Notizie Est #266 - Kosovo



"I Balcani" - http://www.ecn.org/est/balcani

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NOTIZIE EST #266 - KOSOVO
2 ottobre 1999
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L'ESODO DEI SERBI E DEI ROM DAL KOSOVO
di Andrea Ferrario

[FONTI: Per documentarsi sull'esodo di serbi e 
rom dal Kosovo, iniziato questa estate, e sugli 
atti di violenza compiuti contro queste due 
minoranze, sono disponibili in linea numerosi 
materiali. Innanzitutto, il lungo e 
dettagliatissimo rapporto OSCE-UNHCR, pubblicato 
il 6 settembre 
(http://www.osce.org/e/docs/presrel/pr66-
99.htm). Ci sono poi i dispacci della Reuters, 
in gran parte ancora archiviati nel sito "GO 
network" 
(http://www.go.com/Center/News?provider=REUTERS),
 e ricuperabili cercando con la parola-chiave 
"kosovo". Tra i quotidiani in inglese e 
francese, mantengono degli archivi completi 
degli articoli pubblicati sul Kosovo negli 
ultimi mesi "Le Monde" 
(http://www.lemonde.fr/actu/international/exyougo
/kosovo/index.html), "Liberation" 
(http://www.liberation.fr/kosovo/index.html), 
"Guardian & Observer" 
(http://www.newsunlimited.co.uk/Kosovo/) e, con 
un po' di pazienza nella ricerca, "The Times" 
(http://www.the-
times.co.uk/news/pages/Times/frontpage.html?999),
 "Washington Post". Molte informazioni anche sul 
sito di Wolfgang Plarre 
(http://www.dillingen.baynet.de/~wplarre/)]

La sospensione estiva della pubblicazione di 
"Notizie Est" e' coincisa con il periodo in cui 
i media di tutto il mondo hanno portato in primo 
piano il massiccio esodo serbo e rom dal Kosovo, 
nonche' le uccisioni quotidiane e i soprusi 
contro queste due minoranze. Non ci e' possibile 
ripercorrere qui per esteso la cronaca degli 
ultimi due mesi (riportata tuttavia in dettaglio 
da numerosissime fonti di informazione: 
rimandiamo all'elenco "minimo" di fonti Internet 
citate sopra), riportiamo pero' almeno la nostra 
interpretazione di questo capitolo fondamentale 
degli sviluppi successivi alla guerra del Kosovo.

Anche se il balletto delle cifre e' stato 
notevolmente contraddittorio, non vi e' alcun 
dubbio sulla sostanza delle dimensioni 
dell'esodo delle due minoranze principali del 
Kosovo, nonche' sulle violenze e i ricatti 
esercitati nei loro confronti. Quasi 150 
uccisioni in due mesi, 200 persone scomparse e 
probabilmente uccise, decine di migliaia di 
profughi che, indipendentemente dalle cifre 
esatte, rappresentano circa meta' della 
comunita' serba e due terzi di quella rom, senza 
contare che moltissimi sono i cosiddetti 
"sfollati interni", anch'essi profughi a tutti 
gli effetti. Oltre alle violenze piu' evidenti, 
una serie continua di minacce e soprusi 
quotidiani e la creazione di una situazione 
sociale ed economica senza prospettive, che 
insieme hanno alimentato e alimentano ancora 
direttamente l'esodo. Se la meta' circa di 
questi profughi e' fuggita di propria volonta' 
insieme alle forze serbe in ritirata, questo non 
vale per la seconda ondata e comunque 
relativamente alla prima resta il fatto che i 
famigliari di chi e' fuggito per timore di 
dovere rispondere dei propri crimini non possono 
essere considerati "colpevoli" e hanno il 
diritto di potere tornare come cittadini del 
Kosovo a tutti gli  effetti. L'esodo provocato 
da violenze e soprusi e' un fatto inaccettabile 
e da condannarsi totalmente, perche' costituisce 
un'odiosa forma di "punizione collettiva", e 
questo indipendentemente dalle condizioni e dai 
precedenti che hanno portato all'esodo. La 
giustificazione di quanto e' avvenuto con il 
fatto delle enormi violenze e distruzioni subite 
da piu' di un anno in maniera indiscriminata 
dalla comunita' albanese, e questo a opera di 
larghissimi settori, anche civili, della 
comunita' serba, puo' spiegare, ma non puo' 
legittimare in nessun modo questo esodo in larga 
parte forzato. La mancanza di una giustizia 
democratica di fronte ai crimini compiuti contro 
gli albanesi e' a nostro parere, come 
spiegheremo sotto, uno dei fattori piu' 
importanti che hanno creato le condizioni ideali 
per le violenze contro serbi e rom e il loro 
relativo esodo, ma la giustizia deve valere per 
tutti: non solo in questo caso soffrono decine 
di migliaia di persone che non hanno commesso 
crimini, ma anche chi ha commesso crimini ha 
comunque diritto a essere giudicato 
democraticamente nel proprio paese. Senza una 
giustizia per tutti non e' pensabile un futuro 
democratico per il Kosovo, ne' tale futuro e' 
pensabile lasciando aperta la questione di piu' 
di centomila profughi serbi e rom. Purtroppo, 
ne' nella comunita' albanese (a livello di 
rappresentanti politici e di popolazione, con 
isolate eccezioni), ne' tantomeno 
nell'amministrazione ONU/NATO e nel regime 
serbo, che della catastrofe del Kosovo e' 
all'origine, sembra esservi in questo momento la 
volonta' di un'inversione immediata di tale 
esodo.

