(Fwd) N.E. Balcani #703 - Italia/Serbia-Montenegro



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N.E. BALCANI #703 - ITALIA/SERBIA-MONTENEGRO
22 ottobre 2003


I MISTERI DI TELEKOM
di Misa Brkic - ("Vreme" [Belgrado], 2 ottobre 2003)

Commissioni, conti segreti, tangenti. Una cosa è certa: la vendita di 
Telekom Serbia è stata una boccata di ossigeno per le finanze di 
Milosevic. L’inchiesta di un settimanale serbo.

[L'articolo che segue è stato pubblicato in traduzione italiana dalla 
rivista Internazionale]

Non compreremo nemmeno una fabbrica serba, perché le condizioni 
politiche ed economiche del vostro paese non lo consentono ancora”, 
ha dichiarato il 28 settembre scorso il direttore per l’Europa 
dell’est della Barilla, Fabio Fabris, alla fine di una presentazione 
della sua azienda a Belgrado. 

La prudenza della Barilla è sicuramente dovuta a un’attenta 
valutazione dei rischi di investimento in Serbia, ma probabilmente 
anche all’esperienza su questo mercato di un’altra grande azienda 
italiana, Telecom Italia, che sei anni fa ha comprato una quota della 
societˆ di telecomunicazioni serba. Proprio nel momento in cui la 
Barilla presentava il suo programma di produzione, a Belgrado 
arrivava il deputato italiano Enzo Trantino. 
Trantino guida la commissione parlamentare che indaga sugli scandali 
per corruzione che hanno coinvolto ambienti politici e finanziari 
italiani dopo la vendita di Telekom Serbia nel 1997. Cioè in un’epoca 
in cui – come direbbe il manager della Barilla – “in Jugoslavia le 
condizioni politiche ed economiche” non erano adatte a un’operazione 
simile.

Con l’arrivo a Belgrado dei parlamentari italiani, lo scandalo 
Telekom è tornato nuovamente in primo piano. Il ministro della 
giustizia serbo, Vladan Batic, ha aggiunto un po’ di pepe alla 
minestra dell’informazione annunciando, al ritorno dall’Aja, che il 
procuratore capo del Tribunale penale internazionale per l’ex 
Jugoslavia, Carla Del Ponte, ha finalmente messo le mani sulle prove 
degli illeciti finanziari di Milosevic, inclusi, naturalmente, gli 
aspetti poco chiari della vendita della Telekom. Ma per ora non si 
vedono ancora tracce concrete delle spericolate manovre economiche di 
Milosevic.

Dal luglio 1997, quando il 49 per cento di Telekom Serbia è stato 
venduto all’italiana Stet (29 per cento) e alla greca Ote (20 per 
cento), non si sono dissipati i dubbi che alcuni singoli attori 
italiani e alcuni serbi si siano arricchiti grazie a questo affare 
del valore di oltre 1,5 miliardi di marchi (circa 900 milioni di 
euro). L’unica indagine seria finora avviata è quella in corso in 
Italia, anche se secondo molti osservatori si sta svolgendo sulla 
base di interessi di partito e nel contesto di un’aspra lotta 
politica.

A BELGRADO
In Serbia non ci sono state indagini serie sull’operazione. A quanto 
si sa, il sindacato della Telekom ha cercato di entrare in possesso 
di alcune prove; il Comitato per la lotta alla corruzione ha 
annunciato un’ambiziosa indagine sulla vendita della Telekom; e il 
ministro della difesa Boris Tadic (in passato ministro delle 
telecomunicazioni) ha dichiarato il 27 settembre di essersi 
impegnato, a livello personale, a raccogliere dati “provenienti da 
ogni parte coinvolta: dalla polizia fino all’Ispettorato delle 
telecomunicazioni”. Sarebbe tuttavia molto interessante una 
testimonianza pubblica di fronte a una commissione serba 
(possibilmente parlamentare) di Miodrag Kostic. Subito dopo la 
rivolta del 2000 – quando è stato deposto Milosevic – Kostic ha avuto 
dal premier serbo Zoran Djindjic, suo intimo amico, il compito di 
ascoltare Milan Beko, ministro delle privatizzazioni nel 1997 ed ex 
direttore dell’industria Zastava. L’audizione c’è stata, ma non si sa 
cosa abbia raccontato Beko e quali documenti abbia reso disponibili a 
Kostic e, attraverso di lui, al premier Djindjic. E non si sa nemmeno 
se l’intera faccenda è stata chiusa perché tutto risultava essere 
regolare o per altri motivi.

