rassegna stampa: TEMPO MEDICO - "SCAPPATELLE OGM: IL POLLINE VOLA NELL'ARIA"



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da "Tempo medico" (www.tempomedico.it) - 28/12/2004
TEMPO MEDICO: "SCAPPATELLE OGM: IL POLLINE VOLA NELL'ARIA"
Altro materiale d'archivio sul caso di Ignacio Chapela
Lo studio è di quelli destinati a sollevare polveroni, e quindi a essere
sottoposti a mille altre verifiche. Ma intanto Ignacio Chapela e David
Quist, microbiologi dell'ambiente a Berkeley (Università della California),
hanno lanciato nello stagno un sasso molto pesante.
I due ricercatori hanno rinvenuto frammenti di DNA transgenico nel genoma
del criollo, una coltivazione antichissima di mais, prendendo così atto che
i pollini transgenici possono sorvolare tranquillamente qualsiasi territorio
cuscinetto che abbia la funzione di isolare un campo ingegnerizzato.
Dal rapporto pubblicato su Nature sembra lecito dedurre che il lavoro non
abbia richiesto troppo tempo né risorse ingenti.
E' bastato l'impegno necessario a prelevare e analizzare alcuni campioni di
mais criollo verace delle alture della Sierra Norte di Oaxaca, nel Messico
meridionale e, secondo la legge di Murphy più classica, si è materializzata
la peggiore delle alternative possibili: nelle isolate alture messicane era
finito mais transgenico.
Inutile sottolineare che la scoperta, oltre ad assumere un notevole
significato scientifico, riattizza vecchie polemiche. Prima di tutto la
questione biogeografica.
Il Messico ricade in una delle poche regioni del pianeta ancora ricche di
hot spot, aree che custodiscono ampie sacche di diversità biologica di
valore primario.
Se all'inquinamento chimico e alla frammentazione degli habitat, noti
fattori di riduzione della biodiversità, vanno ora ad aggiungersi anche le
piante transgeniche, è assai difficile prevedere quale potrà essere
l'impatto a lungo termine sull'ecologia di quelle regioni.
In secondo luogo, va considerata l'ancor più spinosa erosione delle
coltivazioni locali.
Il Centramerica è una delle principali roccaforti genetiche del mondo, e in
modo particolare lo è riguardo alle angiosperme di interesse agricolo.
Qui si trovano le zone di origine di moltissime piante coltivate che hanno
segnato in modo indelebile la storia universale dell'agricoltura.
Soltanto fra Messico e Perù ci sono i territori che hanno cullato le prime
forme domestiche di specie come il mais, il fagiolo, la patata, la patata
dolce, il fico d'India e il pomodoro.
Inquinare i genomi di queste linee vegetali, che racchiudono ancora i
segreti dell'adattamento a malattie parassitarie e ad altre avversità
ambientali, significa stringere oltre misura il nodo della sicurezza
alimentare globale.
Infatti, a parere di molti esperti, la possibilità di far fronte
all'escalation della richiesta di cibo, dovuta a una demografia mondiale che
ha già bruciato anche la tappa dei sei miliardi, è molto difficile che
risieda tutta nella biotecnologia, o comunque in una biotecnologia avulsa
dalla storia e dalla geografia dell'agricoltura.
Sembra più ragionevole auspicare il ricorso, da parte degli stessi
biotecnologi, a un patto di mutua alleanza proprio con le colture
tradizionali più forti e consolidate, per ottenere dal loro studio maggiori
informazioni sui meccanismi che assicurano biomassa vegetale utile e altre
qualità irrinunciabili, non ultimi i requisiti di sostenibilità.
Alla luce di questo quadro composito, la scoperta di Chapela e Quist segnala
in modo circostanziato una situazione di emergenza. Grazie all'impiego della
PCR, i due microbiologi sono andati a caccia di sequenze nucleotidiche
tipiche del processo di transgenesi, spulciando nel DNA dei semi di criollo.
Sono stati confrontati i dati estratti da sette campioni sperimentali
raccolti in siti differenti del cereale nativo, con quelli forniti da alcuni
campioni di controllo, fra cui un mais doc delle Ande peruviane e una
collezione di sementi messicane risalenti al 1971 (quando ancora le colture
transgeniche non esistevano).
Nessun campione fra quelli appartenenti ai due gruppi di controllo
(peruviano e 1971) ha fatto rilevare tracce di DNA esogeno.
Ma non altrettanto rassicurante è stato il risultato emerso dal mais
raccolto in situ, sospettato appunto di essersi incrociato con varietà
forestiere di chissà dove.
Nei campioni che hanno denunciato tracce inconfondibili di contaminazione
genetica c'erano sequenze nucleotidiche tipiche di vettori virali e
batterici, gli stessi impiegati nella routine di laboratorio per il
trasferimento di geni in cellule vegetali.
Inoltre hanno tradito l'intrusione di DNA che presiede alla produzione
dell'insetticida naturale Bt (Bacillus thuringiensis).
La ricerca ha poi portato a galla un altro elemento di primo piano.
La contaminazione genetica osservata sembra dipendere non da uno ma da
ripetuti eventi di impollinazione, dal momento che nel genoma del mais
criollo le posizioni delle sequenze clandestine sono risultate via via
diverse. In altre parole, l'ingresso di DNA transgenico nelle colture
naturali non sarebbe frutto di circostanze fortuite, ma di fenomeni
ricorrenti. I promotori dell'agricoltura biotecnologica si sono affrettati a
precisare che i pollini di mais sono insolitamente pesanti, quindi inetti a
farsi trasportare dal vento per lunghe distanze.
Ma la telegrafica replica degli autori ha subito sgomberato il campo da ogni
polemica aprioristica: "Da quel che si sa, la coltivazione di mais
transgenico più vicina al misfatto genetico distava circa 100 chilometri;
qualsiasi sia stato il mezzo di trasporto dei pollini, è evidente che i
transgeni possono viaggiare dalle coltivazioni biotech a quelle indigene, la
cui biodiversità va invece tutelata con ogni sforzo".
Dulcis in fundo, dal 1998 in Messico vigeva una moratoria sul rilascio di
mais ingegnerizzato.
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