Altrettanto grave dell'avallare questo esodo, o 
del legittimarlo, e' pero' tracciare un segno di 
uguale, magari anche solo qualitativo e non 
quantitativo, tra la "pulizia etnica" subita 
dagli albanesi e la "pulizia etnica" subita da 
serbi e rom. Si tratta di un'equazione che e' 
stata ampiamente fatta dai media e nell'ambito 
della sinistra, che e' quello che piu' qui ci 
interessa. Non solo questa posizione cancella 
con un sol colpo una realta' dei fatti ben 
precisa e facilmente ricostruibile, ma impedisce 
anche qualsiasi analisi concreta e di 
conseguenza l'individuazione di vie d'uscita 
valide. Aderendovi, la sinistra si chiude 
volontariamente gli occhi di fronte alla realta' 
attuale e alla storia che la ha preceduta, 
cacciandosi sempre piu' in un vicolo cieco verso 
il quale si era gia' indirizzata con la scelta, 
qui in Italia, di mobilitarsi tardivamente, solo 
contro la NATO e non contemporaneamente a 
sostegno del popolo del Kosovo, a parte 
rarissime eccezioni. In primo luogo, se abbiamo 
detto che la situazione e le violenze passate 
non legittimano le violenze contro i serbi e i 
rom, questo non vuol dire che si possa 
prescindere da tale situazione e violenze, o 
minimizzarle. E qui i fatti sono pesantissimi: 
la popolazione albanese del Kosovo e' oggetto da 
decenni, in quanto albanese, di una repressione 
brutale e sistematica messa in atto in maniera 
organizzata e scrupolosa dal governo di 
Belgrado. Quest'ultimo ha cancellato ogni forma 
di autonomia politica, ha licenziato in massa 
decine di migliaia di lavoratori perche' 
albanesi, ha incarcerato centinaia di albanesi 
per motivi politici, ne ha costretti decine di 
migliaia di altri a emigrare; a partire dal 
febbraio dell'anno scorso ha scatenato una 
guerra aperta contro gli albanesi, culminata con 
le distruzioni e le espulsioni di portata enorme 
di questa primavera. Per quanto si possano 
criticare aspramente le scelte e i metodi di 
lotta della leadership albanese, non si e' mai 
trattato di uno scontro tra "opposti 
nazionalismi" in lotta semplicemente per 
conquistare un'egenomia, ma della ribellione a 
un'oppressione statale organizzata e brutale. Il 
movimento di liberazione albanese, in nessuna 
delle sue forme, non ha mai progettato, 
predicato o messo in atto negli ultimi decenni 
forme di oppressione o di violenza nazionale: 
anche nel caos totale delle sanguinose e 
distruttrici offensive serbe dell'anno scorso vi 
sono stati solo episodi isolati, che si contano 
su meno delle dita di una mano, e questo al 
culmine della violenza esercitata contro gli 
albanesi. Se quanto citato sopra non legittima 
in alcun modo le attuali violenze contro serbi e 
rom, le spiega e le mette in un contesto reale 
sulla cui base e' possibile formulare una presa 
di posizione politica che ne consenta il 
superamento e l'individuazione di effettive 
alternative democratiche. Va detto per 
completezza che non solo non e' possibile 
tracciare una sommaria equazione qualitativa tra 
le due "pulizie etniche" del Kosovo, ma e' anche 
assolutamente scorretto fare un'equazione, per 
fare solo un esempio citato di frequente, tra 
quanto sta avvenendo in Kosovo ora e la pulizia 
etnica messa in atto nel 1995 dalla Croazia di 
Tudjman contro la popolazione serba della 
Krajina. In quell'occasione, a differenza di 
oggi, si e' trattato di un'operazione 
prepianificata nei dettagli, messa in atto da un 
regime che sull'oppressione nazionale dei serbi 
trovava una delle sue basi e che, in quanto 
regime, non era mai stato vittima di alcuna 
oppressione.