Non è un caso che il 26 settembre, dopo le audizioni di fronte alla 
commissione parlamentare italiana sul caso Telekom in trasferta a 
Belgrado, Borka Vucic, donna d’affari definita a suo tempo la 
“banchiera di Milosevic”, abbia dichiarato ai media belgradesi che il 
testimone più interessante è sicuramente Beko, “l’uomo chiave nelle 
trattative per la vendita della Telekom”. Non tutti lo sanno, ma Beko 
aveva già testimoniato di fronte ai giudici italiani. Insieme a lui, 
in Italia erano stati ascoltati anche alcuni ex funzionari della 
Telekom. 

Tra i testimoni che la commissione italiana ha ascoltato a Belgrado 
ci sono alcuni dei nomi più noti del mondo degli affari serbo, ma 
anche politici vicini a Milosevic o dell’ex opposizione. La scelta di 
Borka Vucic come primo testimone nelle indagini della commissione 
parlamentare italiana evidentemente non è casuale, visto che si 
tratta di una banchiera di grosso calibro ed è un’enciclopedia 
vivente sulle appropriazioni indebite di Milosevic. Ma dopo la sua 
audizione, i giornalisti e l’opinione pubblica serba hanno fatto 
fatica a capire l’euforica soddisfazione del parlamentare Enrico Nan 
per le “informazioni di eccezionale importanza” date dalla Vucic. Le 
informazioni infatti si limitano alla constatazione che la vendita di 
Telekom Serbia è stata un’importante iniezione finanziaria per il 
regime di Milosevic, un fatto che qui è noto a tutti. Nessuno, però, 
è rimasto indifferente all’interessante dettaglio reso pubblico dal 
deputato Giuseppe Bonfiglio, secondo cui Borka Vucic afferma di non 
ricordare di essere stata a Roma due giorni dopo la vendita della 
Telekom Serbia (cioè l’11 giugno 1997) e di avere “speso” 480 milioni 
di marchi tedeschi per pagare “alcune società”.

DALLA SVIZZERA A CIPRO

Una fonte ha confermato invece la notizia del soggiorno di Borka 
Vucic a Roma e delle operazioni finanziarie che ha concluso in 
quell’occasione. In particolare, due giorni dopo la firma del 
contratto per la vendita di Telekom Serbia, sul conto del Fondo per 
lo sviluppo della Serbia aperto presso la Beogradska Banka di Cipro 
c’erano 1.213.425.630 marchi tedeschi in contanti e altri 323 milioni 
di marchi in titoli di credito emessi dalla banca svizzera Ubs e 
dalla Banca nazionale di Grecia. Complessivamente, quindi, 
1.536.425.630 marchi. Secondo Borka Vucic una parte dei soldi doveva 
essere smistata, una parte nascosta e un’altra ancora investita. 
Proprio durante il suo soggiorno a Roma Borka Vucic ha concluso 
queste operazioni. L’altra manovra spericolata alla quale la Vucic ha 
preso parte nella capitale italiana, sull’onda del successo ottenuto 
nella vendita della Telekom, è stata quella delle trattative per un 
ingente investimento nell’acciaieria Sartid di Smederevo, la più 
grande della Serbia. Per questa operazione ha svolto un’importante 
opera di lobbying l’allora ambasciatore jugoslavo presso la Santa 
Sede Dojcilo Maslovaric. I motivi per cui questo affare non è stato 
concluso verranno probabilmente chiariti da una nuova commissione.

