I neocon (finalmente) sotto accusa a Washington



Maurizio Blondet
09/02/2007
 
Il presidente della Commissione Forze Armate del Senato Carl Levin
STATI UNITI - Dopo l’11 settembre, l’Office of Special Plans del Pentagono ha deliberatamente «fabbricato» l’intelligence che collegava Osama bin Laden con Saddam Hussein; queste false informazioni hanno trascinato l’America nella guerra in Irak.
Questa accusa si legge in un rapporto che è il risultato di un inchiesta dell’Ispettorato Generale del Ministero della Difesa Usa.
Il rapporto è stato consegnato alla Commissione Forze Armate del Senato.
Il presidente della Commissione, senatore Carl Levin, lo ha definito «una condanna devastante delle attività dell’Office». (1)
Il senatore Jay Rockefeller, che presiede la Commissione per l’Intelligence, ha aggiunto: «Tali attività, fossero o no autorizzate, non appaiono legali».
Ha rincarato Levin: «La presunta complicità tra Bin Laden e Saddam è stato l’argomento usato per vendere al popolo americano la necessità della guerra…un’attività sbagliata, distorta, indebita, e altamente ripugnante».
Il fatto è che l’Office of Special Plans era la centrale dei neocon ebreo-americani che hanno spinto, voluto e provocato l’invasione per il bene di Israele.
Guidato da Richard Perle (American Enterprise Institute), l’Office era sotto la diretta responsabilità del terzo viceministro israelita del Pentagono sotto Rumsfeld, il sottosegretario per la policy Duglas Feith.
Gli altri due, come noto, erano Paul Wolfowitz e il rabbino  Dov Zakheim.
Il documento accusa esplicitamente Feith.
«L’Ufficio del sottosegretario alla Policy ha sviluppato, prodotto e poi disseminato tra i decisori al più alto livello del governo, notizie d’intelligence alternative sui rapporti tra Irak ed Al-Qaeda che contrastavano con le conclusioni dell’intelligence professionale», si legge nel sommario del documento, il cui testo è per ora riservato.
Ma il senatore Levin ha annunciato che lo declassificherà per portarlo alla conoscenza del pubblico.

E’ una novità rilevante: è la prima volta che per la guerra viene chiamato in causa uno dei tre viceministri ebrei.
Rumsfeld ha perso il posto per il disasto iracheno, Bush è sotto attacco, ma nessuno ha mai criticato ufficialmente il ruolo da protagonisti di Feith, Wolfowitz e Zakheim nella decisione disastrosa della guerra. Ora, a quanto pare, le cose stanno cambiando.
Come mai?
Quasi certamente la «vecchia guardia» del potere americano, che ha cercato di mettere sotto tutela Bush jr. con la Commissione Baker, sta cercando di impedire la nuova guerra che Bush vuole scatenare - stavolta contro l’Iran.
E siccome anche questa nuova guerra è caldeggiata dagli stessi ambienti israeliti e israeliani che hanno «venduto» l’attacco a Saddam, la «vecchia guardia» sta lanciando loro degli «avvertimenti».
Il primo febbraio scorso Zbigniew Brzezinski, ascoltato da una commissione senatoriale, è giunto ad attribuire a Bush il progetto di «qualche provocazione in Irak o un attentato terroristico sul suolo americano di cui incolpare l’Iran», per giustificare l’azione militare contro Teheran. (2)
I grandi giornali, Washington Post e New York Times, hanno censurato questa frase di Brezinski. Ma per gli ambienti del potere, il suo messaggio è chiaro: uno di loro, un membro del Council on Foreign Relations, ex responsabile della sicurezza nazionale sotto Carter, un analista strategico di fama mondiale e profondamente interno agli ambienti militari, politici e finanziari, sta insinuando che Bush è capace di ordinare un falso attentato sul suolo americano.
Nel messaggio c’è una minaccia implicita: Brzezinski potrebbe riaprire il dossier di quell’altro, tragico attentato sul suolo americano dell’11 settembre, di cui i neocon debbono sapere qualcosa.
Ora, il rapporto dell’Ispettorato Generale del Pentagono va esattamente nella stessa direzione: se non è un avvertimento, è l’inizio di un’offensiva. Tanto più che il senatore Levin (ebreo) non fa’ nulla per insabbiarlo, anzi vuole renderlo pubblico.