Non e' possibile trascendere nemmeno dalla 
situazione attuale e ignorare che le recenti 
violenze, e il relativo esodo, messe in atto 
soprattutto nel mese di luglio e della prima 
meta' di agosto, sono avvenute immediatamente 
dopo una violenza immane compiuta contro 
l'intera popolazione albanese, purtroppo con una 
larghissima partecipazione della comunita' 
civile serba locale (questo fatto non va 
ignorato). Il risultato e' che oggi vi sono 
centinaia di migliaia di senza tetto (secondo 
l'UNHCR il 75% delle abitazioni non e' 
utilizzabile) che, in quanto albanesi, si sono 
visti radere al suolo la casa, in moltissimi 
casi con la collaborazione di concittadini 
serbi. Alcune delle maggiori citta' del Kosovo, 
come Pec e Djakovica, sono in massima parte rase 
al suolo o inabitabili. Lo stesso vale per la 
parte albanese di Kosovska Mitrovica e per 
decine e centinaia di altri centri minori. La 
distruzione dell'economia, e quindi della 
possibilita' di potere condurre la propria vita 
in autonomia con il proprio lavoro, e' anch'essa 
totale, dopo 17 mesi di guerra, e questo accade 
dopo un decennio in cui il regime serbo ha 
requisito l'intera economia del paese a favore 
della minoranza serba, in termini di posti di 
lavoro, di abitazioni, di strutture sociali e di 
risorse finanziarie. Inoltre, pressoche' ogni 
giorno cittadini albanesi del Kosovo si trovano 
a dovere affrontare il ritrovamento di corpi di 
propri famigliari in fosse comuni. Migliaia di 
altri albanesi del Kosovo hanno famigliari che 
sono ancora ingiustamente incarcerati e detenuti 
in condizioni inumane dopo essere stati 
deportati in Serbia, altre migliaia non sanno 
nulla dei destini dei loro parenti e amici e si 
tratta di persone a cui nessuno sta dando anche 
solo una prospettiva di risposta. Sono poi 
ancora vivissime nella memoria le immagini delle 
forze serbe e dei loro collaboratori che hanno 
abbandonato il Kosovo compiendo ulteriori stragi 
e distruzioni (a Pec, sotto gli occhi delle 
forze italiane, che hanno appositamente atteso 
un giorno prima di entrare nella citta'). A 
Kosovska Mitrovica le forze francesi, in 
collaborazione con la popolazione serba e 
soprattutto con i suoi piu' dubbi esponenti, 
hanno messo in atto una divisione "etnica" della 
citta', che lascia agli albanesi la parte 
semidistrutta e consegna ai serbi locali quella 
intatta e dotata di tutte le strutture sociali, 
appositamente fatte costruite in quella zona dal 
regime serbo. Questi, lo ripetiamo, sono gli 
esiti logici di un'oppressione nazionale 
organizzata e sistematica, non di uno "scontro 
tra opposti nazionalismi".