Erano comunque gli atti finali del grande affare, e gli uomini di 
fiducia del padrone della Jugoslavia stavano già distribuendo il 
denaro per colmare i buchi dell’ormai vacillante impero di Milosevic. 
Eppure solo tre giorni prima, l’8 giugno 1997, era sembrato che 
l’intero affare stesse per sfumare. La persona incaricata di far 
fallire l’affare del secolo (con l’approvazione di Milosevic) era 
proprio il principale responsabile delle trattative, Milan Beko, che 
all’ultimo momento aveva deciso di cambiare la banca sulla quale 
l’acquirente italiano Stet International (filiale olandese della 
Telecom Italia) avrebbe dovuto versare il denaro. 

Dopo avere avuto dalla banca svizzera Ubs la conferma che secondo le 
norme vigenti questa banca non avrebbe potuto garantire 
l’inviolabilità dei 683,9 milioni di marchi che la Stet avrebbe 
dovuto pagare (allora erano ancora in vigore le sanzioni contro la 
Serbia), Beko ha deciso di chiedere il versamento della somma su una 
piccola e semisconosciuta banca greca, la European Popular Bank. La 
piccola banca ellenica sarebbe stata raccomandata a Milan Beko 
dall’allora governatore della Banca nazionale di Grecia.

La richiesta perentoria di Beko sulla nuova destinazione bancaria ha 
costretto a un dietro front il direttore di Telecom Italia, che era 
appena arrivato a Belgrado per firmare il contratto di compravendita. 
E così è cominciata subito una frenetica opera di lobbying via 
telefono, nella quale il più abile di tutti, nelle due ore 
successive, è stato l’ambasciatore Maslovaric. Solo quando Milan Beko 
ha confermato di essere in possesso di un documento che confermava il 
grosso rischio insito nel depositare fondi serbi in banche 
dell’Europa occidentale, il direttore di Telecom Italia ha accettato 
di versare i soldi presso la greca European Popular Bank. Il 10 
giugno 1997 questa banca ha dato conferma che sul conto della 
Beogradska Banka a Cipro “giacevano” due versamenti: quello della 
Stet – di 683.972.454 milioni di marchi – e quello della Ote – di 
529.453.176 milioni di marchi. Per fugare ogni dubbio sulla 
“distribuzione dei soldi” – alla quale hanno provveduto Milan Beko da 
Atene e Borka Vucic da Roma – bisogna spiegare che Beko era stato 
incaricato di un cosiddetto compito primario: trasferire i soldi 
provenienti dalla vendita della Telekom sul conto del Fondo per lo 
sviluppo della Serbia, che era stato aperto presso la filiale di 
Cipro della Beogradska Banka. Quando i soldi sono arrivati su questo 
conto, Borka Vucic ha provveduto a una nuova parziale distribuzione, 
nascondendo una parte dei fondi e investendone un’altra parte.
Il giorno della firma del contratto di vendita, Milan Beko era andato 
ad Atene con un aereo del governo della Serbia con un solo piccolo 
pezzo di carta in tasca. Su questo pezzo di carta c’era l’elenco dei 
conti sui quali doveva essere distribuito il denaro proveniente dalla 
vendita della Telekom. E nelle sue orecchie risuonavano ancora le 
parole confortanti dell’allora capo dei servizi segreti jugoslavi, 
Jovica Stanisic (oggi processato all’Aja per crimini di guerra), che 
gli diceva di non preoccuparsi per la propria sicurezza, perché ad 
Atene c’erano più agenti serbi che greci. 

