Notizie Est #280 (1) - NATO/Jugoslavia



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NOTIZIE EST #280 (1) - NATO/JUGOSLAVIA
10 novembre 1999
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LA NATO PENSAVA A UN'INVASIONE DI TERRA? / 1

[Negli ultimi mesi stanno uscendo vari articoli 
che riesaminano l'evoluzione della guerra della 
NATO contro la Jugoslavia. Si tratta soprattutto 
di articoli pubblicati da alcuni tra i maggiori 
mezzi d'informazione di Stati Uniti e Gran 
Bretagna ("Washington Post", "New York Times" o 
BBC, per fare solo alcuni esempi), che godono di 
canali di accesso particolari con alti 
funzionari dei due rispettivi paesi. Il pezzo 
che riportiamo qui sotto, per esempio, e' stato 
scritto da Steve Erlanger, un giornalista con 
buoni agganci all'interno dei meccanismi del 
potere USA, in particolare per quanto riguarda i 
Balcani, ma che spesso e' stato il canale 
attraverso il quale i vari circoli 
dell'amministrazione statunitense hanno fatto 
passare, se non proprio delle "veline", almeno 
delle informazioni che miravano a obiettivi 
politici evidenti. Ora al centro dell'attenzione 
e' la strategia seguita dalla NATO durante 
questa ultima guerra e la relativa polemica tra 
le diverse fazioni politiche 
dell'amministrazione USA, tra le quali si e' 
evidentemente aperta una forte spaccatura 
(semplificando molto, si possono individuare la 
linea dei "falchi" Albright-Clark e la linea 
delle "colombe" Clinton-Cohen-Pentagono-Stati 
maggiori dell'Esercito, usando i termini 
"falchi" e "colombe" solo per comodita' 
esplicative e non certo per il loro contenuto 
effettivo). All'interno di questa polemica, un 
ruolo di primo piano lo stanno avendo le 
"rivelazioni" sulla presunta decisione, ai 
primissimi di giugno, di procedere a un 
intervento di terra. L'articolo riportato qui 
sotto sostiene questa tesi (anche se, a leggerlo 
attentamente, non la formula mai a chiare 
lettere e si contraddice svariate volte). La 
nostra opinione e' che tali ipotesi 
"decisionistiche" servano a coprire a posteriori 
l'enorme imbarazzo in cui si e' trovata la NATO 
durante tutto il corso della guerra contro la 
Jugoslavia e siano poco reali, o comunque 
debbano essere lette piu' come mossa disperata 
di fronte alle eccezionali difficolta' 
incontrate che come esito lineare di una 
strategia militare pianificata in anticipo. 
L'articolo di Erlanger, al di la' di queste 
osservazioni, contiene molte informazioni e 
interpretazioni utili. Domani pubblicheremo una 
seconda e piu' breve parte con i nostri commenti 
- a.f.]


MENTRE MILOSEVIC NON CEDEVA SUL KOSOVO, LA NATO 
SI STAVA MUOVENDO VERSO UN'INVASIONE
di Steve Erlanger - ("New York Times", 7 
novembre 1999)

BELGRADO, Jugoslavia - Ai primi di giugno, il 
primo ministro britannico Tony Blair, il piu' 
esplicito sostenitore di un'invasione di terra 
del Kosovo, aveva ordinato la preparazione di 
30.000 lettere per richiamare i riservisti 
dell'esercito britannico. Scritte e messe in una 
busta con indirizzo, erano pronte per essere 
spedite e rendere cosi' possibile l'impiego di 
50.000 soldati britannici - meta' degli 
effettivi di cui dispone l'esercito - per 
entrare in Kosovo.

A Washington, il presidente Clinton, con enorme 
riluttanza, stava per dare la propria 
approvazione ai preparativi per un'invasione di 
terra del Kosovo, che avrebbe visto il 
coinvolgimento di ben 120.000 soldati americani -
 nonostante il suo impegno, dato in un discorso 
televisivo trasmesso il primo giorno della 
guerra, il 24 marzo, a non intervenire via 
terra, con le chiare parole: "io non intendo 
dispiegare nostre truppe in Kosovo per 
combattere una guerra".