Non si puo' prescindere nemmeno dagli attuali 
sviluppi politici e militari in Kosovo e attorno 
al Kosovo. La soluzione del protettorato e' uno 
dei fattori principali tra quelli che creano il 
clima di quanto sta accadendo. La sorte del 
Kosovo e' in mano a soggetti estranei la cui 
ultima preoccupazione sono gli interessi dei 
kosovari. Il problema piu' scottante e' quello 
della giustizia: a tre mesi dall'inizio 
dell'occupazione non e' stato avviato alcun 
processo che lasci intravvedere l'individuazione 
dei colpevoli delle stragi e delle distruzioni, 
una cosa giustamente chiesta con insistenza 
dalla popolazione albanese (sono state invece 
arrestate centinaia di persone, per la quasi 
totalita' di nazionalita' albanese, per reati 
commessi dopo l'inizio dell'occupazione 
ONU/NATO). Nelle ultime settimane sono state 
arrestate alcune persone per crimini di guerra, 
ma il loro nome viene tenuto segreto, cosi' come 
le relative accuse. Queste persone (pochissime) 
verranno inoltre processate all'estero, da un 
tribunale che risponde agli interessi delle 
cancellerie occidentali. Tutti fatti che non 
servono certo a placare il giustificato 
desiderio di giustizia. Non esiste inoltre alcun 
criterio preciso in merito alle norme di legge 
che vanno applicate in Kosovo: si ricorre (in 
maniera selettiva e arbitraria) addirittura alle 
leggi dei paesi che occupano militarmente le 
varie zone del Kosovo! In questo contesto, 
scelte come quelle di Kouchner di nominare in 
questo vuoto legale e con tale ritardo, una 
dozzina di giudici su "base etnica" potrebbero 
suonare comiche, se non fossero tragiche: la 
"base etnica" non esiste, visto che nessun serbo 
nelle attuali condizioni potrebbe accettare un 
tale incarico, per non parlare dei rom da sempre 
emarginati socialmente, ma anche i giudici 
albanesi non sono in alcun modo rappresentanti 
della popolazione albanese, che non ha avuto 
alcuna voce nella loro nomina. E questo e' solo 
un esempio tra mille possibili. Della 
"ricostruzione" non si e' parlato nemmeno 
lontanamente in termini concreti e per gli 
abitanti del Kosovo non vi e' alcuna prospettiva 
a breve termine di tornare ad attivita' 
lavorative anche solo minimamente normali. Si 
menzionano solo di tanto in tanto cifre 
faraoniche, che lasciano temere altrettanto 
faraoniche "cattedrali nel deserto", di cui il 
Kosovo ha gia' ampie esperienze, mentre l'unica 
realta' e' quella di una progressiva 
colonizzazione del paese da parte delle piu' 
svariate ONG miliardarie e organizzazioni piu' o 
meno umanitarie o parastatali, che stanno gia' 
creando due categorie di cittadini kosovari, una 
limitatissima, ben pagata e con accesso a tutte 
le risorse disponibili, un'altra nella miseria 
piu' totale, e qui e' forse l'unico caso in cui 
ci si trova in una situazione quasi 
"multietnica", nel senso che la cosa vale per 
tutti i gruppi nazionali, ancora una volta, 
tuttavia, rom esclusi. L'altro fattore decisivo 
per la situazione attuale, anch'esso di diretta 
responsabilita' degli occupanti dell'ONU e della 
NATO, e' quello dell'assoluta incertezza del 
futuro del Kosovo. E' un dato di fatto che il 
Kosovo in questo momento e' al di fuori della 
sovranita' jugoslava, ma non e' per nulla chiaro 
quale ne sara' la condizione futura, visto che 
gli accordi di "pace" stabiliscono a chiare 
lettere una permanenza del Kosovo nella 
Jugoslavia. E' chiaro che tutto dipendera' dai 
rapporti contingenti tra i paesi occupanti in 
ogni dato momento, dai loro folli progetti di 
"architetture geopolitiche" e dal loro riuscire 
a trovare forze interne o esterne che forniscano 
garanzie sufficienti alla incolumita' dei loro 
soldati e a una stabilita' che non provochi 
ulteriori frizioni nei gia' difficili rapporti 
tra gli "alleati" occidentali. La disponibilita' 
delle leadership albanesi, moderate o "radicali" 
che siano, a fare da garanti per tali progetti 
e' un fatto gravissimo, cosi' come lo e' il 
continuo flirtare (a suon di bigliettoni) delle 
cancellerie occidentali con un'opposizione serba 
che rispetto al Kosovo non nutre certo progetti 
molto migliori di quelli di Milosevic (il 
generale Perisic, esponente dell'opposizione e 
vezzeggiatissimo dall'occidente, gia' noto per 
avere distrutto Mostar a cannonate, ha 
rimproverato a Milosevic di non avergli 
consentito di dichiarare lo stato di emergenza 
in Kosovo gia' nel 1997, in modo da consentire 
all'esercito di "controllare la situazione e il 
territorio" ["Glas Javnosti", 11 settembre 
1999], secondo alcuni suoi colleghi, in privato 
Perisic avrebbe dichiarato che lo stato di 
emergenza sarebbe servito a "ripulire 
chimicamente il Kosovo dagli schipetari"... 
["Vreme", 4 settembre 1999]). Mentre si sono 
spese energie enormi per le trattative sul 
disarmo dell'UCK e la sua trasformazione nei 
fantomatici "Kosovo Protection Corps", per 
piazzare carri armati a difesa di qualche 
quartiere di serbi e rom, nulla viene fatto per 
giungere a una soluzione chiara e per soddisfare 
la domanda legittima di un referendum entro 
tempi ragionevoli, con tutte le debite garanzie 
del 
caso, per stabilire un futuro del Kosovo che puo' essere l'unico legittimo e in 
grado di aprire una strada per la pace, perche' deciso dal suo popolo.
 