Già durante le trattative per la vendita di Telekom Serbia Beko si 
era lamentato con Stanisic del fatto che intorno a casa sua si 
aggirava un camion-spia con antenna satellitare. Ma il capo dei 
servizi segreti gli aveva spiegato che non si trattava di agenti 
jugoslavi, e che almeno altri cinque servizi segreti ascoltavano “in 
diretta” le trattative.

Il giorno dopo la firma del contratto Milan Beko stava già lavorando 
ad Atene e non si trovava (come invece scrive la Repubblica) al 
ricevimento organizzato da Milosevic per celebrare la chiusura 
dell’affare. Durante il ricevimento, l’ex padrone della Jugoslavia si 
sarebbe lamentato con i presenti del fatto che il 3 per cento 
incassato dai “mafiosi italiani” era una somma davvero esagerata. 
Persone bene informate sul caso della vendita di Telekom Serbia oggi 
affermano che questa versione di un colloquio tra Milosevic e Beko 
durante il ricevimento è stata una “aggiunta creativa” 
dell’ambasciatore Dojcilo Maslovaric, e che Milosevic si sarebbe in 
realtà lamentato solo dell’ingente commissione pagata dalla parte 
serba alla società di consulenza britannica Natwest. Maslovaric, 
evidentemente, ha “condito” la storia in modo da far sapere 
all’opinione pubblica italiana che qualcuno nella penisola si era 
“ingrassato” grazie a una tangente.

Abbiamo chiesto a una delle persone del team serbo che ha condotto le 
trattative (e che ha voluto rimanere anonimo) se Milosevic avesse 
intascato parte della tangente, e ci è stato risposto con un’altra 
domanda: “Ma pensate proprio che Milosevic avrebbe rischiato di 
spartire con qualche italiano una tangente di, diciamo, 50 milioni di 
marchi quando, grazie ai suoi uomini nelle dogane e nei servizi 
segreti, controllava l’intero mercato del contrabbando di sigarette, 
con il quale una somma simile può essere realizzata nel giro di una 
settimana?”. Naturalmente anche al nostro interlocutore era chiaro 
che si trattava di una risposta non del tutto soddisfacente, vista la 
nota avidità dei membri della famiglia Milosevic.

CREATIVITÀ BALCANICA

In tutti questi anni l’opinione pubblica, la giustizia e i politici 
italiani si sono preoccupati esclusivamente di sapere se per il 29 
per cento di Telekom Serbia è stato pagato un prezzo troppo alto e se 
ci sono state tangenti. Se scopriranno che la somma pagata è stata 
eccessiva, sarà chiaro a tutti che qualcuno degli italiani ha 
accettato il prezzo solo perché così sarebbe proporzionalmente 
aumentata anche la tangente che se ne ricavava. Il sospetto fondato 
che per la Telekom sia stata pagata una somma eccessiva viene 
alimentato da un dettaglio a prima vista secondario delle prime fasi 
delle trattative. Si racconta che a un dato momento Milan Beko – 
senza motivi evidenti e senza che ciò corrispondesse alle stime degli 
esperti italiani – abbia comunicato che per la quota del 29 per cento 
della Telekom veniva chiesta una somma di cento milioni di marchi 
superiore rispetto a quella precedentemente offerta. Va detto che non 
si tratta affatto di una piccola somma, perché quei cento milioni di 
marchi rappresentavano circa il 7 per cento del prezzo allora 
offerto. 

