Yom Ha-Zikaron




Oggi, fino a sera, quando inizieranno le celebrazioni dell’Indipendenza di Israele, tutto il Paese è concentrato nel ricordo dei suoi caduti: Israele, dal suo inizio ne ha avuti 22305. Durante l’ultimo anno 233, di cui 119 durante la seconda Guarra del Libano che è durata 33 giorni e ha colpito anche il Fronte interno. 66 civili sono stati uccisi in azioni ostili, 57 dei quali durante la guerra, quando migliaia di missili sono stati sparati dagli Hezbollah sulle città israeliane. Tornando ieri dal confine del nord, mentre viaggio sull’autostrada, mi fermo al suono della sirena che annuncia la giornata del Ricordo dei Caduti con le altre auto. Scendiamo, restiamo in piedi silenziosi. Alla fermata dell’autobus, pochi metri da me, un soldato di leva, un alto Golani di diciannove-vent’anni, guarda speranzoso senza osare chiedere un passaggio. Gliel’offro. Che fortuna, dice, vado proprio a Gerusalemme. Si chiama Hagai, parla con un vocione profondo e un pò stonato, no, non è di Gerusalemme, sta al kibbutz Gadot, al nord; e serve sul confine, sorveglia i villaggi libanesi che ho visto oggi in fondo a quei grandi prati verdi e gialli, da dove, sulle alture, gli Hezbollah sparavano katiushe sulle case di Kiriat Shmona e delle altre città e kibbutzim, e missili Nun-Tet che distruggevano i carri armati e le auto corazzate in cui sono morti i soldati. E ora, si nascondono, ma ci sono: “Al kibbutz sono quieti, più o meno tutti i miei compagni condividono la stessa opinione. Non c’è panico, ma si sa: la nuova guerra è dietro l’angolo, gli Hezbollah sono già pronti con le armi, aspettano gli ordini dall’Iran, aspettano gli sviluppi con la Siria. Intanto sono nelle case che noi sorvegliamo, ci guardano con i binocoli, mandano i pastori sulle alture a spiare, sono mescolati alla gente al confine, nascondono le armi nelle retrovie”. Hagai va a Gerusalemme a trovare la sua ragazza? No, va dalla famiglia di un infermiere da campo che è caduto durante la guerra, uno del suo corso. Un ventenne anche lui. Tutto il corso stanotte sarà con la famiglia di Elad, così si chiamava il suo amico. Una cinquantina di ragazzi, tutti gli amici di Elad, saranno insieme. Hanno appuntamento alle nove alla stazione centrale e poi si stiperanno nell’appartamento dell’amico caduto finchè i genitori di Elad li vorranno vicini. Dove dormirà Hagai? Quando tornerà, stanotte, domani, a casa per vedere la sua mamma e i suoi amici nel resto delle sue dodici ore di libera uscita. E chi lo sa! dice col suo vocione, vedremo. Sparisce nella notte, un bambino glabro e un pò curvo col fucile a tracolla, carico dello strano destino di un dolore attanagliante a vent’anni, di un compito fatale da ragazzino. Nelle ore di Yom Ha-Zikaron, il Giorno del Ricordo, esso si stende su Israele tanto da bruciare, da rodere, da forare. Uno a uno i caduti vengono ricordati alla radio, in tv, sui giornali, vedi a centinania visi di ragazzi a colori, desideri conoscerli uno a uno quando ormai non esistono se non nella memoria. Le loro vite vengono passate in rivista, celebrandone in molti casi l’estremo coraggio, il dono di sè per salvare i compagni, come nel caso del sergente Roy Klein che si è gettato durante la guerra in Libano su una granata pregando “Shemà Israel”, per fermarla prima che raggiungesse i suoi soldati. Ma, soprattutto, si ricordano le loro canzoni preferite, le loro storie d’amore, i loro successi sportivi. Le mamme parlano dei loro scherzi, i padri dei loro studi. Uno a uno, Bhaia Rein, Assaf Ras, Ami Meshulami, Emanuel Moreno, vengono celebrati nella loro vita e non nella morte. Per come erano belli e allegri e bravi nel lavoro o negli studi, o per come cantavano o per quanti libri leggevano o come nuotavano, oppure per quanto erano innamorati. E suona stupefatta la voce della madre di Bhaia che dice “L’ultima volta quando mi ha salutato e gli ho detto 'Stai attento', mi ha risposto: mi avete insegnato che bisogna dare tutto. Ma devi sapere che tutto alle volte significa proprio tutto”.