L'Africa di Machiavelli su WarNews



L'Africa di Machiavelli

http://www.warnews.it/index.cgi?action=viewnews&id=2248

06/11/03 di <mailto:fam.fago at libero.it>Matteo <mailto:fam.fago at libero.it>Fagotto

<http://www.warnews.it/index.cgi?action=topics&viewcat=editoriali>
editoriali
Guardando l'attuale situazione politica africana, la prima considerazione che mi viene da fare è che numerosi leader africani devono aver letto "Il principe" di Niccolò Machiavelli e devono essersi ispirati alle sue teorie nella gestione del potere.

L'Africa contemporanea assomiglia infatti in maniera impressionante all'Italia rinascimentale: uomini venuti dal nulla, con spesso alle spalle carriere più o meno brillanti nelle Forze Armate, conquistano il potere in paesi dimenticati da Dio, quasi sempre attraverso golpe militari o manovre politiche comunque poco limpide. Una volta giunti al potere, governano lo stato con pugno di ferro, attenti a non lasciare spazio allo sviluppo di una società civile e alle opinioni dell'opposizione.

Spesso e volentieri però i loro sogni di gloria non si fermano qui, spingendo questi sedicenti capi di stato ad impegnarsi in "guerre incrociate" condotte molto spesso per procura attraverso gruppi ribelli; come i signori cinquecenteschi organizzavano incessantemente complotti e attentati contro i loro nemici, i dittatori africani contemporanei sono sempre pronti a sostenere i vari gruppi ribelli che nei paesi confinanti muovono guerra all'establishment locale per i motivi più svariati, economici, etnici o religiosi. Con l'unico risultato di spingere le altre nazioni ad adottare lo stesso metodo nei loro confronti.

Che cosa spingerà questi novelli Orsini, Sforza e Medici a imbarcarsi in queste imprese logoranti e fallimentari? Il sogno di creare delle potenze regionali africane simili agli imperi antichi? E così, da ormai 50 anni a questa parte, gli stati africani si logorano in queste "guerre per procura" che hanno come unico risultato certo il progressivo esaurimento dei contendenti, che in questi conflitti senza fine gettano una quantità impressionante di soldi, ricchezze naturali e risorse umane che potrebbero essere meglio impiegate.

Senza contare come le ambizioni di questi signorotti siano spesso strumentalizzate dalle nazioni occidentali, anche qui per i motivi più svariati: per tentare di inglobare gli stati africani nei due blocchi durante la Guerra Fredda, per motivi più strettamente economici al giorno d'oggi, dove le grandi multinazionali mettono le mani sulle immense ricchezze naturali africane svendute da stati indebitatisi fino al collo nei loro miopi giochi di potere.

Il punto di svolta arriva solo quando gli stati non ce la fanno più a sostenere il peso di questi conflitti ed i signori africani perdono anche i favori delle cricche economico-militari che li mantengono al potere. Così, un nuovo, giovane ed energico Orsini rovescia il Signore precedente, guadagnandosi il favore dell'esercito e dei notabili locali e dichiarando di voler governare per il bene del popolo e per lo sviluppo della nazione. Ed il ciclo ricomincia, incessante...

Negli ultimi anni, un elemento di novità è stato l'intervento dell'ONU, che attraverso trattative di pace ed aiuti economici tenta di fare uscire l'Africa da questo circolo vizioso. I risultati, però, al momento non sono molto incoraggianti, visto che parecchi stati, dopo qualche anno di pseudo-democrazia pilotata dalla comunità internazionale, ricadono sotto le grinfie di qualche ambizioso generale locale.

Nella sua breve storia l'Africa indipendente ha vissuto questo processo innumerevoli volte. Limitandoci alle guerre in corso attualmente, possiamo citare il Sudan e l'Uganda, che sostengono vicendevolmente i gruppi ribelli operanti nei due stati e che portano avanti due guerre civili che durano rispettivamente da 20 e da 17 anni; o il Burundi, il Rwanda e ancora l'Uganda, impegnatisi nel conflitto congolese e che vedono i rispettivi gruppi ribelli foraggiati da Kinshasa; o ancora il fallito colpo di stato di poche settimane fa in Burkina Faso, per il quale le autorità locali hanno accusato la Costa d'Avorio e il Togo, per non parlare delle guerre civili in Sierra Leone e in Liberia.

