L'isolamento di Bush



Il conflitto libanese si sta rivelando dannoso per il presidente Bush su tre fronti. Il fronte interno, dove a tre mesi dalle elezioni congressuali cresce l'opposizione alla guerra dello Iraq. Il fronte mediorientale, dove la sua politica di esportazione della democrazia, dalla Palestina al Libano, ha contribuito più alla instabilità che alla stabilità della regione. E il fronte europeo, dove la ricucitura con gli alleati iniziata al suo secondo mandato rischia di sfaldarsi. Se il vertice di Roma ha dimostrato qualcosa, è che a causa del loro incondizionato appoggio a Israele, gli Stati uniti si stanno isolando sia dell'Unione europea sia dal mondo arabo, come si sono già isolati all'Onu. Ne testimonia un sondaggio del New York times, in cui il 60 per cento degli americani ritiene che Bush abbia perduto il rispetto dei leader stranieri. E ne testimoniano le tensioni con la Cina e la Russia, che minacciano di non spalleggiare più il presidente nel braccio di ferro sul nucleare dell'Iran. Bush punta sulla totale disfatta di Hezbollah per una schiarita su tutti i tre fronti. Ma il suo rifiuto di premere su Israele e di dialogare con la Siria e l'Iran minaccia di aggravare la crisi e rendere più difficile la collaborazione transatlantica. Il crescente disagio degli americani di fronte a tali prospettive investe anche Condoleezza Rice. La segretaria di stato, fino a poche settimane fa la star dell'amministrazione, è adesso criticata.

Sul New York Times, la columnist Maureen Dowd ha ricordato che Bush le affidò la politica mediorientale già sotto il predecessore Colin Powell, e ha concluso che la sua gestione è stata fallimentare. Si sentono critiche anche tra gli ex del Dipartimento di stato e tra gli alleati. Non è chiaro se la Rice condivida pienamente l'intransigenza di Bush o non sappia ammorbidirne la posizione, ma è chiaro che sta diventando parte del problema, non la sua soluzione. Anche grazie a “Condi”, Israele è così sicuro di potere continuare impunemente le operazioni militari che ha interpretato il vertice di Roma come “un semaforo verde”. E' toccato al nostro premier Romano Prodi smentirlo (Paradossalmente, sta facendo molto di più per la pace la piccola Italia che non la possente America). Anziché una schiarita sui suoi tre fronti, tra qualche settimana Bush potrebbe trovarvi un disastro. In Medio oriente il presidente sembra incapace di distinguere tra terrorismo e istanze nazionali, tra cosa non è negoziabile e cosa lo è. Resta ostaggio dell'Iraq, non si rende conto che per colpa sua ha trascurato gli altri focolai di tensione, coi risultati che tutti vediamo. In teoria, ha chiesto ai suoi collaboratori di elaborare una strategia che separi la Siria dallo Iran. Ma se non parlerà almeno alla prima non ci riuscirà mai. E comunque è solo sciogliendo il nodo iraniano che stabilizzerà il Medio oriente. L'Iran finanzia e arma Hamas, Hezbollah, e vari altri gruppi in tutta la regione, Iraq incluso. Come pensa di impedirglielo o di indurlo a smettere? Invadendolo? Bombardandolo? Con mezzi del genere, provocherebbe soltanto una sollevazione nel cosiddetto arco sciita, un arco fondamentalista che va dall'Afganistan e dal Pakistan fino all'Egitto e all'Algeria.

Fonte : http://italia.pravda.ru/world/2418-0/