[Nonviolenza] Donna, vita, liberta'. 393



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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 393 del 28 gennaio 2024

In questo numero:
1. Nel ricordo delle vittime della Shoah opporsi a tutte le guerre, opporsi a tutte le uccisioni, salvare tutte le vite
2. Sosteniamo Narges Mohammadi e la lotta delle donne in Iran. Chiediamo la liberazione dell'attivista Premio Nobel per la Pace e che siano accolte le sue richieste di rispetto dei diritti umani
3. Perche' occorre scrivere ora a Biden per chiedere la liberazione di Leonard Peltier
4. Bruno Segre: Per non dimenticare la Shoah (parte quindicesima e conclusiva)
5. Tre minime descrizioni della nonviolenza e cinque perorazioni per il disarmo
6. Alcune pubblicazioni di e su Hannah Arendt

1. L'ORA. NEL RICORDO DELLE VITTIME DELLA SHOAH OPPORSI A TUTTE LE GUERRE, OPPORSI A TUTTE LE UCCISIONI, SALVARE TUTTE LE VITE

Pace, disarmo, smilitarizzazione.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

2. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO NARGES MOHAMMADI E LA LOTTA DELLE DONNE IN IRAN. CHIEDIAMO LA LIBERAZIONE DELL'ATTIVISTA PREMIO NOBEL PER LA PACE E CHE SIANO ACCOLTE LE SUE RICHIESTE DI RISPETTO DEI DIRITTI UMANI

Sosteniamo Narges Mohammadi, Premio Nobel per la pace, detenuta in Iran per la sua lotta nonviolenta in difesa dei diritti umani e per l'abolizione della pena di morte.
Sosteniamo la lotta nonviolenta delle donne in Iran per la dignita' umana di tutti gli esseri umani.
Sia liberata Narges Mohammadi e tutte le prigioniere e tutti i prigionieri di coscienza, tutte le detenute e tutti i detenuti politici, tutte le persone innocenti perseguitate e sequestrate, in Iran come ovunque.
Cessi l'oppressione delle donne in Iran come ovunque nel mondo, siano rispettati i diritti umani di tutti gli esseri umani.
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Chiediamo al Parlamento e al governo italiano di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
Chiediamo al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo e alla Commissione Europea di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
Chiediamo al Segretario Generale e all'Assemblea Generale dell'Onu di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
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Chiediamo a tutte le persone di volonta' buona, a tutti i movimenti democratici, a tutte le istituzioni sollecite del bene comune e della dignita' umana, a tutti i mezzi d'informazione impegnati per la verita' e la giustizia, d'impegnarsi a sostegno di Narges Mohammadi e delle donne iraniane.
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Donna, vita, liberta'.

3. REPETITA IUVANT. PERCHE' OCCORRE SCRIVERE ORA A BIDEN PER CHIEDERE LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER

Perche' tra un anno negli Stati Uniti d'America ci saranno le elezioni presidenziali.
Ed e' abitudine dei presidenti al termine del mandato di concedere la grazia ad alcune persone detenute.
Quindi e' in questi mesi che Biden decidera' in merito.
E quindi e' adesso che occorre persuaderlo a restituire la liberta' a Leonard Peltier.
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Di seguito le indicazioni dettagliate per scrivere alla Casa Bianca e una proposta di testo in inglese
Nel web aprire la pagina della Casa Bianca attraverso cui inviare lettere: https://www.whitehouse.gov/contact/
Compilare quindi gli item successivi:
- alla voce MESSAGE TYPE: scegliere Contact the President
- alla voce PREFIX: scegliere il titolo corrispondente alla propria identita'
- alla voce FIRST NAME: scrivere il proprio nome
- alla voce SECOND NAME: si puo' omettere la compilazione
- alla voce LAST NAME: scrivere il proprio cognome
- alla voce SUFFIX, PRONOUNS: si puo' omettere la compilazione
- alla voce E-MAIL: scrivere il proprio indirizzo e-mail
- alla voce PHONE: scrivere il proprio numero di telefono seguendo lo schema 39xxxxxxxxxx
- alla voce COUNTRY/STATE/REGION: scegliere Italy
- alla voce STREET: scrivere il proprio indirizzo nella sequenza numero civico, via/piazza
- alla voce CITY: scrivere il nome della propria citta' e il relativo codice di avviamento postale
- alla voce WHAT WOULD YOU LIKE TO SAY? [Cosa vorresti dire?]: copiare e incollare il messaggio seguente:
Mr. President,
Although I reside far from your country, I am aware of the injustice that has persisted for 47 years against Leonard Peltier, who was denied a review of his trial even after exculpatory evidence emerged for the events of June 26, 1975 on the Pine Ridge (SD) reservation where two federal agents and a Native American lost their lives.
I therefore appeal to your supreme authority to pardon this man, now elderly and ill, after nearly half a century of imprisonment.
I thank you in advance for your positive decision, with best regards.
Traduzione italiana del testo che precede:
Signor Presidente,
sebbene io risieda lontano dal Suo Paese, sono consapevole dell'ingiustizia che persiste da 47 anni nei confronti di Leonard Peltier, al quale e' stata negata la revisione del processo anche dopo che sono emerse prove a discarico per gli eventi del 26 giugno 1975 nella riserva di Pine Ridge (South Dakota) in cui persero la vita due agenti federali e un nativo americano.
Mi appello quindi alla Sua suprema autorita' affinche' conceda la grazia a questo uomo, ormai anziano e malato, dopo quasi mezzo secolo di detenzione.
La ringrazio fin d'ora per la Sua decisione positiva, con i migliori saluti.