Il caso liberiano

E proprio il conflitto liberiano, con i suoi recenti sviluppi, permette di analizzare in maniera dettagliata questa "machiavellizzazione" del continente. Un recente rapporto di Human Rights Watch ha infatti messo in luce il ruolo degli stati confinanti nella guerra civile che sconvolge il paese dal 2000 e che ha visto lo scorso agosto la fuga dal paese dell'ormai ex-dittatore Charles Taylor, rifugiatosi in Nigeria.

HRW sottolinea come tutti i protagonisti della guerra potessero contare su numerosi aiuti oltre confine: le truppe di Taylor erano sostenute dal Burkina Faso, i ribelli del MODEL (Movement for Democracy in Liberia) avevano appoggi forti in Costa d'Avorio, mentre il principale gruppo ribelle, il LURD (Liberians United for Reconciliation and Democracy) godeva del supporto della vicina Guinea.

In particolare, il rapporto si sofferma sui legami tra il LURD e la Guinea, il cui supporto sarebbe stato fondamentale nell'offensiva scatenata dai ribelli nella capitale Monrovia la scorsa estate, un'offensiva che ha portato alla fuga di Taylor e alla morte, in pochi giorni, di migliaia di persone indifese sotto i colpi dei mortai ribelli.

Numerose prove e testimonianze portate da HRW mostrano come l'establishment della Guinea si sia impegnato in prima persona nel conflitto liberiano: il principale accusato è il Ministro della Difesa, che avrebbe materialmente organizzato la fornitura di armi provenienti dall'Iran e trasportate in Guinea da numerosi cargo appartenenti ad una linea aerea ucraina.

Per stessa ammissione dei ribelli del LURD, le armi che arrivavano all'aeroporto di Conakry (la capitale guineana) venivano poi fatte arrivare al confine liberiano in diversi modi: via mare, su camion o addirittura portate dai profughi liberiani rifugiatisi nei campi della Guinea, costretti a rimpatriare e a portare con sé mortai e kalashnikov da consegnare ai ribelli.

E' importante notare come il traffico allestito dalla Guinea sia stato organizzato in totale spregio dei trattati internazionali e delle risoluzioni dell'ONU. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (in cui quest'anno siede anche la Guinea!) ha infatti decretato un embargo sul traffico d'armi in Liberia, imposto originariamente nel 1992 e rinnovato nel 2001 in occasione dello scoppio della guerra civile. Quel che è più grave, al traffico d'armi avrebbero partecipato anche i soldati guineani facenti parte dell'UNMIL, la missione ONU in Liberia.

Ma anche l'ECOWAS (la comunità economica che raggruppa numerosi stati dell'Africa occidentale), di cui la Guinea fa parte, ha approvato nel 1998 una moratoria che impegna tutti i membri a non importare ed esportare armi leggere.

Al disastro liberiano non sarebbero estranee neanche le autorità americane, che negli anni 2002-2003 hanno avviato un programma di addestramento per le truppe guineane e hanno fornito a Conakry numerosi aiuti militari, senza accertarsi che questi aiuti non venissero poi inviati sul fronte liberiano. Le responsabilità dell'amministrazione americana, comunque, sarebbero causate più dalla negligenza nel richiedere informazioni alle autorità guineane piuttosto che dall'aperto sostegno al traffico d'armi.

Conclusioni

Questo articolo non vuole comunque essere un atto d'accusa limitato alla Guinea: le responsabilità degli altri paesi confinanti, come Burkina faso e Costa d'Avorio, non sono minori. Come non sono minori le responsabilità di chi continua a foraggiare queste inutili guerre africane, che come ribadiamo non fanno altro che ridurre in ginocchio stati che già di per sé sono le ultime ruote del carro dell'economia internazionale. Per non parlare della popolazione civile, costretta a immani privazioni e a innumerevoli sofferenze per soddisfare le brame di potere di pochi uomini avidi, violenti, corrotti e ignoranti.

Forse sarebbe ora di far sapere a questi signori che le guerre rinascimentali italiane hanno portato solo al declino economico e civile e alla dominazione straniera della nostra penisola; che le armi moderne fanno molti più danni e distruzioni delle spade e dei moschetti cinquecenteschi; e che, nella società attuale, non c'è più spazio per gli Orsini e i Colonna.

Matteo Fagotto