missione in Macedonia



Seguito della discussione del disegno di legge: Conversione in legge del
decreto-legge 18 settembre 2001, n. 348, recante disposizioni urgenti per la
partecipazione militare italiana alla missione internazionale di pace in
Macedonia (1596)

Stenografico Aula in corso di seduta
Seduta n. 47 del 17/10/2001

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l'onorevole
Deiana. Ne ha facoltà.

ELETTRA DEIANA. Signor Presidente, annuncio il voto contrario dei deputati
del gruppo di Rifondazione comunista e vorrei essere messa in grado di
spiegarne le ragioni visto che il nostro sarà l'unico voto contrario.
Si tratta di ragioni specifiche, relative alla natura della
missione«Raccolto essenziale», e di ragioni legate al quadro strategico in
cui queste missioni si collocano; quadro definito dal Nuovo concetto
strategico della NATO - dall'articolo 24 di un documento sottoscritto dai
governi dei paesi membri nell'aprile del 1999, mai sottoposto al dibattito
dei parlamenti interessati - che legittima l'attivazione di operazioni
militari apparentemente diverse tra loro: missioni di pace, polizia
internazionale, guerre più o meno chirurgiche, guerre umanitarie, guerre che
prevedono "incidenti inevitabili" ma tutte accomunate dal disegno di
controllo globale del pianeta che la NATO persegue e che è una delle cause -
forse la fondamentale - dell'instabilità crescente nei rapporti
internazionali.
Non si produce pace in questo modo - è il nostro punto di vista - senza
regole, istituzioni, soggetti realmente preposti a questo scopo, e al di
sopra delle parti, e mentre si sterilizza la funzione dell'ONU.
La decisione di dispiegare nuove truppe NATO in Macedonia allo scadere
dell'operazione «Raccolta essenziale» (questa è la proposta del Governo) che
doveva essere conclusa entro un mese - così ci avevano detto i ministri
Ruggiero e Martino - è il segnale più evidente di tutto ciò che sto dicendo,
del carattere complesso della missione (tutt'altro che operazione di facile
pacificazione),
delle incognite che le dinamiche in quella zona dei Balcani nascondono, del
rischio che di nuovo si inneschi un processo incontrollabile con la
conseguenza di far saltare l'equilibrio che sembrava conseguito - ma non è
così!- tra le parti in causa: la guerriglia albanese, il Governo macedone e
la NATO.
Nella riunioni delle Commissioni esteri e difesa di Camera e Senato svoltosi
in agosto i ministri Martino e Ruggiero, nel presentare la missione, usarono
toni dimessi e defilati; operazione di basso profilo, di semplicissimo
operatività! In realtà, la balcanizzazione dei Balcani continua e si allarga
a macchia d'olio, secondo il copione consolidato di una crescente
etnicizzazione del conflitto tra i gruppi locali che vogliono spartirsi, con
nuove regole di confine, il territorio della ex Jugoslavia e con il rischio
di ulteriori coinvolgimenti di tipo etnico, come i disordini in Montenegro
stanno a dimostrare. Quanto, in questo processo di continua deflagrazione
dei precedenti assetti statuali, hanno pesato interessi, strategie
politiche, prove di forza dei paesi della NATO?
Quanto la pretesa della NATO di definire nell'area il contesto generale
della legalità, della legittimità e della convenienza ha contribuito e
contribuisce alla destabilizzazione di fatto, mentre ci si attribuisce come
occidente il ruolo salvifico di grandi pacificatori?
Il caso della Macedonia, passata indenne per quasi dieci anni dal virus
dell'odio interetnico e degli scontri civili, è emblematico e parla con
chiarezza delle responsabilità dirette dei paesi aderenti alla NATO. È stata
esposta, infatti, anche la Macedonia all'insorgenza etnica e ai nazionalismi
incrociati sicuramente anche per il ruolo di punta che l'Uck ha potuto
guadagnarsi grazie proprio alla NATO che ha condannato o legittimato la
guerriglia albanese, prima in Kosovo poi in Macedonia, a seconda dei casi e
dei momenti ed ha attivato l'operazione «Raccolta essenziale» (raccolta di
armi) mentre nulla hanno fatto i paesi membri per controllare il mercato
delle armi che fornisce la materia prima del conflitto.
La consegna delle armi da parte delle unità dell'Uck è servita solo a
legittimare una corrente radicale del nazionalismo albanese che crede venuto
il momento di realizzare il vecchio sogno di riunificare tutte le terre
albanesi dei Balcani (non a caso l'Uck è la stessa sigla in Kosovo ed in
Macedonia) e, contemporaneamente, a suscitare dinamiche negative tra la
popolazione macedone che accusa in gran parte l'occidente di faziosità in
favore degli albanesi. Così prende quota il nazionalismo slavo-macedone e
vengono alla ribalta gruppi paramilitari animati dal progetto aberrante di
una Macedonia etnicamente pura.
Di fronte a tutto ciò, il sottosegretario Cicu, in sede di discussione sulle
linee generali in aula, ha affermato che dei problemi dell'area e delle
dinamiche strategiche dei Balcani ci si occupa in sede NATO, che noi
facciamo parte di una missione con obiettivi limitati che sono stati
raggiunti in maniera soddisfacente e che di questo solo dobbiamo occuparci.
La nostra politica di difesa è diventata, secondo questa impostazione, una
funzione della NATO, completamente sottratta alla sovranità di questo
Parlamento.
Il concetto di pace è stato così stravolto e deturpato; viene usato ormai
soltanto per coprire e rendere accettabili ad una opinione pubblica italiana
ancora largamente permeata di vocazione pacifista opzioni e strategie
definite in un ambito, quello della NATO, che poco ha a che fare con la
pace, con un'autentica politica di pace rispettosa dei vincoli
costituzionali, dei trattati internazionali e di quella faticosa rete di
norme e di interdizioni giuridiche all'opzione bellica che l'Europa seppe
costruire all'indomani della seconda guerra mondiale e che in questi anni
l'Europa stessa sta invece distruggendo, ricreando l'abitudine terribile a
convivere con la guerra. Vengono chiamate missioni di pace ma sono un
patchwork, come dicevo prima, di volta in volta di azioni di protettorato
lungo zone considerate strategiche dall'Occidente, di gendarmeria mondiale,
di vera e propria guerra guerregiata. Insomma, una difesa a geometria
variabile, secondo interessi di volta in volta definiti.
La politica della difesa italiana ha subito un mutamento radicale che non ha
nulla più a che vedere, nella geografia concettuale che si è venuta
robustamente affermando negli anni '90, con il concetto di difesa secondo
l'articolo 11 della Costituzione. Per questi motivi, noi esprimiamo il
nostro voto contrario sul provvedimento. (Applausi dei deputati del gruppo
di Rifondazione comunista).




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