centenario di Erich Fromm (1900-1980)



Ciao a tutti,

cento anni fa nasceva Erich Fromm, uno degli ispiratori della cultura
umanista. Scompariva vent'anni fa lasciando un'eredita' immensa e feconda.
Invito tutti gli amici che hanno letto Fromm a scrivere qualcosa su questa
lista. Nel frattempo inserisco una scheda tratta da:

http://www.geocities.com/Athens/Delphi/6695/Francoforte.html

Consiglio inoltre la lettura del saggio "I costi esistenziali del consumo"
(di Michele Dorigatti): 

http://www.col.it/margine/archivio/1998/l9.htm

in cui viene citato Fromm, il quale fu uno dei filosofi piu' consapevoli
nella critica al consumismo.
Ovviamente sono cose che non destano piu' alcun interesse in quegli
intellettuali che aspirano a diventare (o a continuare ad essere) i servi
fedeli del potere. Per loro Erich Fromm e' stato solo uno sciocco
socialista illuso e pacifista. E che per di piu' aveva il vizio di
utilizzare la parte umanistica di Marx, come nel libro "Marx e Freud" (Il
Saggiatore, 1971), di cui cui citava: 

"La necessita' di rinunciare alle illusioni sulla propria condizione e' la
necessita' di rinunciare a una condizione che ha bisogno di illusioni.
La critica non ha strappato i fiori immaginari dalla catena perche' l'uomo
continui a trascinarla triste e spoglia, ma perche' la getti via e colga il
fiore vivo".

Un cordiale saluto a tutti.

Alessandro

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Erich Fromm e la "Città dell'Essere"

La disobbedienza è davvero un vizio?

L'uomo nasce, ad avviso di Fromm (1900-1980), quando "viene strappato
all'originaria unione con la natura che caratterizza
l'esistenza animale". Ma allorché si dà quest'evento, l'uomo rimane
fondamentalmente solo.

La realtà è che, come Fromm ha messo in evidenza in Fuga dalla libertà
(1941), l'uomo che si distacca dal mondo fisico e
sociale, l'uomo cioè che diventa libero, responsabile dei propri atti,
della propria scelta e dei propri pensieri, non sempre riesce
ad accettare il peso della libertà e cede allora al "conformismo gregario "
ubbidendo ciecamente a norme stabilite, aggregandosi
a un gruppo (e considerando nemici gli altri e gli altri gruppi). In questo
modo, l'uomo, che va alla ricerca della sua identità,
trova solo surrogati e si perde e perde la sua salute mentale.

Per secoli re, sacerdoti, signori feudali, magnati dell'industria e
genitori hanno proclamato - afferma Fromm ne La
disobbedienza come problema psicologico e morale (1963) - che l'obbedienza
è una virtù e che la disobbedienza è un vizio.
Ma a questo atteggiamento Fromm contrappone la prospettiva per cui: "la
storia dell'uomo è cominciata con un atto di
disobbedienza, ed è tutt'altro che improbabile che si concluda con un atto
di obbedienza". Adamo ed Eva "stavano dentro la
natura così come il feto sta dentro l'utero della madre ". Ma il loro atto
di disobbedienza ha scisso il legame originario con la
natura e li ha resi individui: "il "peccato originale", lungi dal
corrompere l'uomo, lo ha anzi reso libero; è stato esso l'inizio della
sua storia. L'uomo ha dovuto abbandonare il paradiso terrestre per imparare
a dipendere dalle proprie forze e diventare
pienamente umano". E come ci insegna il messianismo dei profeti, come ci
insegna il "delitto" di Prometeo (che ruba il fuoco agli
dei e "pone le fondamenta dell'evoluzione umana"), come ci insegna il
cammino storico dell'uomo, "l'uomo ha continuato ad
evolversi mediante atti di disubbidienza. Non soltanto il suo sviluppo
spirituale è stato reso possibile dal fatto che nostri simili
hanno osato dire "no" ai poteri in atto in nome della propria coscienza o
della propria fede, ma anche il suo sviluppo intellettuale
è dipeso dalla capacità di disobbedire: disobbedire alle autorità che
tentassero di reprimere nuove idee e all'autorità di credenze
sussistenti da lungo tempo, e secondo le quali ogni cambiamento era privo
di senso ".

