L'ENI: multinazionale etica o rapinatrice di risorse energetiche?




L’ENI: multinazionale etica o rapinatrice di risorse energetiche?

Un’intervista di Gabriele Paglino, redattore di Radio Città Aperta, al
dottor Gianni Di Giovanni, Direttore Relazioni con i Media Italiani e
Internazionali





D - Dott. Di Giovanni, è al corrente dell’iniziativa dell’Ong “Un ponte
per...” relativa all’opera dell’Eni in Iraq?

Di Giovanni: La cosa che vorrei specificare, e vorrei chiarire in maniera
definitiva, è quella dei nostri attuali accordi con l’Iraq…..stiamo
parlando di Iraq o Iran?

D - Iraq.

Di Giovanni: Allora vorrei precisare una volta per tutte il concetto che in
questo momento noi non abbiamo nessun tipo d’iniziativa di esplorazione o
di gestione di risorse di idrocarburi in Iraq. Abbiamo con la società
petrolifera irakena, ma da ormai moltissimi anni (dovrebbero essere una
decina), un accordo che prevede che alcuni tecnici irakeni possano
frequentare i nostri centri di addestramento in Italia per avere maggiori
conoscenze, gli ultimi ritrovati in termini di conoscenza che noi abbiamo
della ricerca e della gestione degli idrocarburi, come una gestione tra le
due compagnie, ovvero la compagnia irakena e Eni. Quindi c’è questo accordo
che prevede che questi tecnici stiano in Italia e imparino da noi alcune
tecniche.

D - Mi sta dicendo che l’Eni non è presente in Iraq?

Di Giovanni: In questo momento l’Eni non è presente in Iraq con nessun
centro, nessun pozzo, nessuna istallazione e nessun tipo di operazione di
ricerca o sviluppo di idrocarburi. Questo non perché noi non siamo
interessati al Paese, perché è un Paese molto interessante dal punto di
vista del petrolio o del gas, ma perché in questo momento non ci sono le
condizioni per poter operare in tranquillità e in sicurezza come succede in
altri Paesi.

D - Quindi quello che sostiene “Un ponte per” è tutto falso?  Secondo “Un
ponte per” non sarebbe sbagliato dire che l’Eni stia approfittando della
situazione, sfruttando la guerra in Iraq, una guerra finanziata dalle
stesse multinazionali del petrolio che hanno sostenuto l’elezione di Bush
alla Casa Bianca, e che secondo alcune stime farebbe entrare nelle casse
dell’Eni per il solo giacimento di Nassirya ben 6 miliardi di euro?

Di Giovanni: Sono tutte fantasie.

D - E’ inevitabile però che la nuova legge sul petrolio approvata dal
Governo fantoccio iracheno, quindi sotto la pressione statunitense,
garantisca enormi profitti alle multinazionali energetiche. L’Eni non fa
parte di quel cartello, di quella lobby chiamata I.T.I.C. (International
Tax & Investment Center)?

Di Giovanni: Io le posso dire che la legge che abbiamo letto dai giornali,
che è stata recentemente approvata in Iraq - dico che abbiamo letto dai
giornali perché non abbiamo avuto la possibilità ancora di leggere il testo
in maniera approfondita - non è né più e né meno che la stessa normativa
che regola la ricerca, lo sviluppo e la gestione di idrocarburi negli altri
Paesi della penisola Arabica e del mondo arabo. Non c’è nessuna grande
differenza. Per quanto riguarda le valutazioni sul governo che lei ha fatto
ovviamente sono valutazioni che non ci possono trovare concordi perché il
governo irakeno è un governo legittimamente eletto. Questa legge comunque
sarà oggetto di nostra valutazione e se un domani dovessero esserci le
condizioni di sicurezza per poter operare in quel Paese e ci fossero date
le possibilità di poterci operare cosi come facciamo in altri settanta
Paesi in giro per il mondo non vediamo perché non sia il caso di poterlo
fare. Tutto questo, però, non ha alcuna applicazione pratica se non il
fatto che, ripeto, alcuni tecnici della società petrolifera irakena sono
presenti presso i nostri centri di formazione per avere tutto il supporto
manageriale e tecnologico possibile.   

D - Lei, quindi, non sa cosa siano i Production Sharing Agreement?

Di Giovanni: so benissimo cosa sono, dico soltanto che in Iraq non abbiamo
nessun P.S.A.

D - Ci vuol spiegare cosa sono?