4. MEMORIA. BRUNO SEGRE: PER NON DIMENTICARE LA SHOAH (PARTE QUINDICESIMA E CONCLUSIVA)
[Riproponiamo ancora una volta il seguente testo, estratto da Bruno Segre, Shoah, Il Saggiatore, Milano 2003, la cui lettura vivamente raccomandiamo. Riportando passi di esso abbiamo omesso tutte le note, ricchissime di informazioni e preziose di riflessioni, per le quali ovviamente rinviamo chi legge al testo integrale edito a stampa]

Un epilogo
Quasi sei decenni ci separano dai giorni in cui le armate alleate raggiunsero i campi di sterminio nazisti restituendo la liberta' ai pochi prigionieri scampati al massacro: da allora la memoria della Shoah rappresenta un elemento costitutivo dell'identita' per una parte cospicua degli ebrei. Ormai la generazione dei testimoni diretti (su entrambi i versanti: quello delle vittime e quello dei persecutori) va estinguendosi. Ma anche gli ebrei della nuova generazione, apparentemente estranei alla paura, affrancati - tanto nella diaspora quanto in Israele - dalle ansie degli antenati, continuano a confrontarsi con la memoria della Shoah, condannati a ritornarvi lungo la propria cronistoria, nelle proprie associazioni mentali, nelle proprie decisioni morali, nei codici di comportamento.
"Una mia amica, sopravvissuta come me alla Shoah - scriveva Doris Papier in una lettera da Herzliya (Israele) al "Jerusalem Post" nel dicembre 1990 -, ha visitato recentemente la localita' nella quale erano vissuti e dove vennero assassinati i miei  famigliari. Il luogo non e' lontano da  Rovno, in Ucraina. Mentre si trovava la', la mia amica registro' con una cinepresa la boscaglia in cui migliaia di ebrei furono passati per le armi". E soggiungeva: "Quando vidi il filmato rimasi inorridita nell'osservare che un po' ovunque, sul terreno, affioravano le ossa delle vittime e, inoltre, che la popolazione del luogo andava frugando fra i resti umani alla ricerca di denti d'oro e di oggetti di valore". (...) "Trovo quasi incredibile che per tutto questo tempo nulla sia stato fatto dalle autorita' sovietiche e/o ucraine  per porre rimedio a tale situazione".
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Oswiecim, in Polonia ("Auschwitz" in tedesco). Qui, nell'agosto 2000, viene inaugurata la discoteca "System", nella quale ogni fine settimana si danno appuntamento centinaia di giovani. La nascita della discoteca innesca l'ultima di una lunga serie di diatribe che, per tutto il secondo dopoguerra, hanno avvelenato i rapporti tra polacchi ed ebrei: la malcelata invidia dei primi, che non si sono sentiti abbastanza considerati nel ruolo di vittime del nazismo, l'antisemitismo strisciante dei governi comunisti di Varsavia, l'atteggiamento a volte ostile verso gli ebrei della Chiesa cattolica di Polonia e, soprattutto, il destino di Auschwitz, l'uso e la tutela di un luogo che la tragedia della Shoah ha inscritto per sempre nella storia degli ebrei e nella coscienza del mondo. La "pista da ballo sopra le tombe" - come viene definita la discoteca dai suoi critici -  riaccende la guerra per la memoria della Shoah: una vicenda conflittuale fatta di simboli, di controversie religiose e strumentalizzazioni politiche, le cui radici vanno cercate  nelle pieghe profonde della storia d'Europa, recente e meno recente.
Gia' negli anni Ottanta un convento di carmelitane, che si era insediato entro il perimetro dell'ex campo di sterminio, fu trasferito al di fuori dei fili spinati in seguito alle proteste delle comunita' ebraiche. Nel 1996, gruppi di pressione ebraici ottennero che fosse annullato il progetto di costruzione di un centro commerciale, mentre nel 1998 vennero rimosse trecento croci in legno piantate ad Auschwitz dagli attivisti del "Movimento per la salvezza del popolo polacco", un gruppuscolo ultranazionalista che fa dell'antisemitismo e del radicalismo religioso il proprio cavallo di battaglia. Nel 2000, a chiedere l'immediata chiusura della discoteca "System" scese in campo nientemeno che il Centro Wiesenthal di Vienna.
Spesso gli ebrei vengono rimproverati di fare di Auschwitz, della Shoah un mito, un monumento. A ben vedere le cose non stanno esattamente cosi'. Per i sopravvissuti e per i loro eredi la Shoah, assai piu' che un monumento rappresenta il ricordo incancellabile di un disastro, di una vicenda di rovinosa umiliazione, di impotenza e solitudine.
