Sudan: braccio di ferro tra Pechino e Washington



Sudan: braccio di ferro tra Pechino e Washington

Nei giorni scorsi, le minacce del Presidente americano George W. Bush, pronto a inasprire le sanzioni contro il Sudan; minacce, alle quali è seguita la dura opposizione di Pechino, che farà di tutto per proteggere e sostenere il paese amico. All'ombra di una delle maggiori crisi umanitarie del continente africano – di fronte all'incapacità della comunità internazionale di intervenire per porre fine al massacro – si gioca una battaglia politico-diplomatico senza esclusione di colpi. Una battaglia emblematica, che simboleggia il rinnovato interesse, da parte delle grandi potenze, per l'Africa.

Sergio Porcu

Equilibri.net (11 giugno 2007)

La dura presa di posizione di Bush: nuove sanzioni economiche

Di fronte al precipitare della situazione umanitaria in Darfur la Casa Bianca ha optato per la linea dura, predisponendo una serie di sanzioni di natura economica, con l'intenzione di colpire il governo di Khartoun. Inoltre, gli Stati Uniti sono pronti a chiedere una nuova risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, al fine di ostacolare l'attività del governo sudanese, ostile all'invio di truppe internazionali, che vadano ad affiancare la missione Amis dell'Unione Africana.
E' del 29 maggio scorso, la decisione di Bush di inasprire le sanzioni di natura economica contro il Sudan: a 30 società del paese africano, controllate – più o meno direttamente – dal governo sudanese, è stata interdetto qualsiasi tipo di operazione commerciale sul territorio americano. Misure analoghe sono state intraprese contro singoli individui – tre secondo fonti vicine al Dipartimento del Tesoro di Washington – ritenuti in qualche modo implicati nel genocidio; si tratterebbe di due alti funzionari del governo sudanese e di un leader dei ribelli.Gli analisti ritengono che la mossa di Bush sia un ulteriore tentativo per esercitare pressioni sul governo sudanese affinché accetti l'invio di una forza internazionale di pace nel Darfur, con lo scopo primario di creare una zona cuscinetto tra le fazioni in guerra.

La reazione di Khartoun

Non si è fatta attendere la replica del Presidente sudanese, Omar el-Béchir, che ha tuonato contro l'atteggiamento della Casa Bianca, che metterebbe in ginocchio l'economia sudanese, senza conseguire alcun risultato sul fronte umanitario. L'uomo forte di Khartoun si è spinto oltre, accusando Bush di voler distogliere l'attenzione della comunità internazionale dai crimini commessi – e tuttora in atto – in Afganistan, così come in Iraq e in Palestina. Secondo el-Béchir, le sanzioni causeranno grossi problemi a migliaia di famiglie sudanesi, con in più il rischio di determinare un aggravarsi dell'emergenza sicurezza e, di conseguenza, lo scoppio di diverse emergenze umanitarie.

