rassegna stampa: BRASILE, LULA DA' LA TERRA A 130.000 FAMIGLIE



a cura di AltrAgricoltura Nord Est
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tratto da"La Stampa", 05 luglio 2004
BRASILE, LULA DA' LA TERRA A 130.000 FAMIGLIE
La situazione dei Sem Terra, i «senza terra» che chiedono assegnazioni di
terreni da coltivare, e il punto sulla tanto sospirata riforma agraria
TERRA Madre porterà a Torino lavoratori del cibo da tutti i continenti per
consentire a molti di questi personaggi, gli «intellettuali della terra»,
di «vedere altre terre». La fame sarà tra i grandi temi del meeting. Poiché
a Terra Madre converranno 200 persone dal Brasile, nazione in cui l'attuale
governo del presidente Lula ha lanciato l'ambizioso programma Fame Zero,
abbiamo incontrato il consigliere personale del Presidente Lula, Frei
Betto, tra i capofila del progetto. «Il Brasile e l'unico Stato
dell'America Latina che non ha mai fatto una riforma agraria. È una cosa
incredibile se si pensa che il Paese ha una dimensione continentale e che
su tutta la sua superficie ci sono 821 milioni di ettari di terre
coltivabili. Il problema principale, che impedisce infine la realizzazione
della riforma, è quello della proprietà: basti dire che l'1% dei
proprietari terrieri possiede il 44% delle terre totali.Si tratta di poco
più di 30.000 persone a capo di aziende con un'estensione sopra i 10.000
ettari, contro circa 300.000 proprietari tra i 10.000 e i 200 ettari e
qualcosa come 3 milioni di persone - quelli che chiamiamo addetti
all'agricoltura familiare - con meno di 200 ettari a disposizione. Per
rendere meglio conto della situazione aggiungo che nell'agricoltura
familiare lavora l'86,6% degli occupati nel settore rurale, nella media
proprietà il 10,9% e nel latifondo soltanto il 2,5%». Dunque la maggior
parte delle terre resta incolta e non sfruttata secondo le sue
potenzialità. È una distorsione pazzesca, tanto più se si pensa a un paese
alle prese con milioni di persone affamate. «Effettivamente è così, ci sono
addirittura aziende grandi come l'intero stato del Lussemburgo. I
latifondisti non possono renderle pienamente produttive, ma non hanno
nessun interesse a vendere e nemmeno vogliono la riforma agraria: la terra
è un investimento solido; la trattengono come valorizzazione del proprio
capitale. La cosa pazzesca è che i grandi proprietari in questo modo sono
gli unici ad avere accesso al credito e alle risorse, maneggiando tutto
l'agribusinness che esporta i loro prodotti. Essendo esportatori, per di
più, sono esenti da tasse in ogni fase del loro lavoro, dalla produzione
alla trasformazione. Nessuno in Brasile, tranne loro, beneficia di quelle
terre» I grandi producono per esportare e fare soldi mentre la gente ha
poco da mangiare: a chi tocca produrre il cibo che si consuma in Brasile?
«È in gran parte quell'86% di piccoli produttori che vive di sussistenza.
Il 40% del valore lordo della produzione agricola nazionale viene
dall'agricoltura familiare e rappresenta il 60% dei prodotti che finiscono
a tavola in Brasile. L'agricoltura familiare produce oggi il 70% dei
fagioli, il 58% di carne di maiale, il 54% delle vacche, il 49% di mais, il
40% di uova. Sono loro la reale speranza per risollevarsi: è incentivando
la piccola produzione familiare che si può abbattere il problema della fame
ed è naturalmente su di loro che deve puntare la riforma». Nonché su quei
quattro milioni e mezzo di persone che aspettano l'assegnazione di un po'
di terra per diventare anche loro piccoli produttori. Però non mi sembra
facile il rapporto con i Sem Terra, se non sbaglio il piano nazionale di
riforma agraria aveva previsto in 4 anni di dare la terra a un milione di
famiglie: ora vi siete resi conto che non riuscirete ad accontentare tutti
e si riscontrano problemi, le contestazioni. «Bisogna comprendere che il
governo Lula non si trova di fronte alle condizioni per fare una riforma
agraria completa. Ricordiamoci che non abbiamo fatto una rivoluzione,
abbiamo vinto delle elezioni democratiche e quindi dobbiamo confrontarci
con i conservatori che difendono gli interessi dei latifondisti e con il
potere giudiziario, ancora più conservatore. In linea di principio i
rapporti tra governo e Sem Terra (MST) sono molto buoni, il governo li
rispetta e cerca un dialogo, mentre le parti «capitaliste» del paese fanno
pressioni per criminalizzarli. In realtà con l'MST ci sono molti punti di
contatto, abbiamo nemici in comune e siamo tutti interessati alla riforma
agraria. Purtroppo la previsione degli specialisti della commissione del
piano di riforma non era realistica, il governo non ha fondi sufficienti.
