Articolo Ronchey: nuovi commenti



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Chiama l'Africa News 10 dicembre 2003

nuovi contributi al dibattito suscitato dall'articolo di Alberto Ronchey
pubblicato sul Corriere della Sera di mercoledì 3 dicembre

E' possibile leggere l'articolo e il nostro primo commento alla pagina
http://www.cipsi.it/africa/dettagli.asp?ID=571&tipo=1
<http://www.cipsi.it/africa/dettagli.asp?ID=571&tipo=1>

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Sono rimasto spiacevolmente sorpreso dall'articolo di Alberto Ronchey,
giornalista che in altre occasioni ho molto stimato, seppure talora con
qualche dissenso.Nel vostro commento ho ritrovato le stesse obiezioni
che le parole dell'articolo mi avevano suscitato.Rimango ancora
abbastanza perplesso sulle intenzioni o sui motivi che hanno portato un
giornalista come Ronchey a trattare un argomento così complesso e
doloroso con una superficialità che non avevo mai riscontrato in
lui.Saluti di buon lavoro.
Giulio Biagi

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Potrà sembrarvi molto riduttivo, forse un po' patetico, ma l'unico mio
modo per commentare quell'articolo è non dire nulla. Non per mancanza di
argomentazioni, soprattutto in un periodo in cui tutto sembra andare
davvero a rotoli. Bisogna trovare i modi per far aprire gli occhi.
Stiamo involvendo inesorabilmente...
Scusate la brevità.
Elisa

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Grazie per l'opportunità di diffondere i pensieri di tutti noi.
Condivido il pensiero di tutti coloro che toccando con mano la triste
realtà dei popoli oppressi è spinto verso i principi della solidarietà
internazionale, della creatività. Purtroppo ancora le parole mantengono
il primo posto rispetto ai fatti ma questo è il grande problema
dell'occidente e dei paesi industrializzati che lavorano inesorabilmente
ai loro bisogni di potere materiale e di potere intellettuale rispetto
alla grande massa umana ancora in preda alla realizzazione dei propri
bisogni primari, tralasciando purtroppo le immense soggettive
potenzialità. Tantissime persone nel mondo sono costrette a pensare a
come trovare il cibo per oggi, mentre altre sono costrette a pensare a
cosa comprare oggi. I grandi hanno ben chiaro questo meccanismo
diabolico e intriso di violenza ma non ci si può arrendere davanti a
questa triste realtà perchè solo il coraggio di tutti coloro che credono
fortemente nella trasformazione può rappresentare la spinta di un
movimento all'insegna del quale c'è il motto : BASTA CON LE MENZOGNE che
è il motto di quella gente che sta morendo per fame e malattie ancora
incurabili ma che nessuno può sostituire. Nessuno può sviluppare
l'Africa meglio degli stessi africani che sono i custodi, i portatori e
i produttori di legami di senso e che smentiscono con forza le diagnosi
degli esperti della povertà.
Patrizia Giustini

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Anche io condivido le argomentazioni di Paola Luzzi all'articolo di
Alberto Ronchey. Vorrei precisare che leggo alcune volte il Corriere
della Sera e apprezzo i suoi articoli. Non voglio convincere il Sig.
Ronchey a desistere dalle sue idee anche se in lieve odore di razzismo.
Solo due parole: se metà del nostro pianeta vive in condizioni precarie,
e l'altra metà nel consumismo, i popoli africani ai quali abbiamo
imposto la cultura e lo sfruttamento dei paesi europei hanno diritto ad
una vita a misura di uomo e il loro grido sarà sempre più forte.
Caro Ronchey, guardiamo nel nostro piatto, mia madre percepisce 500 euro
di pensione INPS . Lei appartiene ad una categoria protetta che
sicuramente nella sua dorata vecchiaia non le riserverà una umiliazione
simile.
Laura

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Condivido in pieno l'intervento di Giorgio e vorrei solo aggiungere che
mi sembrano 2 i versanti sui quali muoversi per allargare conoscenza,
sensibilità e coscienza: quello culturale e quello economico. Per il
primo ciascun gruppo di Chiama l'Africa o di ogni altra associazione
formale o informale che abbia a cuore l'Africa (ma anche il resto del
mondo!) dovrebbe attivarsi fortemente, in sinergia con le altre risorse
del territorio, per entrare nelle scuole di ogni livello, negli oratori,
nelle biblioteche, e portare momenti di conoscenza e confronto,
soprattutto con testimonianze dirette di africani ed africane presenti.
Per il versante economico, credo che la diffusione sia culturale che
commerciale del commercio equo e solidale possa essere una forte spinta
per un cambiamento dei consumi e quindi delle modalità produttive in
un'economia senza regole se non quelle dell'interesse personale dei
potenti. Ma anche qui, il primo passo è sempre la diffusione di una
cultura alternativa, che parli di giustizia e non di assistenzialismo,
di dignità e non di paternalismo o di carità più o meno pelosa.
Giuliana Nessi - gruppo Chiama l'Africa di Bergamo




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