Se si deve giudicare da interviste condotte con 
alti funzionari di sette governi - Stati Uniti, 
Gran Bretagna, Germania, Italia, Francia, 
Finlandia e Jugoslavia - gli Stati Uniti sono 
giunti molto piu' vicini a una guerra di terra 
in Europa di quanto generalmente non si ritenga.

Il 2 giugno, il giorno prima che il presidente 
jugoslavo Slobodan Milosevic decidesse di 
accettare i termini della NATO per porre fine al 
conflitto, il consigliere per la sicurezza 
nazionale Sandy Berger ha convocato una lunga 
riunione dei piu' alti responsabili della 
sicurezza nazionale dell'amministrazione 
Clinton. Nel corso della riunione, tra le altre 
cose, si e' discusso nei dettagli come la NATO 
avrebbe potuto vincere la guerra.

Quasi contemporaneamente, l'ex primo ministro 
russo Viktor Cernomyrdin e il presidente 
finlandese Martti Ahtisaari si trovavano a 
Belgrado, esponendo a Milosevic le condizioni 
della NATO, ma pochi a Washington si attendevano 
che Milosevic le accogliesse. Cernomyrdin, 
insoddisfatto dalle condizioni poste, aveva 
quasi rifiutato di recarsi a Belgrado, ma ha 
infine presenziato ascoltando Ahtisaari che 
spiegava a Milosevic come la NATO avrebbe 
colpito ancora piu' duramente le citta' 
dall'aria, distruggendo i suoi ponti e le sue 
centrali elettriche, e come essa, se necessario, 
sarebbe stata costretta a invadere il Kosovo. 
Due settimane prima, Clinton aveva detto che 
"tutte le opzioni sono sul tavolo" e Cernomyrdin 
aveva reso chiaro a Milosevic che la Russia, che 
aveva fornito a Belgrado informazioni radar 
sugli aerei NATO in arrivo, non sarebbe piu' 
stata in grado di dare il proprio sostegno, 
perfino nel caso di un'invasione di terra.

A Washington, funzionari della Casa Bianca 
stavano ancora lavorando duramente alla ricerca 
di opzioni di terra che escludessero la proposta 
avanzata dal gen. Wesley Clark, il comandante 
della NATO, il quale richiedeva un'invasione con 
un numero di soldati alleati fino a 175.000. 
Tali funzionari discutevano della creazione di 
un "corridoio di uscita" limitato per fare 
defluire dal Kosovo gli albanesi sfollati 
interni, e di "aree protette" per loro 
all'interno del Kosovo stesso, dove avrebbero 
ricevuto cibo e riparo. Ma gli Stati Maggiori 
Congiunti, che comunque non erano favorevoli a 
un'invasione, hanno fatto capire con chiarezza 
che avrebbero preferito la proposta di Clark 
rispetto a qualsiasi altra soluzione che avrebbe 
impegnato troppo pochi soldati americani per un 
obiettivo eccessivamente limitato. E i 
funzionari sapevano, secondo quanto raccontano, 
che Clinton aveva solo alcuni giorni per 
autorizzare i preparativi per un'invasione se 
voleva riuscire a convincere in qualche modo la 
NATO, un Pentagono riluttante e un Congresso 
scettico, e a mettere in atto tale intervento 
prima dell'inverno, dando ai profughi una 
possibilita' di tornare a casa. L'idea che la 
guerra avrebbe potuto trascinarsi fino alla 
primavera - con Milosevic duramente colpito, ma 
ancora in possesso della presa sul Kosovo, 
850.000 profughi ancora nei campi e l'alleanza 
NATO logorata o addirittura spaccata - "era 
troppo orribile per poterci solo pensare", ha 
detto un alto funzionario.

I britannici ritenevano che avrebbero avuto 
bisogno di ben quattro mesi - 120 giorni - per 
prepararsi a un'invasione, motivo per cui le 
lettere di richiamo erano quasi state spedite. 
Gli americani pensavano di avere bisogno di meno 
di 90 giorni - ma le loro scadenze sono state 
brutalmente dilazionate quando all'improvviso si 
sono resi conto che, senza significativi lavori 
per la costruzione di nuove strade, i grossi 
carri armati americani M1 Abrams, non sarebbero 
riusciti ad affrontare l'unica strada che 
collega l'Albania al Kosovo. Clark, le cui 
truppe stavano gia' ricostruendo la strada da 
Tirana a Kukes, in Albania, in preparazione per 
una possibile invasione, avrebbe voluto una 
decisione entro il 1 giugno, e pensava che 
comunque il 10 giugno fosse la scadenza 
assolutamente ultima se si voleva cominciare 
un'invasione in settembre. L'ambasciatore di 
Clinton presso la NATO, Alexander Vershbow, un 
ex funzionario del Consiglio di Sicurezza 
Nazionale, si era convinto per la prima volta di 
potere riuscire a rifilare una guerra di terra 
all'alleanza, nonostante la contrarieta' di 
Germania, Italia e Grecia, ma avrebbe avuto 
bisogno di cinque o sei giorni per riuscirci.