Il presidente Lula si è comunque impegnato per 400.000 famiglie e ad oggi
130.000 di queste hanno ottenuto la terra. Ma all'MST la metà del progetto
originario non basta e non capiscono le difficoltà del governo: dalle
pressioni incredibili a un bilancio in crisi. Il cammino è molto complesso,
ogni decisione deve passare in parlamento, dove c'è una forte lobby dei
latifondisti e se si va in giudizio per l'assegnazione di un terreno, viste
le tendenze politiche dei giudici, le sentenze in generale non sono mai
favorevoli ai Sem Terra». Il problema dei senza terra ha del paradossale,
perché la terra c'è ma non si può coltivare. Mi accennava che al governo
mancano risorse finanziarie: ma l'unica via è quella di acquisire le terre
dai privati che non le vogliono cedere, oppure ci sono dei margini per
intervenire? Suppongo ci siano delle terre statali utili allo scopo. «Degli
821 milioni di ettari coltivabili brasiliani almeno 200 milioni sarebbero
disponibili per la riforma: sono terre che appartengono al governo,
chiamate "devolute". La legalizzazione, cioè la mappatura delle proprietà
in Brasile, è avvenuta nel 1855. L'imperatore affidò alla Chiesa il compito
di «notaia»: tutti quelli che possedevano della terra dovevano denunciarla
alla chiesa più vicina, disegnando i confini della propria azienda. Dopo
quest'operazione si arrivò alla conclusione che tra le frontiere delle
proprietà private c'era la terra pubblica, quella "devoluta". A quel punto
però sorse un problema, perché iniziò la pratica dei "grilleiros": molti
grandi proprietari cercarono di falsificare le scritture legali utilizzando
una tecnica curiosa. I registri falsi venivano messi in cassetti pieni di
grilli di una specie particolare, i quali producono una resina che ha
l'effetto di antichizzare i documenti. Il fenomeno è stato vastissimo e ora
il governo cerca di recuperare queste terre, smascherando i "grilleiros"».
Se c'è la terra, qual è la difficoltà allora? «Ci sono dei problemi di
qualità, non basta mettere la gente nella terra. Bisogna creare le
infrastrutture: strade, supporti per la commercializzazione, assistenza
tecnica. Dobbiamo realizzare quella che si chiama "inversione sociale",
cioè un cambiamento più profondo. Tra l'altro, i soldi che Lula ha
stanziato per queste riforme sono tenuti bloccati per finanziare il
pagamento del debito estero. Necessitiamo quindi anche di un accordo con il
Fondo Monetario Internazionale, sul quale stiamo lavorando alacremente. Il
problema è davvero complesso». Alla complessità, che richiede tempo e
pazienza, si aggiunge il fatto che ci sono delle urgenze improrogabili. La
fame purtroppo è una realtà consistente in Brasile; il quadro della
situazione mi sembra terribile. «Il valore alimentare dei prodotti che
esporta il Brasile nutrirebbe 35.000.000 di persone. E ci troviamo con
50.000.000 di persone alle prese con mancanza di cibo o malnutrizione. Oggi
in Sud America muoiono 400.000 bambini per denutrizione e di questi 150.000
sono brasiliani. Lula è molto sensibile al problema e per questo ha dato la
priorità a Fame zero. Egli stesso viene da una famiglia molto povera.
Quattro suoi fratelli sono morti di fame, denutrizione, problemi creati
dall'acqua contaminata». Fame Zero è un progetto ambizioso, che affronta il
problema della denutrizione con un approccio inedito e lungimirante. «Alla
base di Fame Zero c'è la convinzione che un problema sociale ha soluzione
soltanto nella misura in cui diventa una questione politica. Il progetto
funziona e trova senso in quattro pilastri fondamentali. Il primo è questa
politica dei trasferimenti: 73 Reales al mese (circa 20 euro) per
acquistare prodotti alimentari. L'obiettivo immediato sono le 11.400.000
famiglie sotto la soglia di povertà. Ora siamo a 4 milioni di famiglie che
ricevono regolarmente il sussidio e arriveremo a 6 milioni entro dicembre.