Di Giovanni: Sono dei contratti che normalmente vengono utilizzati in tutto
il mondo e che regolano l’attività di una multinazionale di qualsiasi Paese
che sfrutta ed estrae il petrolio in un Paese che non è il proprio. Quindi
il P.S.A. che regola la nostra attività in Libia, tanto per fare un
esempio, è un contratto che regola le percentuali di petrolio o di gas che
noi estraiamo da quel posto per ciò che dobbiamo averne noi come ritorno
dell’investimento che abbiamo fatto  per l’estrazione e per la gestione e
la parte che rimane nel  Paese d’origine.

D - Secondo il rapporto presentato da Greg Muttit dell’Ong britannica
“Platform” il meccanismo dei Psa, che avvengono in maniera del tutto
segreta, è tale per cui lo Stato rimane formalmente proprietario dei
giacimenti (e quindi si aggira l’ostacolo della privatizzazione) ma la
ripartizione dei costi e dei profitti va a vantaggio delle compagnie
petrolifere che contabilizzano nei propri bilanci le riserve dei giacimenti
vincolate per un periodo che va dai 25 ai 40 anni.

Di Giovanni: E’ un parere di questo “autorevole” signore che noi
rispettiamo ma la verità è un’altra. Le dico soltanto che se ci fosse
qualcosa di storto in questi contratti, che vengono fatti da decine di
anni, con tutto quello che c’è stato in termini di crescita anche dal punto
di vista sociale, etico e culturale di questi Paesi molto probabilmente
qualcuno avrebbe avuto da ridire. Nella realtà dei fatti questi contratti
si fanno da moltissimi anni e si continuano a fare, il che significa che
molto probabilmente le valutazioni che vengono fatte da persone esterne
sono totalmente rispettabili ma  poi non corrispondono al vero.

D - Lo stesso Muttit sostiene che le multinazionali del petrolio si
garantiscono un ritorno del proprio investimento che può andare dal 42 al
162 per cento…..

Di Giovanni: No, guardi sono cifre fantasiose. Io posso dirle che in linea
di massima i P.S.A. prevedono che una compagnia internazionale sfrutti un
giacimento nell’ordine del proprio ritorno tra il 20% e  il 30%, quindi il
70, 80% rimane al Paese in cui questo giacimento è presente. Questi,
perlomeno, sono gli accordi che facciamo noi di Eni, quelli degli altri,
ovviamente, sono riservati, non li conosciamo e quindi non le saprei dire.

D - Su una pagina del sito dell’Eni dedicata ai principi si parla di etica
degli affari, rispetto dei diritti umani, cooperazione, rispetto degli
stakeholders  ovvero di fornitori, comunità, partner commerciali,
organizzazioni civiche, associazioni di categoria, rappresentanze
sindacali. Come concilia l’Eni questi nobili principi con l’attività nei
Paesi in cui opera?

Di Giovanni: Questi sono principi fondanti della nostra compagnia, sono
principi che il nostro fondatore Mattei ha scritto nel dna dell’azienda e
che sono stati portati avanti successivamente sino a Paolo Scaroni oggi. Su
come lo facciamo ci sono centinaia di esempi che potrei citarle me ne basta
però uno: in un Paese, peraltro molto particolare che è stato ultimamente
all’attenzione della cronaca per un rapimento di quattro nostri lavoratori
ovvero la Nigeria, noi abbiamo ricevuto da parte delle Nazioni Unite un
premio per le attività sociali, industriali eco-compatibili di una nostra
raffineria in Nigeria. Un premio di cui andiamo particolarmente fieri, è un
attestato che fa onore a quella pagina di internet che lei ha letto ma
soprattutto alla storia di una delle aziende che ha messo l’etica al primo
posto in quelle che sono le attività quotidiane.

D - Parlate, però, anche di rispetto dell’ambiente e in Ecuador l’Eni ha
costruito un oleodotto privato, un serpente di circa 513 Km che ha spaccato
in due il Paese, distrutto gran parte delle foreste ancora rimaste e
violato i diritti delle comunità vicine a quel condotto. Le attività nel
Blocco 10 (un’area dell’Amazzonia ecuadoriana) hanno provocato un
fortissimo impatto ambientale con la deforestazione e scarico diretto di
rifiuti tossici...

Di Giovanni: Queste sono le valutazioni che vengono fatte da osservatori
che le riportano spesso e volentieri senza che queste vengano asseverate da
istituzioni internazionali  che poi siano in grado di certificarne la
veridicità. Quello che le dico è che in Ecuador noi abbiamo realizzato
un’opera importante per il Paese che ha contribuito allo sviluppo sociale e
che ha consentito all’Ecuador di poter sfruttare in maniera adeguata una
ricchezza del proprio sottosuolo. Lo abbiamo fatto sempre e comunque
rispettando l’ecosistema, e dove ci sono stati incidenti o situazioni
limite siamo intervenuti a compensare sia dal punto di vista ambientale sia
da quello sociale chi ne era stato danneggiato. E le assicuro che questa è
la nostra prassi normale in ogni luogo e in ogni tempo.