La riunione dei funzionari e' terminata con 
l'intesa comune sul fatto che dei tre obiettivi 
americani per la guerra - vittoria della NATO, 
mantenere l'alleanza coesa e conservare il 
coinvolgimento della Russia - la vittoria era 
diventato l'unico obiettivo fondamentale, anche 
a costo di spaccare l'alleanza e di interrompere 
la collaborazione della Russia con l'Occidente. 
Fino a quel momento non era pronto ancora alcun 
documento che Clinton dovesse firmare, ma 
l'unico piano sul tavolo era l'idea di Clark di 
un'invasione da parte di 175.000 soldati 
attraverso l'Albania, con l'appoggio di alcuni 
elicotteri d'assalto dall'Italia ed 
eventualmente un finto attacco dal nord, cioe' 
dall'Ungheria, per tenere impegnate le forze 
jugoslave. "Clinton doveva decidere in un paio 
di giorni", ha affermato un alto funzionario, 
riferendosi all'approvazione formale da parte 
del presidente degli intensi preparativi per una 
guerra di terra in settembre. "Non vi era modo 
di aggirare la questione".

La Casa Bianca ha annunciato che Clinton si 
sarebbe incontrato con gli Stati Maggiori 
Congiunti il 3 giugno. Poco prima, il 2 giugno, 
Berger aveva incontrato un gruppo di esperti e 
di analisti esterni, che avevano criticato 
l'amministrazione e insistito per 
l'autorizzazione a una guerra di terra. Del 
gruppo facevano parte l'ex ambasciatore alle 
Nazioni Unite, Jeane Kirkpatrick, due ex 
ambasciatori alla NATO, Robert Hunter e William 
Taft, un ex comandante della NATO, George 
Joulwan, un ex funzionario del Dipartimento di 
Stato, Helmut Sonnenfeldt, un funzionario della 
RAND Corp., Stephen Larrabee, e due ex 
funzionari del Consiglio di Sicurezza Nazionale, 
Ivo Daalder e Jeremy Rosner, che avevano aiutato 
Clinton a fare approvare dal Senato 
l'allargamento della NATO. Berger ha detto loro 
di essere convinto che la guerra aerea stava 
funzionando - un'opinione non universalmente 
condivisa - ma ha aggiunto, "vinceremo", 
indipendentemente da cosa sara' necessario fare 
per "fare uscire i serbi, fare entrare la NATO e 
fare tornare gli albanesi" in Kosovo. Vi erano 
"quattro fatti innegabili", ha detto Berger 
secondo gli appunti presi dai partecipanti. 
"Uno, vinceremo. Punto e a capo. Non c'e' 
alternativa. Due, vincere significa quello che 
noi abbiamo detto che significa. Tre, la 
campagna aerea sta avendo un forte impatto. 
Quattro, il presidente ha detto che non esclude 
alcuna opzione. Cosi' tornate al punto uno. 
Vinceremo". In una successiva discussione, 
Berger e' sceso maggiormente nei dettagli: "Non 
siamo ancora giunti alla conclusione che la 
campagna aerea non funziona. Ma ci stiamo 
preparando alla possibilita' essa non dia 
risultati". E ha aggiunto che la vittoria 
sarebbe stato ottenuta "all'interno della NATO o 
al di fuori di essa", aggiungendo: "Un consenso 
all'interno della NATO e' prezioso. Ma non e' 
una condizione sine qua non. Ci vogliamo muovere 
con la NATO, ma la NATO non puo' impedirci di 
muoverci". Ha inoltre aggiunto: "Ci sono 
svariate opzioni e svariate scadenze per come 
applicare la forza, e noi le stiamo prendendo in 
esame tutte". Ma nei fatti, affermano 
funzionari, c'era un sola opzione in quel 
momento, che gli Stati Maggiori avrebbero 
sostenuto: l'opzione di Clark, anche se il 
Pentagono e il segretario alla difesa William 
Cohen non hanno mai gradito per nulla l'idea di 
un'invasione di terra.