Chi sono i responsabili della situazione che si e' venuta a creare? La 
responsabilita' del tandem ONU/NATO e' enorme ed evidente. A quanto abbiamo 
illustrato sopra, va aggiunto anche che l'esodo dei serbi, dalla prospettiva 
degli occupanti, elimina un incomodo fattore di complicazione e, allo stesso 
tempo, costituisce un buon investimento per il futuro: all'occasione i profughi 
serbi (quelli rom, secondo i loro cinici criteri, non possono avere un "valore" 
sufficiente) potranno servire come utile arma di ricatto per ogni progetto 
politico e successivo voltafaccia. Del regime di Belgrado non si puo' dire 
altro che di tutto quello che e' avvenuto e' l'origine prima, constatando che, 
in Kosovo come altrove in passato, sta ora dando prova di incredibile coerenza 
nell'abbandonare ai propri destini la manovalanza utilizzata per i propri 
disegni criminali, cosi' come le persone che hanno l'unica colpa di essere 
famigliari o vicini di questa manovalanza, ritenuti evidentemente utili solo 
quando si tratta di ampliare il proprio bacino di elettori. Da parte albanese 
non viene fatto nulla per creare le condizioni minime perche' tale esodo non si 
verifichi - le dichiarazioni fatte sono in questo caso parole vuote e nulla 
piu'. Solo una chiara e attiva rivendicazione di condizioni democratiche in 
Kosovo per gli albanesi e per gli altri abitanti del Kosovo, puo' costituire la 
base per un futuro chiaro. Se la leadership albanese non e' in grado di 
promuoverle, non e' solo perche' altri interessi la guidano, ma e' anche una 
conseguenza del rifiuto di aprire gia' in passato ogni dibattito politico, come 
avevamo osservato a piu' riprese nel corso della guerra del Kosovo. Questo vale 
ora soprattutto per l'UCK, ma non bisogna dimenticare che anche i moderati 
della LDK hanno la gravissima responsabilita' di avere soffocato in passato 
ogni autentico dibattito politico sotto la cappa oppressiva del sistema 
politico autoritario messo in atto per anni da Rugova e i suoi, che non a caso 
avevano come proprio obiettivo la creazione di un protettorato internazionale, 
ONU o NATO a seconda della situazione contingente. L'UCK e la LDK, insieme, 
hanno sancito a Rambouillet la consegna dei destini della lotta del loro popolo 
direttamente nelle mani dei paesi della NATO, con tutte le relative 
conseguenze. Ora la dirigenza UCK persiste su questa linea: nelle persone in 
particolare di Thaci e Ceku, e' impegnata in un disarmo che vuol dire rinuncia 
a ogni difesa autonoma in una situazione del Kosovo di cui non e' ancora 
possibile vedere gli esiti, nonche' di occupazione militare e amministrativa: 
una decisione che esprime la rinuncia alla salvaguardia dei diritti del proprio 
popolo. Ancora una volta, le (timide) dichiarazioni in senso contrario, 
rimangono parole vuote. Non e' un caso che i principali promotori di questa 
operazione siano un esponente dell'UCK che e' asceso ai massimi vertici di 
quest'ultima solo alla vigilia di Rambouillet e grazie alla sua conciliabilita' 
con l'occidente, e un suo generale che alla lotta di liberazione non ha nemmeno 
partecipato, entrando sulla scena solo svariate settimane dopo che i 
bombardamenti NATO erano cominciati, per non parlare poi dei suoi trascorsi di 
esecutore della pulizia etnica di Tudjman in Croazia, sufficienti a 
squalificarlo in toto.
 
