(Fwd) N.E. Balcani #671 - USA/Balcani



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N.E. BALCANI #671 - USA/BALCANI
22 maggio 2003


USA E BALCANI: GRANDI MANOVRE
di Andrea Ferrario

Una rassegna di come i singoli paesi balcanici hanno reagito alla 
guerra in Iraq e alle conseguenti pressioni degli USA

[NOTA: Distribuiremo oggi anche un pezzo di "Vreme" che spiega più 
nei dettagli i retroscena del disgelo tra USA e Serbia. In fondo 
all'articolo potete trovare una lunga serie di link ad articoli sul 
tema USA/Iraq/Balcani]

La guerra contro l'Iraq, nonostante la sua breve durata, ha avuto 
notevoli ripercussioni nei Balcani. Gli USA infatti, nel corso dei 
preparativi bellici, hanno puntato molto sull'Europa Orientale per 
gonfiare il numero dei paesi favorevoli alla guerra. Quando ha 
ottenuto i primi successi in questa operazione, Washington ha 
cominciato a parlare di una "Nuova Europa", contrapposta alla 
"Vecchia Europa" di Francia e Germania, contrarie alla guerra senza 
l'egida ONU. Dopo avere incassato il sostegno di paesi come Polonia, 
Repubblica Ceca e Ungheria, gli Stati Uniti si sono spinti anche nei 
Balcani, dove hanno ottenuto subito il pieno sostegno di Bulgaria e 
Romania, che sono andate molto più in là dell'appoggio alla guerra 
contro l'Iraq, offrendo i loro territori per la costruzione di nuove 
basi militari USA. Oggi, a guerra terminata, gli USA continuano a 
esercitare pressioni sui paesi balcanici, sia affinché inviino propri 
contingenti in Iraq sia per ottenere la firma di accordi bilaterali 
che garantiscano l'immunità dei cittadini e militari statunitensi di 
fronte al Tribunale Internazionale (con la minaccia di tagliare gli 
aiuti militari se non lo faranno entro luglio). Al fine di conseguire 
questi scopi, Washington usa la classica politica del bastone e della 
carota, laddove il primo è rappresentato soprattutto dalla minaccia 
di finire nel "libro nero" degli USA, con le relative conseguenze 
politiche, e la seconda consiste nell'allettare i paesi balcanici con 
la promessa di ottenere subappalti per la ricostruzione dell'Iraq e 
significativi investimenti americani. Nell'ambito di questa tattica, 
che sta ottenendo successo, il bastone sembra prevalere sulla carota. 
Le posizioni dei singoli paesi non sono comunque identiche, come 
vedremo nella rassegna qui sotto.

ALBANIA

L'Albania è stato uno dei primi paesi ad aderire alla linea di 
Washington, firmando nel febbraio scorso la dichiarazione dei paesi 
del Gruppo di Vilnius a favore della guerra anche senza l'egida ONU. 
Tutti i partiti politici albanesi hanno sostenuto tale linea e 
pertanto non vi sono stati problemi, dopo la fine del conflitto, nel 
decidere l'invio di un contingente in Iraq. A fine aprile sono 
partiti per Baghdad 75 soldati albanesi, che svolgeranno operazioni 
di pattugliamento nella capitale, sotto il comando statunitense. Un 
viceministro albanese è stato inoltre tra i candidati alla carica di 
governatore di Bassora, andata poi a un danese. La decisione che più 
ha schierato politicamente l'Albania è stata quella di firmare con 
gli USA un trattato che impegna il paese a garantire l'immunità ai 
cittadini statunitensi che si trovano nel paese e a non estradarli al 
Tribunale Internazionale: l'Albania è stata il primo paese europeo a 
firmare un tale accordo dopo la Romania, che lo aveva fatto già 
l'anno scorso. Tirana si è anche detta ufficialmente disposta ad 
accogliere basi militari USA sulle proprie coste, anche se Washington 
ha precisato che attualmente una tale eventualità non è ancora allo 
studio. Il governo albanese ambisce a ottenere subappalti nell'ambito 
della ricostruzione dell'Iraq, ma gli Stati Uniti non sono andati 
oltre l'impegno a segnalare l'interesse albanese alle aziende USA 
appaltatrici. La più grande tra queste ultime, la Bechtel, ha 
cancellato una propria conferenza a Tirana, perché evidentemente non 
interessata al coinvolgimento di aziende albanesi. Negli ultimi mesi 
comunque alcune grandi aziende statunitensi hanno avviato o 
finalizzato accordi per opere in settori strategici dell'economia 
albanese come quello aereo, energetico e portuale, con in prima fila 
Lockheed Martin e General Electric. Va infine menzionato che 
l'Albania è l'unico paese d'Europa, fatta eccezione per il Kosovo 
sotto protettorato, in cui la maggioranza della popolazione, stando 
ai sondaggi, è stata a favore della guerra contro l'Iraq.