Contiamo di provvedere a tutti per il 2006 e devo dire che su questo punto
stiamo andando bene, sono ottimista. I problemi stanno negli altri pilastri
su cui si fonda Fame Zero. Il secondo è la politica che riguarda le
strutture sociali: Fame Zero non è stato pensato per essere un programma
assistenzialista, ma di "inversione sociale". Abbiamo già parlato della
riforma agraria, ma c'è anche la questione del microcredito, l'assistenza
ai cittadini, l'obbligo d'istruzione per ridurre l'analfabetismo, la
sanità. C'è difficoltà nel creare sinergie tra la politica dei
trasferimenti e quella relativa alle infrastrutture, sociali e non. Il
terzo pilastro è dato dalle azioni di emergenza per i gruppi che non hanno
nulla per produrre cibo, come le comunità di ex schiavi e i gruppi
indigeni. La questione indigena è delicatissima. Il quarto è il lavoro di
educazione a tutti i livelli: è necessario cambiare un po' la mentalità
delle persone e avvicinarle al cooperativismo, al microcredito, a cercare
una pianificazione familiare responsabile senza dover imporre un controllo
delle nascite. Fame zero è una forma d'organizzazione popolare, che
dipende, secondo il mio punto di vista, dalla politca strutturale: bisogna
creare le condizioni perché inizi un reale sviluppo». Trovo molto
interessante, addirittura rivoluzionario, che Fame Zero abbia scelto
l'agricoltura familiare come risorsa produttiva per gli alimenti che i
beneficiari della retta mensile possono comprare con i 73 Reales. Sarà la
prima volta nella storia che non ci sono appalti offerti alle
multinazionali per un progetto di così vasta portata. «Bisogna socializzare
le risorse interne per combattere la fame. Il 20 settembre Lula presenterà
all'Onu il progetto Fame Zero su scala mondiale. Si fanno campagne contro
la guerra e il terrorismo, ma la fame fa più vittime e nessuno si
scandalizza. Secondo me è perché la fame, a differenza di guerre e
terrorismo, fa distinzioni di classe. Secondo la Fao il mondo produce cibo
sufficiente per 11 miliardi di persone e sulla terra siamo la metà. Il
problema dunque è di giustizia. Quando Lula parlò per la prima volta
dell'idea di un Fame Zero mondiale, molti presidenti europei si
dichiararono entusiasti e la loro prima proposta fu di inviare alimenti ai
paesi in difficoltà. Lula rispose: "Non chiedo cibo, ma denaro!" Il cibo
regalato è per prima cosa una maniera intelligente per giustificare i
sussidi agricoli nei paesi ricchi. Secondariamente distrugge la cultura
locale; poi crea dipendenza e infine favorisce la corruzione dei politici
che gestiscono questi aiuti umanitari. Noi invece stiamo parlando di
sostenibilità, di riattivazione delle culture locali, di ricostruzione
delle identità e dei piccoli sistemi produttivi tradizionali». Il Brasile è
stato ultimamente al centro delle polemiche per una legge sulle
biotecnologie molto contestata, soprattutto all'estero, ma forse neanche
ben compresa.
«Il transgenico in Brasile è sempre stato vietato per legge, ma arrivava di
contrabbando dall'Argentina. Perfino i Sem Terra, che sono completamente
contrari agli ogm, hanno seminato soia transgenica inconsapevolmente.
Proprio questa soia "illegale" ha scatenato il problema, perché Brasile è
tra i primi tre produttori mondiali di soia. Tra l'altro qui nasce un'altra
contraddizione, perché questa soia transgenica è quasi totalmente
esportata, il Brasile ne consuma pochissima: è tutta destinata
all'alimentazione animale all'estero. Quando ci rendemmo conto di quanto
transgenico c'era nel paese si aprì una dura discussione all'interno del
governo. Si propose dunque una "legge di biosicurezza", che però
rappresentava una posizione di mezzo tra le parti. Oggi la legge stabilisce
che non si può coltivare niente di transgenico senza autorizzazione del
governo e in virtù di una fiscalizzazione permanente. Non si può immettere
sul mercato se non c'è autorizzazione governativa ed evidenza
sull'etichetta dei prodotti. Alcuni stati si sono addirittura dichiarati
ogm free, come il Paranà, ma tutti dobbiamo fare i conti con quello che è
già stato seminato. È vero che si tratta di una soluzione salomonica, ma
almeno consente un controllo del governo».
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