Piani strategici americani



Abbiamo riscontrato indizi, testimonianze, comportamenti che ci inducono a pensare che ciò che ci è stato raccontato riguardo 1'11 settembre sia ben lontano dalla verità. Ma non solo. Dopo essere venuti a sapere tutte queste cose, tutti noi non possiamo più escludere l'ipotesi più estrema riguardo quel giorno: è possibile che il governo americano abbia agevolato, o addirittura organizzato gli attentati terroristici dell' Il settembre? E' possibile che il governo americano abbia deliberatamente ucciso 3000 suoi concittadini? E' possibile che siamo stati tutti ripetutamente e sfacciatamente presi in giro? Non lo sappiamo se è possibile. Forse non lo sapremo mai. Probabilmente, però, la domanda più importante è un'altra: perché? Se anche le nostre ipotesi "estreme", "complottiste", si rivelassero. un giorno esatte, ci chiederemo sempre: perché? Esiste un motivo, una ragione per cui sia giusto uccidere tanta gente, per cui sia giusto mentire per tanti anni? Secondo me non esiste. Però mi sono sforzato di cercarla. E qualcosa ho trovato. Non so se è stato proprio questo a spingere il governo americano ad agire in quel modo, e neanche mi interessa: quello che hanno fatto è imperdonabile, e nulla potrà mai giustificarlo.

Comunque, per completezza di informazione, illustrerò quello che ho scoperto. Si tratta di due documenti eccezionali, che trattano del futuro del nostro pianeta e del ruolo che in esso gli Stati Uniti dovranno giocare.

Il primo è uno studio del 1997 del "Council on Foreign Relations" (CFR), redatto da un consulente strategico USA di vecchia data, già consigliere per la Sicurezza Nazionale sotto l'amministrazione Carter, e cioè Zbigniew Brzezinski. Argomento principale di questo studio (intitolato "The Grand Chessboard", la grande scacchiera) è il fatto che l'Asia centrale è uno strumento essenziale per il controllo del pianeta, insieme alle approfondite pianificazioni strategiche per un futuro intervento americano nella regione. La trattazione entra nei minimi dettagli per ciò che riguarda gli interessi statunitensi in Eurasia e la necessità di un coinvolgi mento "prolungato e diretto" degli USA in Asia centrale, allo scopo di tutelare questi interessi. In questo contesto, Brzezinski nota come la chiave per il dominio sull'Eurasia sia nel controllo delle repubbliche dell' Asia centrale, tra cui l'Afghanistan. L'ex consigliere riconosce poi in Russia e Cina le due principali potenze che potrebbero minacciare gli interessi USA nella regione; ed è la Russia la minaccia maggiore. Gli USA devono di conseguenza riuscire a manipolare le potenze "minori" circostanti, come l'Ucraina, l' Azerbaigian, l'Iran e il Kazakhstan, cosi da contrastare le mosse della Russia e della Cina per controllare il petrolio, il gas, e i minerali delle repubbliche dell'Asia centrale, e cioè il Turkmenistan, l'Uzbekistan, il Tadzikistan e il Kyrghizistan. L'autore nota inoltre come una nazione che diventasse predominante nell' Asia centrale rappresenterebbe una minaccia diretta al controllo americano delle risorse petrolifere. Le repubbliche dell' Asia centrale, egli osserva, "sono importanti dal punto di vista della sicurezza e delle ambizioni storiche per almeno tre dei più prossimi e più potenti vicini, e cioè la Russia, la Turchia e l'Iran, mentre anche la Cina mostra un crescente interesse politico per la regione".

Ma i 'Balcani eurasiatici' sono infinitamente più importanti come potenziale preda economica: nella regione c'è un 'enorme concentrazione di riserve di gas naturali e di petrolio, oltre a importanti miniere tra cui l'oro. L'impetuoso sviluppo economico dell'Asia sta già generando massicce spinte verso la ricerca e lo sfruttamento di nuove fonti di energia, ed è risaputo che le regioni dell'Asia centrale e del bacino del Mar Caspio contengono riserve di gas naturali e di petrolio che potrebbero far apparire ridicole quelle del Kuwait, del Golfo del Messico o del Mare del Nord. Il Kazakhstan è lo scudo e l'Uzbekistan l'anima dei vari risvegli nazionali della regione. L'Uzbekistan è, di fatto, il primo candidato alla guida dei paesi dell'Asia centrale. Una volta che saranno costruiti gli oleodotti diretti verso quell'area, le riserve, veramente ampie, di gas naturali del Turkmenistan garantiranno un futuro prospero alla popolazione del paese. Di fatto, il revival islamico fornirà probabilmente l'impulso a mobilitarsi per un nuovo nazionalismo, sempre più dilagante e determinato a opporsi a qualsiasi ritorno sotto il controllo dei russi Da tutte queste argomentazioni l'autore ha poi ricavato: "Ne segue che è primario interesse dell'America contribuire a far sì che nessuna singola potenza conquisti il controllo di questo spazio geopolitica, e che la comunità globale possa avervi accesso finanziario ed economico senza incontrare alcun ostacolo".