BOSNIA-ERZEGOVINA

Essendo un protettorato internazionale, nonché un paese privo di 
strutture politiche ed economiche stabili, la Bosnia è stata 
coinvolta solo marginalmente nelle grandi manovre politiche di 
Washington nei Balcani. Per gli USA il paese continua a essere 
soprattutto un potenziale covo di terroristi islamici da tenere sotto 
controllo. Washington ha comunque chiesto anche alla Bosnia di 
firmare un accordo di non estradizione dei cittadini americani al 
Tribunale Internazionale, ottenendo un successo a metà: il governo 
bosniaco si impegna infatti a garantire immunità e non estradizione 
solo ai cittadini americani che fanno parte della missione in Bosnia, 
e non a tutti gli altri, come chiedevano gli USA. Tale immunità, tra 
l'altro, era già sostanzialmente garantita dagli accordi di Dayton. 
In occasione della firma, comunque, gli USA hanno incassato anche il 
sostegno politico dei vertici della Republika Srpska.

BULGARIA

La Bulgaria ha avuto un ruolo particolarmente importante nella 
strategia USA, per un fatto essenzialmente casuale: il paese 
quest'anno è membro non permanente del Consiglio di Sicurezza 
dell'ONU. In tale sede il rappresentante bulgaro si è schierato con 
Washington nel tentativo di raccogliere una maggioranza a favore 
della guerra. Insieme alla Romania, la Bulgaria è stata il primo 
paese balcanico a offrire la concessione di basi militari agli USA e 
lo ha fatto con particolare slancio, giungendo a consegnare a 
Washington un elenco di ben 30 possibili sedi. Nel corso di una sua 
recente visita a Sofia, Powell ha ringraziato la Bulgaria per essere 
stata "la mano destra degli USA nella guerra contro il terrorismo e 
Saddam" e riguardo alle basi ha specificato che non è ancora stata 
presa alcuna decisione e che comunque si tratterà eventualmente di 
basi di dimensioni limitate, il cui compito sarà principalmente 
quello di facilitare i ponti aerei verso il Medio Oriente. A maggio 
il governo di Sofia ha deciso di inviare in Iraq un contingente di 
circa 480 uomini, che sarà di stanza nella zona sotto controllo 
polacco e si occuperà tra le altre cose di ordine pubblico. Più 
controversa la posizione della Bulgaria riguardo a un accordo 
bilaterale "anti-Tribunale Internazionale": il governo aveva già dato 
la sua disponibilità in passato, ma le divisioni politiche nel paese 
potrebbero rendere difficile la ratifica di un eventuale accordo, un 
fatto che frena l'esecutivo. In Bulgaria si è infatti aperta una 
frattura tra il presidente della repubblica Parvanov, socialista e 
oppositore della guerra senza egida ONU, e il governo dell'ex zar 
Simeon, schierato con gli USA. L'opinione pubblica è schierata contro 
la politica USA e il Partito Socialista, in testa ai sondaggi, ha 
cavalcato la tigre organizzando raccolte di firme e manifestazioni 
antiguerra, nonostante le sue posizioni siano rigidamente 
filoatlantiche. A livello economico, Sofia spera di riuscire a 
ricuperare parte dell'ingente debito dell'Iraq nei suoi confronti, ma 
finora gli USA non hanno dato molte speranze a tale proposito. Anche 
per quanto riguarda eventuali subappalti, Washington ha fatto solo 
dichiarazioni vaghe.

CROAZIA

Schieratasi in un primo tempo a fianco degli USA (a quanto pare sotto 
pesanti minacce) con la firma della dichiarazione del Gruppo di 
Vilnius, il governo di Zagabria ha successivamente ritirato il 
proprio appoggio e il suo governo si è pubblicamente dichiarato 
contrario all'imminente guerra, adottando posizioni analoghe a quelle 
di Francia e Germania. Di fronte a questo voltafaccia, l'ambasciatore 
USA in Croazia ha avuto una posizione molto scomposta e ha minacciato 
esplicitamente il paese di pesanti conseguenze. I primi segnali di 
ritorsione si sono avuti quando Washington ha deciso prima di 
rimandare la firma della Partnership USA-Adriatica con Albania, 
Croazia e Macedonia e poi di organizzare la cerimonia di firma a 
Tirana e non a Zagabria, come era originariamente previsto. Il 
governo croato ha anche deciso di non firmare l'accordo bilaterale 
"anti-Tribunale Internazionale" proposto dagli USA, affermando 
apertamente che è in contraddizione con la posizione adottata 
dall'UE. Con ogni probabilità Washington reagirà a questa decisione 
annullando i 19 milioni di dollari stanziati per la riforma 
dell'esercito croato. Gli Stati Uniti riescono comunque ancora a 
ottenere da Zagabria importanti concessioni, come indica il fatto che 
la Croazia sia stata obbligata ad accettare un accordo per lo 
stazionamento nel paese di navi e aerei statunitensi, con il quale 
Washington si arroga scandalose immunità per i propri funzionari e 
soldati. La Croazia è il paese balcanico in cui è stato più forte il 
sentimento popolare contro la guerra voluta dagli USA e della Gran 
Bretagna, un fatto che sicuramente ha inciso sulle decisioni prese 
dal governo.