Zbigniew Brzezinski

Ad aggravare la posizione di Feith, e forse di Wolfowitz e Zakheim, va considerata un’altra circostanza: dell’Office of Special Plans oggi sotto accusa faceva parte Larry Franklin, il funzionario del Pentagono che si è già dichiarato colpevole di spionaggio a favore di Israele, avendo passato documenti riservati sull’Iran a due dirigenti dell’AIPAC (la lobby ebraica).
Franklin è anche l’uomo che operò in Italia a fianco di Michael Leeden per fabbricare la falsa intelligence sull’uranio del Niger.
Un altro membro dell’Office of Special Plans era Ahmad Chalabi, il bancarottiere iracheno che Wolfowitz ha cercato di mettere a capo del governo-fantoccio da creare nell’Irak «liberato»: molto probabilmente, una delle prime fonti delle false informazioni.
Douglas Feith è il socio di uno studio legale, Feith & Zell, con sede a Tel Aviv e che si occupa di vendite di armamenti tra Usa e Israele.
Piazzato alla carica di vice-ministro del Pentagono da Rumsfeld, Cheney e Wolfowitz, si è dimesso nel gennaio del 2005: una settimana dopo che Seymour Hersh, il grande giornalista del New Yorker (ebreo anche lui) lo aveva accusato di lavorare con militari israeliani alla selezione dei bersagli potenziali per un attacco preventivo all’Iran.
Ma già erano stati sollevati dubbi sulla lealtà di Feith: secondo il Washington Post del 4 settembre 2004 il viceministro fu interrogato in relazione al caso Franklin: il traditore Larry Franklin, al Pentagono, lavorava alle sue dirette dipendenze. Ma in realtà, tutti e tre i vice-ministri ebraici sotto Rumsfeld hanno avuto difficoltà ad ottenere la «clearance» per l’accesso ai documenti più segreti. Paul Wolfowitz perché, nel 1978, fu sospettato di aver passato un documento segreto, riguardante vendite d’armi americane ad Israele, alla stessa lobby ebraica. L’inchiesta fu poi insabbiata.
Anche Richard Perle, intimo di Wolfowitz, fu intercettato dall’FBI mentre discuteva informazioni riservate con l’ambasciata israeliana. E nel 2003 dovette dimettersi dalll’incarico di consulente speciale del Pentagono per aver accettato mazzette da una ditta di armamenti che voleva ottenere, grazie a lui, la «clearance» come fornitrice delle forze armate americane.
Quanto a Dov Zakheim, rabbino con doppio passaporto, s’è dimesso silenziosamente nel 2005 ed è tornato a dirigere la sua azienda di avionica militare, la System Planning Corporation, che vanta fra l’altro un sistema capace di «teleguidare da terra fino ad otto aerei contemporaneamente»: un apparato che avrebbe potuto essere utilissimo per mettere a segno l’attentato islamico dell’11 settembre 2001.


Il rabbino Dov Zakheim

Queste spie o sospette spie ebraiche hanno potuto operare per il bene supremo di Israele nelle più alte poltrone del Pentagono, perché protette da Rumsfeld e da Cheney.
Ma ora Rumsfeld non c’è più e Cheney è in difficoltà dopo il voto di medio termine, che ha dato ai democratici la maggioranza in Congresso.
Altre segnale inquietante per i neocon, ormai la discussione sulla «doppia lealtà» degli ebreo-americani è diventata argomento trattato nei giornali ufficiosi.
Su New Republic, il columnist John Judy (ebreo) ha attaccato «quelli che vogliono negare che gli ebrei americani e le organizzazioni ebraiche americane come l’AIPAC cadono nella ?doppia lealtà’ quando influenzano la politica estera Usa. E’ anti-semitismo, dicono…e nello stesso tempo, chiedono agli intellettuali ebrei americani una certa lealtà verso Israele, alle politiche israeliane e al sionismo come parte del loro essere ebrei. Così, essi fanno della doppia lealtà un fatto inevitabile dell’essere ebrei…molti ebrei oggi soffrono di doppia lealtà». (3)
Parole che non sarebbero state stampabili solo qualche settimana fa.
Anche questo un segnale, forse, degli stessi ebrei critici verso l’avventurismo neocon.

Maurizio Blondet


Note
1)
 Lisa Alexandrovna, «Senator calls report ’devastating condemnation’ of the Office of Special Plans», Raw Story, 8 febbraio 2007.
2) Steve Clemons, «Zbigniew Brezinski calls the Iraq war a historic, strategic and moral calamity», The Washington Note (newsletter), 4 febbraio 2007.
3) John Judy, «Split personality», New Republic, 8 febbraio 2007.  «[Some] want to deny that American Jews and American Jewish organizations like AIPAC suffer from dual loyalty in trying to influence U.S. foreign policy. It’s anti-Semitic or contributes to anti-Semitism, they say, to make that charge. On the other hand, they want to demand of American Jewish intellectuals a certain loyalty to Israel, Israeli policies, and to Zionism as part of their being Jewish. They make dual loyalty an inescapable part of being Jewish in a world in which a Jewish state exists. And that’s probably the case. Many Jews now suffer from dual loyalty».


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