REGOLA DEL GIOCO

Quando la parte italiana ha chiesto perché il prezzo era salito, Beko 
ha risposto come se niente fosse che i greci entravano a far parte 
dell’affare e che per questo il prezzo aumentava. Di fronte a questo 
“argomento” gli italiani, senza dire una parola, hanno accettato di 
pagare cento milioni di marchi in più. Se questo significa che per 
qualcuno la tangente sarebbe percentualmente aumentata, è cosa che 
deve essere spiegata dalla magistratura italiana. Fin dall’inizio 
della privatizzazione di Telekom Serbia è stata effettuata una mossa 
strategica che in seguito ha consentito varie operazioni, compreso 
l’incasso di commissioni e tangenti. Chi ha suggerito a Milosevic di 
evitare il ricorso a un’asta pubblica internazionale e di andare 
invece a un accordo diretto, sapeva infatti che le tangenti sarebbero 
state un elemento inevitabile nelle trattative. Lo sapevano 
probabilmente anche i partner italiani, che hanno accettato questa 
regola del gioco. Tutto quello che è venuto dopo è stato solo una 
“interpretazione creativa” di regole precedentemente stabilite. Con 
un’asta internazionale questa “creatività” sarebbe stata ridotta al 
minimo.

L’opinione pubblica italiana si chiede ormai da tempo chi sono, e che 
ruolo hanno avuto in questo scandalo, persone come Srdan 
Dimitrijevic, Gianni Vitali, Igor Marini, l’avvocato Paoletti o il 
notaio Boscaro. Si chiede anche se il rappresentante della Stet, 
Tomaso Tommasi di Vignano, aveva l'autorizzazione del governo 
italiano a firmare l’acquisto del 29 per cento di Telekom Serbia. E 
naturalmente per gli italiani è molto importante la dichiarazione 
dell’ex leader dell’opposizione serba, Vesna Pesic, che recentemente 
ha descritto come molto sgradevole l’incontro avvenuto nel 1997 tra i 
leader dell’opposizione stessa e l’allora ministro degli esteri 
italiano Lamberto Dini, che non nascondeva le sue simpatie verso 
Milosevic.

Anche limitandosi a esaminare il Rapporto sull’utilizzo dei mezzi in 
valuta da parte del Fondo per lo sviluppo della Serbia tra il 13 
giugno 1997 e il 31 dicembre 2000, salta subito all’occhio che i 
soldi ottenuti con la vendita della Telekom sono stati usati per 
comprare la pace sociale e per far sì che Milosevic rimanesse al 
potere. 
Per lui e per la sua cerchia non si è trattato certo di poco, perché 
dall’estate del 1997, quando è stata venduta la quota della Telekom, 
sono rimasti al potere altri tre anni, fino al settembre 2000. In 
questo periodo i maggiori “inghiottitori” di soldi provenienti dalla 
vendita sono stati il Fondo serbo per la previdenza pensionistica e 
per gli invalidi – 721,5 milioni di marchi – e l’Istituto serbo per 
l’assistenza sanitaria – 180,4 milioni di marchi. 
Per fornire crediti alle imprese, vale a dire per pagare gli stipendi 
arretrati e per narcotizzare finanziariamente la classe operaia 
serba, Milosevic e il suo premier Marjanovic hanno speso quasi 490 
milioni di marchi, pari a un terzo dei soldi guadagnati con la 
vendita della Telekom. Si tratta dei famosi sacchi neri pieni di 
soldi che Marjanovic portava alla Zastava o a cittˆ industriali come 
Bor, Nis, Krusevac per mettere temporaneamente a tacere la classe 
operaia. E dei fondi provenienti dalla vendita della Telekom ha 
goduto anche, tra gli altri, la televisione di stato Rts, con 1,5 
milioni di marchi.

A MANI VUOTE

La commissione parlamentare italiana ha continuato le sue audizioni a 
Belgrado. All’inizio dei suoi lavori era stato detto che l’opinione 
pubblica sarebbe stata informata regolarmente ogni giorno e i 
giornalisti avevano messo le tende davanti al tribunale. Ma sono 
rimasti a mani vuote. Un portavoce ha informato i presenti che non 
sarebbe stata rilasciata alcuna informazione. Nell’interesse delle 
indagini. 

Ad aspettare la chiusura dell’inchiesta c’è probabilmente anche Fabio 
Fabris, che così potrà finalmente aprire una fabbrica della Barilla 
in Serbia.

(traduzione di Andrea Ferrario)

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