Il giro del bilancio in ottanta ore



04-10-2005
Dal sito www.lavoce.info


Il giro del bilancio in ottanta ore

Giuseppe Pisauro
Riccardo Faini

Nella conferenza stampa di presentazione della legge finanziaria 2006, il
presidente del Consiglio ha sottolineato con orgoglio che si tratta di una
manovra "preparata in ottanta ore e approvata in quattro ore". Dobbiamo dire
che si vede.
Due interrogativi
Raramente nel passato è stata presentata una legge finanziaria dai contorni
così incerti. 
Uno dei pochi punti fermi è costituito dall’obiettivo di riduzione del
disavanzo, 11,5 miliardi di euro, in linea con gli impegni assunti in sede
europea che prevedono un calo progressivo del rapporto indebitamento/Pil al
3,8 per cento nel 2006 e al 2,8 per cento nel 2007. 
Un altro dato certo è che la manovra sarà assai più corposa, più di 22
miliardi. La legge finanziaria infatti autorizza anche nuove cospicue spese
che vanno quindi coperte con tagli in altri capitoli di spesa o con aumenti
di entrate.
Queste cifre, assai scarne, sollevano perlomeno due interrogativi. In primo
luogo, le misure previste dalla legge finanziaria porteranno effettivamente
a una riduzione del disavanzo pari a 11,5 miliardi? In secondo luogo, quando
anche questo obiettivo fosse conseguito sarebbe sufficiente a riportare il
disavanzo al 3,8 per cento, come concordato a livello europeo? 
La risposta a entrambi i quesiti è a nostro parere negativa. Cominciamo dal
secondo. Le stime più recenti del Fondo monetario indicano che il disavanzo
tendenziale – prima quindi degli interventi correttivi previsti dalla legge
finanziaria – si attesta al 5,1 per cento del Pil, quasi 6 miliardi in più
di quelli previsti dall’esecutivo. Nel 2006, quindi, quando anche la manovra
avesse pieno successo, il disavanzo si attesterebbe al 4,3 per cento, ben al
di sopra dell’obiettivo del 3,8 per cento, lasciando al prossimo governo
l’onere di scegliere se attuare una manovra assai corposa (ancora 22
miliardi, ma solo di riduzione del disavanzo) o trasgredire gli impegni con
l’Europa. In realtà, il disavanzo tendenziale è probabilmente ancora più
elevato di quello stimato dal Fondo monetario, in quanto non tiene conto
dell’inserimento (occultamento?) nel tendenziale di vendite immobiliari per
una cifra non precisata ma certo non trascurabile e, come vedremo, di
incerta realizzazione. L’eredità lasciata al prossimo esecutivo sarebbe
quindi ancora più pesante. 
Le coperture
Questi calcoli presuppongono che la manovra della legge finanziaria sia
pienamente efficace. Soffermiamoci quindi sul primo dei due quesiti, quello
relativo all’adeguatezza delle coperture finanziarie. In sintesi (ma il
quadro complessivo è ancora incerto, perché non tutti i documenti di
bilancio sono stati resi pubblici) abbiamo un totale di 22,5 miliardi, che
provengono per 12,7 miliardi da minori spese, 4-5 miliardi da maggiori
entrate e la parte restante (5-6 miliardi) da dismissioni immobiliari. 
Anche qui i motivi di preoccupazione non scarseggiano. Tra le minori spese,
6,2 miliardi riguardano i ministeri, di cui la parte più cospicua, circa 2,5
miliardi, dovrà venire da tagli ai trasferimenti alle imprese private e
pubbliche. Su quest’ultima voce sembra proseguire lo sforzo di
razionalizzazione iniziato lo scorso anno, e si tratta di una conferma
positiva (la speranza è che non consista soltanto di "abbellimenti" del
bilancio delle Ferrovie). Ricompare poi un taglio dei consumi intermedi (gli
acquisti di beni e servizi) per 1,5 miliardi, una riduzione superiore al 10
per cento della spesa per questa voce. È la riproposizione di una politica
di bilancio iniziata con il decreto taglia-spese del 2003 e proseguita con
la regola del 2 per cento della Finanziaria 2005. L’insieme di questi
interventi comportava per i ministeri un taglio del 30 per cento di queste
spese nel 2005. Tutte esperienze non particolarmente esaltanti, a giudicare
dai risultati esposti dalla Corte dei conti per il primo semestre 2005:
rispetto all’anno precedente le erogazioni di cassa per i consumi intermedi
dei ministeri sono cresciute del 10 per cento e per gli investimenti del 9,3
per cento. 
Nel mondo dell’economia reale, nessuno penserebbe di poter ridurre
progressivamente le spese di funzionamento di una struttura produttiva
lasciandone immutati la dimensione e i compiti, nel mondo della finanza
pubblica questo è possibile, basta scrivere un articolo della legge
finanziaria. Insomma, è facile concludere che, come è avvenuto in passato,
da questo lato non ci sia da aspettarsi molto. (Un inciso: dai tagli ai