Per completare il quadro generale, va detto ancora che l'esodo di serbi e rom 
dal Kosovo non puo' essere definito come un'operazione di "pulizia etnica" 
sistematica. I fatti ampiamente documentati (rimando ai documenti e ai 
materiali citati sopra) dipingono chiaramente un quadro composto da diffuse 
azioni della criminalita' comune, di una larga parte di esodo volontario di 
persone macchiatesi di crimini (e di loro innocenti famigliari, non fuggiti, 
tuttavia, "per colpa degli albanesi") e solo in parte di azioni mirate di 
frange sparse, presumibilmente composte da membri o ex membri dell'UCK. Per 
completare il quadro, va anche detto che sono ancora numerosi, ma perlopiu' 
taciuti dai grandi media, gli atti di violenza (uccisioni, aggressioni armate e 
minacce) nei confronti di albanesi, in particolare nelle zone di Gnjilane e 
Kosovska Mitrovica. Anche gli atti di "criminalita' comune" contro i serbi e i 
rom, recano pero' un chiaro segno di discriminazione etnica. Non si puo' poi 
ignorare che in Kosovo, oltre alle violenze continue, e' in atto ormai 
un'emarginazione sociale della popolazione serba e rom in quanto serba e rom, 
che alla singola persona che subisce una violenza o un sopruso poco importa se 
chi la commette e' un criminale o un soldato in divisa. Le reazioni pressoche' 
nulle e l'interesse per tutt'altre faccende da parte della leadership albanese 
parlano come minimo di una situazione coscientemente e colpevolmente avallata 
per calcoli cinici e meschini.

Considerati tutti i precedenti e la situazione attuale, esposti sopra, la 
scelta di fare un'equazione tra le violenze passate contro gli albanesi e 
quelle odierne contro serbi e rom, costituisce uno stravolgimento dei fatti che 
porta alla falsa conclusione degli "opposti nazionalismi tutti uguali". Questa 
conclusione, in quanto astratta dalla situazione reale, implica necessariamente 
l'invocazione di istanze superiori che "mettano ordine" (organizzazioni 
internazionali di ogni tipo, o addirittura il governo jugoslavo) o il ripararsi 
dietro reticenti appelli alla conciliazione o a un antimperialismo vuoto di 
ogni contenuto effettivo. Le uniche condizioni di base per la liberazione del 
popolo del Kosovo, albanesi, serbi, rom e altre nazionalita', sono la 
possibilita' di esprimersi democraticamente in merito ai propri destini, quindi 
di potere svolgere entro tempi ragionevoli un referendum, di eleggere quanto 
prima i propri rappresentanti, di potere avere subito un sistema giudiziario 
equo e frutto dell'espressione democratica, di potersi difendere in prima 
persona dalle pesanti minacce esterne ancora in atto, di potere ricostruire in 
autonomia il proprio paese e potersi sostenere con il proprio lavoro, tutti 
diritti elementari che il protettorato ONU/NATO sta sistematicamente violando. 
Tacere su questi punti o magari usare la giusta denuncia contro le violenze 
subite da serbi e rom come paravento per negare 
ogni solidarieta' con i diritti degli albanesi 
del Kosovo, o ancor peggio fare un'equazione tra 
il movimento di liberazione albanese e gli 
aguzzini di Belgrado, e' un errore che nei fatti 
non fa nulla nemmeno per i serbi e i rom del 
Kosovo. Nel caso della sinistra italiana cio' e' 
tanto piu' grave non solo per la diretta 
vicinanza geografica, che rende piu' facile 
l'opera di conoscenza e di solidarieta', ma 
anche per il continuo ruolo nefando avuto 
dall'Italia prima, durante e dopo la guerra del 
Kosovo, in particolare ora nella missione 
ONU/NATO che sta negando ai kosovari, tutti, 
ogni diritto.


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