"L'America è ora l'unica superpotenza globale, e I 'Eurasia è l'arena centrale del globo. Ne segue che quel che accade quanto a distribuzione delle aree di influenza nel continente eurasiatico sarà di decisiva importanza per il primato globale dell' America, e per il retaggio storico dell'America. Se non c'è un coinvolgimento americano diretto e prolungato, in tempi non così lunghi le forze del disordine globale potrebbero giungere a dominare la scena del pianeta".

Queste osservazioni di Brzezinski sono strettamente legate al principale punto d'interesse del CFR, cioè il mantenimento del dominio globale statunitense:

"L'ultimo decennio del XX secolo ha visto un colossale cambiamento della situazione mondiale. Per la prima volta una potenza non eurasiatica, gli Stati Uniti, è divenuta non solo il principale arbitro delle relazioni tra le potenze eurasiatiche, ma anche la potenza suprema del pianeta. Ma adesso è assolutamente necessario che non emerga nessuno sfidante eurasiatico capace di dominare l'Eurasia, e quindi anche di sfidare l'America. Lo scopo di questo libro è dunque la formulazione di una geostrategia eurasiatica complessiva e integrata. Per l'America, la principale posta in gioco è l'Eurasia. In tale contesto, il modo in cui l'America gestisce l'Eurasia è un elemento critico. Si tratta del più vasto continente del globo, che totalizza i tre quarti delle risorse energetiche conosciute. La potenza che lo dominasse controllerebbe due delle tre aree più avanzate ed economicamente produttive. Basta inoltre un semplice sguardo alla cartina geografica per cogliere che il controllo dell'Eurasia comporterebbe quasi automaticamente la subordinazione dell'Africa, rendendo l'emisfero occidentale e l'Oceania geopoliticamente periferici rispetto al continente centrale del mondo. Quindi può darsi che gli Stati Uniti debbano decidere come affrontare coalizioni nazionali che cercassero di spingere l'America fuori dall 'Eurasia, minacciando così il suo status di potenza globale .".

Allargando il discorso, Brzezinski osserva: "Visti i segnali d'allarme che appaiono in Europa e in Asia, la politica americana, per essere vincente, dovrebbe focalizzarsi sull'Eurasia nel suo complesso ed essere guidata da un progetto geostrategico. Ciò pone l'accento sulle manovre e la manipolazione necessarie a prevenire l'emergere di una coalizione ostile che possa cercare di minacciare il primato dell'America. Il compito più immediato è quello di assicurare che nessuno Stato o unione di Stati conquisti la capacità di espellere gli Stati Uniti dall'Eurasia, o anche di sminuirne in modo significativo il decisivo arbitrato. Alla lunga, la politica globale diventerà sempre meno congeniale alla concentrazione del potere egemonico nelle mani di un singolo Stato. E quindi l'America non solo è la prima, oltre che la sola, vera superpotenza globale; ma probabilmente è anche destinata a essere l'ultima ".

Quello che afferma subito dopo l'ex consigliere alla Sicurezza Nazionale è di fondamentale importanza: "Inoltre, dato che l'America sta diventando una società sempre più multiculturale, può essere difficile suscitare consenso sulle questioni di politica estera, eccetto che nel caso di una minaccia esterna diretta, veramente grande e percepita in modo generalizzato".

Tutto questo dovrebbe essere messo a confronto con la precedente affermazione: "L'atteggiamento del popolo americano verso la proiezione esterna del potere USA è stato molto ambivalente. L'impegno americano nella seconda guerra mondiale in gran parte è stato sostenuto a causa dell'effetto scioccante dell'attacco giapponese a Pearl Harbor".

In pratica, Brzezinski sembra suggerire che solo un attacco contro gli Stati Uniti nello stile di Pearl Harbor sarebbe sufficiente a generare il sostegno interno richiesto per mettere in atto la sua grande strategia geopolitica.

Il secondo documento di cui parlerò è altrettanto esplicito. Si tratta di un progetto, scoperto dal "Sunday Herald", per la creazione di una "Pax Americana globale", redatto per Dick Cheney (l'odierno vicepresidente), DonaId Rumsfield (segretario alla Difesa), Paul WoIfowitz (vice di Rumsfield), Jeb Bush (fratello minore del presidente) e Lewis Libby (il capo dello staff di Cheney). TI documento, intitolato "Rebuilding America's Defences: Strategies, Forces and Resources For A New Century" e disponibile al link http://www.newamericancenturv.org/RebuildingAmericasDefenses , fu scritto nel settembre 2000 dal "think­tank" neoconservatore chiamato "Project for The New American Century" (PNAC). Altri membri dell'amministrazione Bush che contribuirono al rapporto sono John Bolton (sottosegretario di Stato), Stephen Cambone (capo dell'Ufficio Programma, Analisi e Valutazione del Pentagono), Devon Gross (membro del Consiglio Politico della Difesa) e Dov Zakheim (controllore della gestione del dipartimento della Difesa).