Una persona diventa libera e cresce mediante atti di disobbedienza. La
capacità di disobbedire è, pertanto, la condizione della
libertà. Ma, d'altro canto, la libertà rappresenta la capacità di
disobbedire: "Se ho paura della libertà non posso osare dire "no",
non posso avere il coraggio di essere disobbediente. In effetti, la libertà
e la capacità di disobbedire sono inseparabili". E sono
esse che stanno alla base della nascita e della crescita dell'uomo in
quanto tale. Ebbene, dice Fromm " nell'attuale fase storica,
la capacità di dubitare, di criticare e di disobbedire può essere tutto ciò
che si interpone tra un futuro per l'umanità e la fine della
civiltà ".

Avere o essere?

All'analisi della crisi della società contemporanea e della possibilità di
risolverla, Fromm ha dedicato uno tra i suoi libri più letti:
Avere o essere? (1976), dove egli esamina le "due basilari modalità di
esistenza: la modalità dell'avere e la modalità dell'essere".
Per la prima modalità si dice che l'essenza vera dell'essere è l'avere, per
cui "se uno non ha nulla, non è nulla". Ed è in base a
questa idea che i consumatori moderni etichettano se stessi con la seguente
espressione: io sono = ciò che ho e ciò che
consumo. Di fronte a questa modalità di esistenza individuale e sociale,
Fromm richiama Buddha il quale insegnò che non
dobbiamo aspirare ai possessi; Gesù per il quale nulla giova all'uomo
l'aver guadagnato il mondo e poi perdere se stesso;
maestro Eckhart che insegnava a non aver nulla; Marx quando afferma che "il
lusso è un vizio esattamente come la povertà e
che dovremmo proporci come meta quella di essere molto, non già di avere
molto. Mi riferisco qui - precisa Fromm - al vero
Marx, all'umanista radicale, non alla sua volgare contraffazione costituita
dal "comunismo" sovietico". 

Se, dunque, per la modalità dell’avere, un uomo è ciò che ha e ciò che
consuma, i prerequisiti della modalità dell’essere sono "
L’indipendenza, la libertà e la presenza della ragione critica ". La
caratteristica fondamentale della modalità dell’essere consiste
" nell’essere attivo ", che non va inteso nel senso di un’attività esterna,
nell’essere indaffarati, ma di attività interna, di uso
produttivo dei nostri poteri umani. Essere attivi significa dare
espressione alle proprie facoltà e talenti, alle molteplicità di doti
che ogni essere umano possiede, sia pure in vario grado. Significa
rinnovarsi, crescere, espandersi, amare, trascendere il
carcere del proprio io isolato, essere interessato, " Prestare attenzione,
dare ".

Ebbene, delineate queste due modalità, quella dell'avere e quella
dell'essere, Fromm asserisce: "La cultura tardo-medievale
aveva come centro motore la visione della Città di Dio; la società moderna
si è costituita perché la gente era mossa dalla
visione dello sviluppo della Città Terrena del Progresso. Nel nostro
secolo, tuttavia, questa visione è andata deteriorandosi, fino
a ridursi a quella della Torre di Babele, che ormai comincia a crollare e
rischia di travolgere tutti nella sua rovina. Se la Città di
Dio e la Città Terrena costituiscono la tesi e l'antitesi, una nuova
sintesi rappresenta l'unica alternativa al caos: la sintesi tra il
nucleo spirituale del mondo tardo-medievale e lo sviluppo, avvenuto a
partire dal Rinascimento, del pensiero razionale e della
scienza. Questa sintesi costituisce la Città dell'Essere"Questa Città
dell'Essere sarà la città dell'uomo nuovo, ossia sarà quella
società che è "organizzata in modo tale - così scriveva Fromm ne L'arte di
amare (1956) - che la natura sociale e amante
dell'uomo non sia separata dalla sua esistenza sociale, ma diventi un'unica
cosa con essa".