Il supporto dell'alleato cinese

Più si raffreddano i rapporti con Washington, maggiore diventa la sintonia tra Khartoun e Pechino; la Cina, infatti, è il principale partner commerciale del Sudan, e insieme alla Russia, è stata spesso accusata di vendere – infrangendo quindi l'embargo – armi al governo sudanese.Ultimamente però, la strategia del paese asiatico sembra, apparentemente, mutata: secondo le ultime dichiarazioni rilasciare dall'inviato speciale cinese in Sudan, il governo di Pechino starebbe cercando di persuadere il Presidente Omar el-Béchir ad accettare l'invio di 20mila caschi blu delle Nazioni Unite. Tuttavia sono troppi gli interessi economici in gioco, per spingere i cinesi a non esercitare il diritto di veto al Palazzo di Vetro di New York.Di fronte a una maggiore richiesta di severità, avanzata con insistenza dal Presidente Bush, nel corso del vertice del G8 in Germania, ci si aspetta che la posizione dell'alleato cinese, nei confronti del Sudan, torni ad essere quella precedente, in cui si privilegiano i rapporti di natura economica, senza un serio impegno per la risoluzione del conflitto in Darfur. O comunque un approccio che potrebbe essere considerato più flessibile e pronto, quindi, a modificarsi, a secondo dell'evolversi della situazione. Con l'aggravarsi all'emergenza Darfur, i rapporti tra la potenza asiatica e l'alleato africano si sono intensificati notevolmente. In un certo senso, Pechino vuole sottolineare, con una strategia di questo tipo – peraltro adottata con tutti gli Stati africani (tanto da potersi definire la strategia africana di Pechino) – che prima vengono gli affari, gli interessi economici e commerciali, mentre le questioni interne, possono essere seguite da Pechino, previo parere favorevole del Paese considerato, solo marginalmente e quasi per saldare ancora di più la partnership commerciale. Negli ultimi tempi ci sono stati diversi incontri, a vari livelli, tra le autorità politiche sudanesi e cinesi, volti a intensificare i rapporti commerciali tra i due Paesi. Di fronte a un atteggiamento intransigente di questo tipo, alcuni politici americani si sono spinti fino ad ipotizzare il boicotaggio delle Olimpiadi del 2008 che avranno luogo in Cina. E' in atto un vero e proprio braccio di ferro tra Washington, supportata da Londra, e Pechino, che trova dalla propria parte il facile sostegno della Russia: da una parte, la Casa Bianca che chiede l'inasprimento delle sanzioni di natura economica, quale unica arma per costringere il Sudan a cedere all'invio di truppe; dall'altra Pechino che assume un atteggiamento ondivago, dichiarandosi un giorno favorevole ad un tentativo di soluzione mediata, che possa, almeno, limitare i danni, e poco dopo, dichiarandosi disinteressata alla crisi, relegata quasi a questione di politica interna del Sudan,

L'immobilismo delle Nazioni Unite

Proprio la Cina rappresenta il più grosso ostacolo da superare e mette in difficoltà l'operato delle Nazioni Unite, minacciando e ponendo il veto su qualsiasi decisione che sia considerata a danno del Sudan. La scorsa settimana, secondo quanto riferito da organi di stampa sudanesi, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, si sarebbe detto disponibile – nel corso di una telefonata con il Presidente del Sudan – a visitare il Paese quanto prima, quasi a voler dimostrare l'interesse dell'organizzazione internazionale per l'intricata guerra civile in atto in Darfur. Sembra alquanto complicato però passare dalle dichiarazioni d'intenti all'azione: alcuna missione può essere autorizzata se uno dei paesi permanenti esercita, secondo quanto previsto dalla Carta ONU, il diritto di veto. E Russia e Cina, più volte, hanno fermamente dichiarato di essere disposte a fare di tutto per evitare che decisioni di questo tipo, possano indebolire il loro rapporto con lo Stato africano.Secondo le autorità cinesi, inviare i Caschi blu delle Nazioni Unite senza il consenso del Sudan significherebbe ledere l'integrità territoriale di un paese sovrano, e potrebbe portare a delle conseguenze imprevedibili.

Conclusioni

Sembra essere in atto un braccio di ferro diplomatico tra Washington da un lato, certo del sostegno di Londra, e Pechino, che confida nella complicità con Mosca, sulla questione della crisi politico-militare ed umanitaria in Darfur. G. W. Bush, a fine maggio e anche nel corso del G8 in Germania, ha tuonato contro il governo di Khartoun, che non intende in alcun modo cedere alle pressioni esercitate nei suoi confronti, per accettare una forza internazionale di pace, a comando ONU, che sostenga quella già presente sul territorio, dell'Unione Africana. La linea dura adottata dagli Stati Uniti, favorevoli all'inasprimento delle sanzioni di tipo economico contro il Sudan, non sembra, al momento aver prodotto i risultati sperati, con in più la conseguenza di aver irritato la Cina, che intende esercitare il diritto di veto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, impedendo di fatto ogni iniziativa multilaterale. Intanto, la guerra civile in atto in Darfur continua a inasprirsi, con scontri sempre più violenti, senza che la comunità internazionale possa in alcun modo intervenire. Il rischio è che dietro gli scontri tra diplomazie, si perda l'obiettivo principale. Si attendono le prossime mosse da parte dei diversi contendenti: la Casa Bianca parla al Sudan, ma lancia messaggi chiari a Pechino sul suo ruolo internazionale e, soprattutto, in Africa.