La sindrome iraniana



L'invasione americana dell'Iraq ha costretto l'Iran a dotarsi di un deterrente nucleare
 
di Noam Chomsky*

Guardian, 9 marzo 2007

In Medio Oriente solo due paesi non si sono piegati alle pretese di
Washington: Iran e Siria. E quindi sono diventati due nemici. Fra i
due, il più importante è l'Iran. E come accadeva durante la guerra
fredda, gli Stati Uniti giustificano il ricorso alla forza come
reazione all'influenza nefasta del nemico principale, spesso con
pretesti inconsistenti. Non sorprende, dunque, che proprio quando
Bush
decide l'invio di altre truppe nel pantano iracheno, comincino a
circolare notizie su presunte ingerenze iraniane in Iraq, come se a
Baghdad non ci fosse nessun'altra interferenza straniera. Il
presupposto implicito in questo modo di vedere le cose è che
l'America
domina il mondo. Nella mentalità da guerra fredda che oggi regna a
Washington, Tehran viene dipinta come il vertice della cosiddetta
mezzaluna sciita, che si estende dall'Iran fino al Libano degli
Hizbollah, passando per il sud iracheno sciita e la Siria.

Per gli Stati Uniti il problema principale del Medio Oriente è il
controllo delle enormi risorse energetiche della regione, che è
considerato uno strumento di dominio globale. Il controllo
statunitense è messo in discussione dall'influenza dell'Iran nella
mezzaluna sciita. Per un caso della geografia, i giacimenti
petroliferi più abbondanti del mondo si trovano nelle zone del Medio
Oriente a maggioranza sciita: il sud dell'Iraq e alcune regioni
adiacenti dell'Arabia Saudita e dell'Iran. Il peggior incubo di
Washington sarebbe un'alleanza fra tutti gli sciiti, in grado di
controllare la maggior parte del petrolio del mondo e indipendente
dagli Stati Uniti. Una simile alleanza potrebbe perfino entrare nella
"griglia di sicurezza energetica asiatica" guidata dalla Cina, e
l'Iran potrebbe diventarne il fulcro. Quindi se Bush e i suoi
provocassero una reazione di questo tipo, comprometterebbero il
potere
degli Stati Uniti nel mondo.

La colpa principale dell'Iran è stato il suo atteggiamento di sfida,
che risale alla rivoluzione contro lo scià del 1979 e alla crisi
degli
ostaggi all'ambasciata americana di Tehran. Dalla storia viene invece
cancellato il ruolo nefasto svolto dagli Stati Uniti in Iran, quando,
per punire Tehran della sua ribellione, hanno sostenuto l'aggressione
di Saddam Hussein, che ha causato centinaia di migliaia di morti e
ridotto l'Iran in macerie. Poi ci sono state le criminali sanzioni
economiche e, infine, con l'amministrazione di George W. Bush, il
rifiuto di rispondere agli sforzi diplomatici fatti da Tehran. La
Casa
Bianca ha preferito le minacce.

Ma nonostante questo rumore di sciabole, è improbabile che Washington
attacchi la Repubblica islamica. La stragrande maggioranza
dell'opinione pubblica, sia negli Stati Uniti sia nel resto del
mondo,
è contraria a un conflitto, e sembra che anche i vertici militari e
dell'intelligence americani si oppongano alla guerra. L'Iran non
sarebbe in grado di difendersi da un attacco militare, però potrebbe
reagire in altri modi: per esempio alimentando la violenza in Iraq.
Ma
c'è chi lancia avvertimenti molto più gravi: per esempio Corelli
Barnett, un noto storico militare britannico, ha scritto che "un
attacco all'Iran scatenerebbe sicuramente la terza guerra mondiale".

L'amministrazione Bush - dopo aver provocato una catastrofe in Iraq,
da cui non sa come uscire - potrebbe cercare allora di destabilizzare
l'Iran dall'interno. Il paese ha una composizione etnica complessa:
buona parte della sua popolazione non è persiana. Inoltre ci sono
delle tendenze secessioniste che Washington, con ogni probabilità,
sta
cercando di alimentare. L'invasione americana dell'Iraq ha
praticamente costretto l'Iran a procurarsi un deterrente nucleare.
Per
Tehran il messaggio era chiaro: gli Stati Uniti attaccano come
vogliono gli stati che non possono difendersi. E l'Iran oggi è
accerchiato da forze militari americane (in Afghanistan, in Iraq, in
Turchia e nel Golfo persico), e per giunta è vicino al Pakistan, che
ha la bomba atomica, e a Israele, che è diventato una superpotenza
regionale grazie all'appoggio di Washington.

Nel 2003 l'Iran ha proposto di trattare su tutti i problemi aperti,
comprese le armi nucleari e la questione palestinese, ma per tutta
risposta Washington ha duramente criticato il diplomatico svizzero
che
era stato tramite dell'offerta. L'anno seguente l'Unione europea e
l'Iran hanno raggiunto un accordo in base a cui Tehran avrebbe smesso
di arricchire uranio, mentre l'Ue le avrebbe fornito "solide garanzie
sulle questioni di sicurezza", una formula che si riferiva alle
minacce americane e israeliane di bombardare l'Iran.

Tuttavia - a quanto pare a causa delle pressioni statunitensi -
l'Unione Europea non ha mantenuto gli accordi, e l'Iran ha
ricominciato ad arricchire uranio. Se Washington vuole davvero
impedire che gli iraniani abbiano l'atomica ed evitare un'escalation
nella regione, dovrebbe approvare gli accordi stipulati dall'Unione
Europea, accettare di trattare davvero con Tehran e cercare, insieme
ad altri Paesi, di integrare la repubblica islamica nell'economia
internazionale.

* Noam Chomsky insegna linguistica all'Mit di Boston. I suoi ultimi
libri usciti in Italia sono: America: il nuovo tiranno (Rizzoli 2006)
e Capire il potere (Net 2007)

Traduzione italiana pubblicata su Internazionale, 23 marzo 2007