consumi intermedi è esclusa la sicurezza pubblica. Forse sarebbe il caso di
cominciare a ricordare che la voce ordine e sicurezza è l’unica, insieme
alle pensioni, per le quali la spesa italiana è superiore alla media
europea).
I ricavi dalla vendita di immobili (dai 5 ai 6 miliardi, in aggiunta a
quelli già celati nelle pieghe del tendenziale) sono un’altra voce
ricorrente nelle ultime leggi finanziarie di cui poi nel corso dell’anno si
perdono le tracce. La Finanziaria 2005 prevedeva, tra vendite di strade
statali (compensate con il famoso "pedaggio ombra") e di immobili, entrate
per 7 miliardi. A tutt’oggi nulla di ciò si è materializzato nel 2005. Tra
l’altro, l’insuccesso di Scip2 (per la quale in aprile si è dovuto
ristrutturare il debito, visto l’andamento negativo delle vendite) fa sì che
una nuova operazione di cartolarizzazione, il modo per anticipare gli
incassi, sarebbe difficile da collocare sui mercati se non riconoscendo un
elevato premio di rischio agli investitori.
I tagli alla sanità (2,5 miliardi) e agli enti locali (3,1 miliardi) sono
invece certamente realizzabili nell’immediato, in quanto agiscono
direttamente sui trasferimenti dal bilancio dello Stato. 
Qui la questione riguarda la loro congruenza e la loro sostenibilità. A
quanto pare, anche nel 2005 la sanità produrrà un disavanzo sommerso (di
circa 4 miliardi). Il taglio per il 2006 andrebbe, quindi, a incidere sulla
proiezione di una spesa che già nel 2005 si è rivelata insufficiente. Quali
meccanismi impediranno il formarsi di un nuovo disavanzo sommerso nel 2006?
Tutta la manovra sulla finanza regionale e locale è frutto di
improvvisazione. Bisogna certamente intervenire sulla spesa locale, ma è
difficile pensare di poter realizzare obiettivi così ambiziosi comunicandoli
a Regioni ed enti locali solo quarantotto ore prima della presentazione in
Parlamento della Finanziaria. Qui c’è un difetto grave delle nostre
istituzioni: la mancanza di un quadro definito delle relazioni finanziarie
tra livelli di governo e di una sede di coordinamento delle politiche di
bilancio. In assenza di ciò, l’autonomia implicita nel federalismo non è
sostenibile per la finanza pubblica e certo non lo diventa con diktat
dell’ultim’ora. 
Le maggiori entrate provengono per 1.100 milioni dalla svalutazione dei
crediti delle banche, 900 milioni dalla rivalutazione dei beni di impresa,
800 milioni dalla tassa sui tubi, 600 milioni da giochi e scommesse. Sulla
partecipazione degli enti locali all’accertamento delle imposte erariali e
sulle misure di contrasto dell’evasione (nel complesso a quest’ultima voce
si possono attribuire circa 650 milioni) vale quanto scritto da Giannini e
Guerra: misure indefinite e dagli effetti a dir poco incerti.
Le nuove spese
A fronte di un quadro di copertura finanziaria così incerto, che non
garantisce affatto gli 11,5 miliardi di riduzione del disavanzo (come
abbiamo visto, già insufficienti), si decidono nuove spese e minori entrate
per 11 miliardi. Tra queste, c’è la novità degli "oneri inderogabili" (una
new entry per la legge finanziaria) per 4,5 miliardi, che includono misure
che vanno dalla proroga di agevolazioni fiscali ai forestali della Calabria,
dagli autotrasportatori alla vice-dirigenza. C’è da chiedersi a cosa si
riferisca l’inderogabilità. 
La parte restante (6,5 miliardi) è la "parte straordinaria", con misure per
lo sviluppo e l’equità. Non vogliamo giudicare il merito e l’opportunità di
questi interventi, che vanno dalla riduzione del costo del lavoro a sussidi
per le famiglie.
Notiamo soltanto che, allo stato attuale, questa manovra, anziché
migliorare, peggiora il disavanzo, rendendo sempre più pericolosa la
situazione nella quale ci troviamo. Sarebbe allora realistico, specie con
una manovra da ottanta ore, limitarsi alla sola correzione del disavanzo,
rinviando a tempi migliori gli altri interventi (tecnicamente sarebbe
possibile farlo con una sorta di fondo negativo, da attivare solo quando, se
mai, le risorse saranno effettivamente raccolte). 
La retorica della "Finanziaria per lo sviluppo" (che coinvolge ampiamente
anche l’opposizione e le parti sociali) rischia di costare molto cara in
termini di equilibrio dei conti, peraltro con effetti molto dubbi sulla
crescita economica che non si sostiene aumentando l’incertezza sul futuro.
Maggiori vantaggi per l’economia verrebbero se ci si limitasse a ridurre il
disavanzo e si riuscisse a farlo. Sarebbe un atto di responsabilità da parte
dei beneficiari (effettivi o potenziali) di questi interventi non vestire,
per una volta, i panni di Esaù.