Un'autorizzazione di Clinton all'invio di decine 
di migliaia di altri soldati americani e della 
NATO per preparare un'invasione del Kosovo 
avrebbe avuto un impatto psicologico su 
Milosevic. L'ideale, secondo quanto speravano i 
funzionari, sarebbe stato che una tale decisione 
avesse portato Milosevic a capitolare senza il 
bisogno di inviare tali forze sul campo di 
battaglia. Clinton era gia' stato oggetto di 
gravi critiche da parte di funzionari NATO e 
perfino di un ex generale della NATO, Klaus 
Naumann, per quella che avevano definito la 
follia strategica di escludere un'invasione di 
terra fin dall'inizio della guerra. All'inizio 
della campagna dei bombardamenti, le previsioni 
degli americani e della NATO erano che Milosevic 
avrebbe ceduto dopo soli pochi giorni di 
bombardamenti essenzialmente simbolici. Le stime 
americane 
secondo cui egli non avrebbe resistito per oltre 12 giorni di una campagna 
aerea in escalation si sono rivelate ampiamente inaccurate.

Tre settimane dopo la guerra, affermano i funzionari, mentre Milosevic stava 
espellendo a decine di migliaia gli albanesi dal Kosovo, le capitali 
occidentali erano in preda a un vero e proprio panico, mentre tra Berger e il 
segretario di stato Madeleine Albright, la quale pensava che Milosevic avrebbe 
ceduto prima, si erano aperte nuove e forti tensioni. Blair si stava 
convincendo che un'opzione di terra fosse di importanza vitale e si e' recato 
presso la sede generale della NATO a meta' aprile, appena prima del delicato 
summit per il cinquantenario dell'alleanza, cosi' come subito dopo di esso, per 
discutere tale opzione. Anche se Clinton ha chiesto a Blair, in una 
conversazione telefonica, di cessare prima del summit le pressioni fatte 
pubblicamente per un'invasione di terra, i due si sono incontrati con alti 
funzionari nel corso della riunione, per discutere seriamente un'invasione e 
hanno approvato un l'avvio di una relativa attivita' di pianificazione, anche 
se non e' chiaro se il presidente degli Stati Maggiori Congiunti, Henry 
Shelton, ne fosse stato informato. A Clark e' stato dato dal segretario 
generale della NATO, Javer Solana, il tacito assenso a cominciare a discutere 
di opzioni di terra. E a quanto si dice, Clinton aveva deciso che una guerra di 
terra, se si fosse mai avuta, non sarebbe stato "uno sforzo a meta'", secondo 
quanto riferisce un funzionario.

A meta' maggio, Clark ha presentato il suo piano ed e' stato trattato 
scetticamente dal Pentagono, che rimaneva ancora contrario all'autorizzazione 
dell'uso degli elicotteri Apache sul Kosovo. Tuttavia, viste le pressioni di 
Blair su Clinton e l'evidente fallimento della guerra aerea nell'espellere 
Milosevic dal Kosovo, Solana e' stato autorizzato a commissionare a Clark un 
piano di invasione modificato e dettagliato. Clinton, contemporaneamente, era 
costretto a chiedere di nuovo a Blair, in termini energici, di cessare la 
campagna pubblica del suo governo per un'opzione di terra. Ma in un'occasione 
eloquente, il 18 maggio, Clinton si premurava di sottolineare che "tutte le 
opzioni sono sul tavolo" e, alcuni giorni dopo, Clark si trovava a Washington 
per esaminare il proprio piano con gli Stati Maggiori. Clinton ha approvato il 
dispiegamento di un numero di soldati NATO fino a 45.000 (ivi inclusi 7.500 
americani) in Macedonia, che avrebbero dovuto fare parte di una forza NATO di 
occupazione del Kosovo se Belgrado avesse capitolato, ma come il nucleo di una 
potenziale forza di invasione se non lo avesse fatto.