D - Secondo Benito Li Vigni, ex dirigente dell’Eni, che lei forse
conoscerà, non è un caso che il contingente italiano si sia attestato nella
zona di Nassirya dove all’Eni Saddam Hussein, già nel 1996, aveva concesso
lo sfruttamento del petrolio. Insomma c’era un vero e proprio contratto
Eni-Saddam. E da una famosa inchiesta di Rainews24 si apprende l’esistenza
di un dossier del Ministero delle attività produttive del 21 febbraio 2003
– dunque un mese prima che Bush dichiarasse invadesse l’Iraq – in cui era
già stata individuata, da parte dell’Italia, la zona di Nassirya come luogo
d’intervento delle truppe italiane al fine di sfruttare i giacimenti di
petrolio presenti cioè quelli promessi di Saddam all’Eni; in ultimo Claudio
Gatti, corrispondente de Il Sole 24 ore a New York, riferì in un suo
articolo, citando fonti usa della Cia e dell’Autorità di coalizione
provvisoria in Iraq, che l’attacco alla caserma italiana di Nassirya non
era un segnale diretto a colpire i militari italiani ma un avvertimento
teso ad allontanare l’Eni. Insomma Di Giovanni, la domanda è questa: si è
detto che la missione Antica Babilonia sia stata decisa per motivi
umanitari, di peacekeeping. In realtà lo scopo era un altro?

Di Giovanni: Sono fantasie, mi fa piacere che mi abbia fatto questa domanda
perché mi dà la possibilità di dire che si tratta di una fandonia
colossale, perché il pre-accordo che era stato realizzato nel 1998 tra
l’Eni e l’ente petrolifero irakeno riguardava un giacimento nella regione
di Nassirya, che è un posto che dista alcune centinaia di chilometri dal
posto dove i nostri militari si erano attestati per la missione Antica
Babilonia. Tutto questo è contenuto in una risposta da parte del Ministro
della difesa e dal Ministro delle attività produttive ad una serie di
interrogazioni che furono fatte all’epoca di questa falsa dichiarazione da
parte di questo signore, che non conosco, non so chi sia e che molto
probabilmente dice queste cose senza conoscerle. Per ciò che riguarda i
nostri accordi con l’Iraq, questo pre-contratto di cui le parlavo prima,
l’anno successivo o se non sbaglio due anni dopo questo accordo venne
completamente cancellato perché gli irakeni ritennero di voler assegnare
quell’area alla loro compagnia petrolifera senza intervento da parte di
altre aziende internazionali. E’ rimasto in piedi, lo ribadisco, soltanto
un accordo di cooperazione manageriale tra i tecnici della società
petrolifera irakena e l’Eni: questi tecnici sono stati in Italia fino a
qualche tempo fa, stiamo parlando di alcuni mesi fa, a fare questo
aggiornamento professionale. Non sono previsti per il prossimo futuro altre
permanenze da parte di tecnici (irakeni) in Italia. Altro non c’è, il
resto, lo ripeto, sono tutte fantasie.

D - Un’ultima domanda Dott. Di Giovanni: in che modo l’Eni riesce a
conciliare gli accordi che ha con l’Iran e l’Ilsa, una legge statunitense
che si prefigge di sanzionare le imprese che investono in Iran? Glie lo
dico perché ci risulta che l’Eni sia uno dei maggiori partner dell’Iran.

Di Giovanni: L’Eni è un’azienda italiana che sottostà alle normative
italiane e casomai alle normative Comunitarie, quando le normative italiane
e quelle Comunitarie recepiranno eventuali indicazioni che arriveranno da
organismi internazionali come l’ONU, e non certo dal governo americano,
ovviamente ci comporteremo di conseguenza. Fino a quel momento continueremo
a fare il nostro mestiere nei tanti Paesi in cui lo facciamo, apprezzati
dalla popolazione e dai governi locali.

D - Quindi l’Eni o il governo italiano per l’Eni non sono mai stati sanzionati?

Di Giovanni: Non per le vicende di cui lei mi stava parlando prima.

D - Per quali vicende allora?

Di Giovanni: Lei mi stava parlando di una normativa americana che
sanzionava le aziende che lavoravano in Iran?

D - Si.

Di Giovanni: Ecco, quindi, non c’è niente di questo per quanto ci riguarda.
La ringrazio.