Il piano delineato in questo documento del PNAC rappresenta le posizioni di fondo del gabinetto Bush e vale perciò la pena di esaminarlo in qualche dettaglio. In buona sostanza il documento sostiene un "progetto per conservare la supremazia globale USA, precludere l'ascesa di una grande potenza rivale e plasmare l'ordine della sicurezza internazionale in linea con i principi e gli interessi americani". In questa vena, le forze armate statunitensi operanti all'estero sono descritte come "la cavalleria della nuova frontiera americana". Una

"missione cardine" della "cavalleria" è "combattere e vincere nettamente più guerre simultanee su importanti teatri". Al fine dunque di preservare la "Pax Americana globale", il rapporto sostiene che le forze USA devono assolvere "compiti di polizia": in altre parole, agire come poliziotto del mondo scalzando così le Nazioni Unite. Le missioni di "peacekeeping", per esempio, "richiedono una guida politica americana anziché quella delle Nazioni Unite". Per assicurare questa condizione e impedire a un qualsiasi paese di sfidare gli Stati Uniti si prosegue, deve essere promossa in tutto il mondo una presenza militare USA molto più ampia, che vada ad aggiungersi alle circa 130 nazioni dove già stazionano forze americane. A tal fine vanno istallate basi militari permanenti in Medio Oriente, nell'Europa sud-orientale, nell' America Latina e nel sud-est asiatico, dove in precedenza non ne esistevano.

Ai fini di questo studio, il progetto del PNAC mostra in particolare che il gabinetto di Bush aveva programmato di stabilire il controllo militare sul Golfo Persico a prescindere da Saddam Hussein e da qualsiasi minaccia il suo regime potesse aver posto al mondo. "Gli Stati Uniti cercano da decenni di svolgere un ruolo più stabile nella sicurezza regionale del Golfo ", fa notare il documento. "Anche se il conflitto irrisolto con l'Iraq fornisce la giustificazione immediata, il bisogno di una presenza consistente di forze americane nel Golfo trascende il problema del regime di Saddam Hussein ". In un colpo solo il documento sfata il mito che il piano di Bush di invadere l'Iraq fosse dettato principalmente da preoccupazioni relative al regime di Saddam come le armi di distruzione di massa. Ma l'Iraq è solo l'inizio. Tra gli altri punti pertinenti sollevati dal rapporto del PNAC c'è il fatto che, "anche qualora Saddam uscisse di scena", gli Stati Uniti intendono conservare a tempo indeterminato basi militari in Arabia Saudita e Kuwait, malgrado l'opposizione interna.

Il documento elenca inoltre vari altri stati come pericolosi fuorilegge che rappresentano una minaccia per i disegni americani, vale a dire Corea del Nord, Libia, Siria e Iran. L'esistenza di questi regimi richiede l'istituzione di un "sistema di comando e controllo mondiale" sotto la guida di Washington. L'Iran, in particolare, "potrebbe rivelarsi una grave minaccia agli interessi statunitensi tanto quanto l'Iraq", sollevando lo spettro di un altro intervento USA. Peggio ancora, il documento propugna un "cambiamento di regime" in Cina, da sostenere aumentando "la presenza di forze americane nel sud-est asiatico" affinché "la forza americana e alleata" fornisca "lo sprone per il processo di democratizzazione in Cina". Anche l'Europa viene additata come un potenziale rivale degli Stati Uniti.

Ma forse l'elemento più inquietante del progetto del PNAC per l'egemonia globale è l'ammissione che il piano non può essere realizzato senza che gli Stati Uniti conoscano una qualche sorta di crisi senza precedenti. Facendo eco alle osservazioni del geo-stratega Zbigniew Brzezinski, il documento PNAC del settembre 2000 fa notare, come riferisce "ABC News", che "il passaggio a una politica mediorientale più decisa . si avrebbe lentamente, a meno che non ci fosse qualche evento catastrofico e catalizzatore, come una nuova Pearl Harbor". Nelle parole del PNAC:

"Ogni serio tentativo di trasformazione deve avvenire entro la più ampia cornice della strategia di sicurezza nazionale, delle missioni militari e dei bilanci della difesa USA. Inoltre il processo di trasformazione, anche se determinerà cambiamenti rivoluzionari, sarà probabilmente lungo, in assenza di qualche evento catastrofico e catalizzatore, come una nuova Pearl Harbor".


L'evento in stile Pearl Harbor che auspicavano sia Brzezinski sia il PNAC è arrivato 1'11 settembre 2001.


Guida Gaetano


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