Esposto nuovamente alle pressioni dei britannici, Clinton ha inviato Cohen a 
una riunione segreta con le proprie controparti di Gran Bretagna, Germania, 
Francia e Italia. In occasione della riunione, tenutasi a Bonn il 27 maggio, i 
ministri hanno deciso che i loro governi avrebbero dovuto decidere se formare 
una forza di terra per un'invasione e avrebbero dovuto farlo in tempi 
decisamente rapidi.

I vari funzionari, Clark incluso, avevano reagito con enorme sfiducia e 
scettiscismo ai chiari segnali che provenivano a inizio maggio da Belgrado, 
secondo i quali Milosevic era interessato a discutere un accordo. Nonostante 
tutte le affermazioni della NATO secondo cui l'esercito di Milosevic veniva 
duramente colpito, i generali della NATO sapevano bene che l'esercito era ben 
trincerato e non sarebbe stato possibile espellerlo dal Kosovo con le bombe. 
Gli attacchi della NATO, quindi, stavano diventando sempre piu' mirati a 
esercitare una pressione politica su Milosevic e il suo regime, con 
bombardamenti su obiettivi civili come ponti, strade, impianti di riscaldamento 
e centrali elettriche. "Sapevamo che avrebbe dovuto capitolare, prima o poi", 
ha detto un alto funzionario occidentale. "L'unica domanda era quando lo 
avrebbe fatto. E nessuno si aspettava che avrebbe ceduto presto".

La mattina del 3 giugno, l'accettazione da parte di Milosevic delle condizioni 
della NATO ha letteralmente scioccato Washington e Clark, mentre altri hanno 
dimostrato grande scetticismo, convinti che Belgrado stesse tentando solamente 
di guadagnare tempo e mandare all'aria ogni idea di invasione. Ma alti 
funzionari jugoslavi hanno detto che il sostegno russo alle condizioni della 
NATO, la prospettiva di attacchi aerei ancora piu' intensi e, cosa forse piu' 
importante, la comprensione che un'invasione di terra era imminente, sono stati 
sufficienti per Milosevic, che era riuscito a ottenere alcuni importanti 
cambiamenti diplomatici nella posizione della NATO. Per lui, infatti, era molto 
importante che a sanzionare la pace e a controllare il Kosovo fossero le 
Nazioni Unite, e non la NATO; le truppe russe avrebbero fatto parte delle forze 
di pace e il Kosovo veniva riconosciuto come parte sovrana della Jugoslavia. 
"Per Milosevic era il momento migliore per accettare e salvarsi", ha detto un 
funzionario.

"Alla fine, il presidente ha concluso che non poteva rischiare di perdere la 
guerra, e si e' pertanto preparato a inviare forze di terra in Kosovo per 
assicurare una vittoria della NATO", ha affermato Daalder. "Ma perche' sia lui 
che i suoi consulenti sono arrivati a questa conclusione cosi' tardi, nel corso 
della guerra? Perche' non hanno preso in considerazione cosa avrebbe potuto 
accadere se Milosevic non avesse immediatamente ceduto quando i bombardamenti 
sono cominciati? In realta', perche' mai bisognerebbe dare il via a una guerra 
se non si e' preparati ad andare fino in fondo?". Daalder, che ora e' uno dei 
piu' importanti membri della Brookings Institution, sta lavorando a un libro 
sulla crisi del Kosovo insieme a Michael O'Hanlon.

Alcuni hanno sostenuto che il Kosovo ha dimostrato la possibilita' di vincere 
una guerra con la sola potenza aerea. Ma Daalder e numerosi funzionari 
sostengono che per la psicologia della decisione di Milosevic sia stata di 
importanza chiave la prospettiva, in ultimo 
reale, di una guerra di terra che egli non 
avrebbe potuto vincere e che avrebbe decimato il 
suo esercito e la sua polizia, due dei pilastri 
sui quali chiaramente si regge il suo regime. E 
uno dei grandi problemi della sicurezza dei 
Balcani, fino a quando Milosevic rimane al 
potere, dicono questi stessi funzionari, rimane 
proprio quello del suo esercito e della sua 
polizia, che egli e' stato in grado di ritirare 
quasi intatti dal Kosovo, proprio perche' la 
NATO non e' riuscita a distruggerli dall'aria.


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