MACEDONIA

La Macedonia, che continua ad avere una scena politica altamente 
instabile e dove i rapporti tra albanesi e macedoni permangono tesi, 
ha dato il proprio sostegno alla guerra agli USA e ha inviato in Iraq 
un proprio contingente militare simbolico, composto da 28 uomini. E' 
interessante notare come tale contingente sia formato pressoché per 
intero da membri delle unità speciali dei "Lupi" e degli "Scorpioni", 
utilizzate nel 2001 per combattere la guerriglia albanese dell'UCK. 
La visita a Skopje del vicesegretario alla difesa Wolfowitz non ha 
prodotto, fino al momento in cui scriviamo, l'effetto sperato di 
ottenere una firma della Macedonia che garantisca la non estradizione 
dei cittadini americani al Tribunale Internazionale. Il governo di 
Skopje comunque non ha nemmeno opposto un rifiuto.

ROMANIA

Il governo del più grande paese balcanico in termini di popolazione è 
stato tra i più entusiasti sostenitori della guerra di Bush e Blair. 
La Romania infatti ha risposto positivamente, e in maniera rapida, 
all'appello di Washington a schierarsi al suo fianco quando la guerra 
era imminente e, come la Bulgaria, ha offerto di accogliere basi 
militari permanenti degli USA. Bucarest aveva inoltre inviato un 
proprio contingente simbolico in Iraq già durante la guerra. Il 
governo romeno era stato tra i primi, l'anno scorso, a firmare un 
accordo "anti-Tribunale Internazionale" con Washington, accordo che 
tuttavia non è ancora stato ratificato dal parlamento. Infine a 
maggio la Romania ha deciso di inviare in Iraq un altro contingente 
militare, composto da 470 uomini, che opereranno sotto il comando 
britannico, insieme alle truppe italiane.

SERBIA

Quello della Serbia è senz'altro il caso più interessante. Da una 
parte, infatti, Belgrado non è stata sottoposta a particolari 
pressioni da parte di Washington per ottenerne il sostegno alla 
guerra in Iraq, l'invio di truppe o l'immunità per i cittadini 
americani. Dall'altra, la Serbia è stata il paese che ha ottenuto più 
di altri riconoscimenti e aperture politiche da parte degli USA. Ciò 
è dovuto in parte anche alla coincidenza temporale tra la guerra in 
Iraq e lo stato di emergenza introdotto in Serbia dopo l'assassinio 
del premier Djindjic. La nuova dirigenza di Belgrado è 
particolarmente apprezzata dai funzionari statunitensi, che hanno 
operato negli ultimi mesi una vera e propria svolta nei rapporti con 
la Serbia. Ai dirigenti serbi è stato subito perdonato lo scandalo 
della vendita illegale di armi all'Iraq, scoppiato a fine ottobre 
2002 e che vedeva direttamente coinvolta la Jugoimport, una delle più 
grandi aziende del paese, specializzata nell'import-export di 
armamenti. Lo scandalo è stato insabbiato dal governo di Belgrado 
senza che Washington insistesse per l'individuazione dei 
responsabili, come è invece avvenuto in Bosnia, dove per lo stesso 
traffico di armi si sono dovuti dimettere alti funzionari 
dell'esercito e dello stato. Secondo un articolo di "Vreme" uscito 
oggi [e che distribuiamo in parallelo al presente articolo] il 
governo serbo avrebbe fornito agli USA importanti informazioni 
segrete sull'Iraq, guadagnandosi i favori dell'amministrazione 
statunitense. Lo scandalo Jugoimport coinvolgeva direttamente il 
ministro degli interni serbo Mihajlovic e l'attuale premier Zivkovic, 
entrambi nel consiglio di amministrazione dell'azienda. Solo un mese 
dopo l'insabbiamento dello scandalo, una delegazione della Jugoimport 
si recava a Washington per stipulare accordi commerciali. 
Successivamente gli stabilimenti Zastava hanno firmato un accordo per 
la vendita di armi leggere agli USA. L'amministrazione statunitense 
ha dato il proprio pieno appoggio all'introduzione dello stato di 
emergenza in Serbia e, mentre la guerra in Iraq era in corso, Powell 
ha trovato il tempo di recarsi in visita a Belgrado per dare il 
proprio pieno appoggio al governo di Belgrado, dichiarandosi 
"entusiasta" delle misure introdotte dopo l'assassinio di Djindjic. 
Ai primi di maggio il presidente Bush ha emesso un decreto che 
autorizza la vendita di armi alla Serbia, definendo quest'ultima un 
paese amico e importante per gli interessi nazionali degli USA. Nel 
mese di aprile la Jugoimport ha aperto un proprio ufficio a Bagdad 
con l'autorizzazione degli USA e poco dopo veniva annunciato che 
l'azienda era stata incaricata di coordinare le aziende serbe che 
parteciperanno alla ricostruzione dell'Iraq. La Serbia dispone di 
carte molto migliori rispetto agli altri paesi balcanici per quanto 
riguarda l'ottenimento di subappalti, perché le sue aziende hanno 
avuto un'ampia esperienza in Iraq, in particolare nel settore delle 
costruzioni, anche fino a tempi recenti, sotto Saddam Hussein. La 
Jugoimport sta già discutendo progetti concreti con le grandi aziende 
USA appaltatrici, mentre gli altri paesi balcanici fino a oggi non 
hanno ancora avuto contatti diretti con queste ultime. Washington ha 
inoltre allo studio la possibilità di fare di Belgrado il centro 
delle proprie strutture antiterroristiche e diplomatiche nei Balcani 
e a tale scopo nel prossimo autunno giungeranno in Serbia funzionari 
di FBI e DEA. Nella stampa serba era anche circolata la voce secondo 
cui l'aeroporto di Nis, che verrà ricostruito per intero, sarebbe 
destinato a diventare una base USA, ma Washington ha smentito 
recisamente la notizia. Va infine segnalato che il governo di 
Belgrado ha chiesto e ottenuto in questi giorni da Carla Del Ponte la 
promessa di potere processare in Serbia parte degli incriminati dal 
Tribunale dell'Aia.

