questo possente ' fuoco di sbarramento' la Confindustria ritenne di
essere oramai in grado di procedere alla formalizzazione dei nuovi rapporti
di forza, che credeva essere riuscita ad imporre, e quindi procede a
disdettare l'accordo del 7. agosto. 1947.
Il motivo che determinò la Confindustria a disdire nel 1950 l'accordo sta
nel fatto che in esso erano, appunto, regolamentati i licenziamenti
individuali e collettivi.
La Confindustria all'atto della disdetta dichiarò che riteneva ancora
applicabile l'accordo Buozzi-Mazzini del 1943, che la lasciavano
completamente libera di procedere come meglio le pareva.
Possente ed immediata fu la risposta dell'intera classe operaia, che
convinse immediatamente la Confindustria di aver sbagliato calcoli, che le
fece toccare con mano come tutto il possente assalto dispiegato non era in
realtà servito granché nello spezzare, sfiancare il movimento operaio e
sinda-cale italiano. Dinanzi alla possente controffensiva operaia deve
attuare una precipitosa ritirata.
Gli accordi del 18. ottobre e 20. dicembre 1950 stabilivano una nuova  e
più avanzata disciplina per i licenziamenti individuali e collettivi,
affermando nel caso dei licenziamenti individuali il principio della giusta
causa.
        Da allora l'accordo del dicembre 1950 costituisce una bruciante
mortificazione della borghesia italiana, che ritorna ricorrente ad agitarle
il sonno e che da oltre cinquant'anni alimenta i suoi più reconditi sogni.
Aveva pensato che la sconfitta elettorale dell'aprile 1948 ed il sostegno
attivo dell'imperialismo a-mericano potevano ben costituire base
rassicurante per reimporre la sua dittatura in fabbrica e spaz-zare via la
democrazia in fabbrica, perché poi il punto vero di tale attacco era, ed è,
esattamente questo: spazzare via la democrazia dalla fabbrica.
La classe operaia e l'intero popolo lavoratore aveva ben assimilato la
lezione del fascismo, ossia che se in fabbrica regna la dittatura del
padrone, se in fabbrica la democrazia è uccisa, la democrazia non può
sopravvivere nel Paese. Essa nasce nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro e
si alimenta di questa e da questa si propaga a tutta la società civile.
L'aveva ben assimilata e seppe dare la dura, immediata, possente risposta,
tale da imporre alla Con-findustria una disordinata e confusa ritirata ed
una bruciante ed umiliante sconfitta.
La Confindustria questa volta si è sentita ben più sicura del 1950, la
vittoria elettorale del centro de-stra, ha eccitato i suoi sogni, la
presenza diretta, fisica di uno dei suoi al governo le ha fatto perdere
qualsiasi prudenza e senso della realtà ed ha ritenuto di poter attuare la
rivincita.
Attuare la rivincita per imporre in fabbrica la sua dittatura, per spazzare
via la democrazia dalla fabbrica, fare piazza  pulita con assemblee,
incontri ed imporre un capovolgimento radicale delle relazioni industriali.
La libertà di licenziamento è la libertà di mettere fuori chiunque non si
adatti a tutti i ritmi e carichi di lavoro, a tutta la flessibilità
dell'orario di lavoro: straordinario e orario fles-sibile - ma questo è
l'esatto opposto del creare nuove possibilità di occupazione: ma voi
provate a dirlo ai dotti e sapienti docenti ed accademici di economia
politica!!. Libertà di licenziamento in re-altà è la libertà del
supersfruttamento, dello sfruttamento bestiale, in grado di sopperire
all'assenza di ammodernamento degli impianti e dei processi produttivi: la
vecchia storia della borghesia italiana: mentecatta ed accattona, altro che
nuove possibilità di occupazione.
Ma la libertà di licenziamento è anche la libertà di licenziare quanti sono
attivi sul piano sindacale e politico in fabbrica, quanti non si dimostrano
duttili alle esigenze della produzione in sede elettorale La libertà di
licenziamento è la libertà di spazzare via dalla fabbrica qualsiasi istanza
di democrazia.
La CONFINDUSTRIA CI RIPROVA INSOMMA!!

lunedì 11 marzo 2002







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