TRA USA E UE

Le manovre politiche degli USA nei Balcani hanno nel complesso 
ottenuto successo. Fatta eccezione per la Croazia, gli altri paesi 
hanno tutti soddisfatto le richieste più importanti di Washington, 
senza potere pretendere molto in cambio. Le dirigenze politiche dei 
paesi balcanici hanno dato un'ulteriore dimostrazione del baratro che 
le divide dalle rispettive popolazioni, in larghissima maggioranza 
contrarie alla guerra. E' chiaro tuttavia che i leader politici si 
sono preoccupati più delle possibili reazioni dell'UE, che dei propri 
popoli. Prima della guerra contro l'Iraq ci sono state tensioni 
notevoli con alcuni paesi dell'Unione, in particolare la Francia, ma 
ora l'atteggiamento di Bruxelles nei confronti dei paesi balcanici 
schieratisi con gli USA sembra molto più moderato. Non bisogna 
d'altronde dimenticare che l'UE non è unita nelle sue posizioni e che 
uno dei paesi con i maggiori interessi economici nei Balcani, 
l'Italia, ha appoggiato la linea USA, un fatto che sicuramente ha 
incoraggiato le dirigenze politiche balcaniche ad accettare le 
richieste di Washington.


LINK A MATERIALI PRECEDENTI SU USA/IRAQ/BALCANI:

Da "Notizie Est" (http://www.notizie-est.com):

Zivkovic, la Jugoimport e i traffici d'armi con l'Iraq 
Serbia: il Patto di Varsavia di Bush 
Croazia: il diktat del Pentagono
Libera anche tu l'Iraq con "Bushopoli"!
Washington prende a schiaffi Zagabria 
Croazia: fautori della pace 
Gruppo di Vilnius: il giallo della dichiarazione a sostegno degli USA 
Il caso Guernica, ovvero Bush come Franco
Sofia: in 10.000 contro la guerra
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Balcani: all'ombra della crisi irachena 
"Concordia": l'UE sostituisce la NATO in Macedonia 
Bucarest tra due fuochi (occidentali)

Bosnia: lettere censurate da Guantanamo

Da "Osservatorio Balcani" (http://www.osservatoriobalcani.org):

Albania: più che mai al fianco degli USA 
USA-Albania: investimenti per riconoscenza 
Albania: Powell conteso 
Guerra in Iraq: la Bosnia protesta sottovoce 
Bosnia: ci piacerebbe ricostruire l’Iraq 
Bulgaria-Iraq: ‘non concordo ma non protesto’ 
Powell alla Bulgaria: vi siete comportati bene 
Washington ammonisce Zagabria sulla guerra in Iraq 
Navi nucleari in Croazia 
I Balcani nell’ombra della guerra all’Iraq 
Reazioni macedoni alla guerra in Iraq 
Le reazioni montenegrine alla guerra in Iraq 

Da "Reds" (http://www.ecn.org/reds):

La guerra vista dai Balcani

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