Innanzitutto e' impossibile dimenticare che la Shoah ha inghiottito sei o sette milioni di persone: approssimativamente la meta' degli ebrei europei, ossia circa un terzo degli ebrei del mondo, fra i quali un milione e mezzo di bambini. Ma soprattutto, nella Shoah e' andata distrutta una civilta', quella degli ebrei dell'Europa centro-orientale. Dell'antico scenario fisico entro il quale si mossero e fiorirono numerose comunita' estremamente vitali e creative, oggi non rimangono che i muri delle sinagoghe, i cimiteri, i libri, gli oggetti rituali e d'uso quotidiano, le carte: documenti di una storia durata poco meno d'un millennio. Pagine della storia degli ebrei, certamente, ma anche, a pieno titolo, della storia d'Europa e - vorrei aggiungere - della storia dell'intera umanita'.
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Come ha scritto Yosef Hayim Yerushalmi, docente alla Columbia University di New York, la necessita' di ricordare e' divenuta piu' urgente da quando hanno alzato la voce "coloro che fanno a brandelli i documenti, gli assassini della memoria e i revisori delle enciclopedie, i cospiratori del silenzio, coloro che, come nella bellissima immagine di Kundera, possono cancellare un uomo da una fotografia in modo che ne rimanga solo il cappello". Quella che ci risulta intollerabile e' l'idea che persino i crimini piu' atroci possano cadere nell'oblio. In sostanza, il bisogno di ricordare riguarda il male.
Da piu' parti si sostiene che, in quanto "male assoluto", la Shoah sia qualcosa di indicibile, di irrappresentabile. Si tratta, in questo caso, di un'opinione che non condivido. Ritengo infatti che anche il lavoro di coloro che fanno storiografia avrebbe uno spessore molto inferiore se non potesse fare riferimento proprio alle narrazioni dei testimoni diretti, dei deportati, di coloro la cui vita e' stata barbaramente stroncata, dei sopravvissuti. Come si sa, la testimonianza personale e' fragile, parziale, incompiuta; tuttavia essa esprime il vissuto, unisce soggettivita' e oggettivita', individuale e collettivo, pubblico e privato. Ai fini della conservazione e trasmissione della memoria, il racconto individuale offre spunti e risorse di una vitalita' unica, insostituibile: basti pensare alle narrazioni e alle riflessioni preziosissime di un grande testimone quale fu Primo Levi.
In un mondo sempre piu' orientato a rimuovere e a banalizzare il male - qual e' il mondo in cui viviamo -, e' importante che un sano impegno pedagogico dia vita a strategie educative capaci di offrire alle generazioni piu' giovani il senso concreto di un legame tra la vicenda dello sterminio nazista e situazioni di violenza, di offesa ai diritti umani, di eccidi di massa che accadono oggi, pur con tutte le differenze rispetto alla Shoah.
Il ricordo del male passato, pero', non puo' e non deve ridursi a retoriche manifestazioni in chiave celebrativa: una sorta di illusori compensi postumi elargiti alle vittime e ai loro eredi. Manifestazioni di questa natura sono i prodotti di una memoria statica, capace soltanto di  dare corso a rievocazioni del male che, per essere meramente commemorative ed esorcistiche, rivelano una radicale sterilita'. Da esse occorre distinguere le forme di una memoria dinamica, preoccupata di tenere viva la consapevolezza del male al fine di favorire, semmai, la progettazione di un futuro diverso e migliore. Infatti il ricordo dell'orrore, seguito dalla rituale invocazione "cio' non deve accadere mai piu'", appare destinato a rimanere privo di reale efficacia quando non si saldi a un'interrogazione argomentata e analitica circa il presente e non si apra con spirito critico e creativo alla progettualita'.
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Alla fine del 1997 Sergio Romano pubblico' in Italia un saggio che, a onta del tenore benevolo del titolo e dell'orgoglioso "laicismo liberale" ostentato dall'autore, apparve subito abbondantemente farcito dei piu' abusati luoghi comuni antiebraici. L'autore pretendeva di spaziare in lungo e in largo nella storia degli ebrei fino a giudicarne lapidariamente la religione: un "catechismo fossile ('duecentoquarantotto precetti affermativi e trecentosessantacinque precetti negativi', ricorda il rabbino Toaff)  di una delle piu' antiche, introverse e retrograde confessioni religiose mai praticate in Occidente".
Fra le numerose bizzarrie proposteci da questo pamphlet, occupa un posto centrale la tesi, non priva di malizia, secondo la quale il genocidio degli ebrei d'Europa si sarebbe ormai trasformato, per l'opinione pubblica dell'Occidente (cristiano), in una sorta di ricatto permanente. Nell'imputare tale fatto al culto ebraico della memoria, Romano articola le sue argomentazioni nei termini seguenti: "[Il genocidio] e' diventato il peccato del mondo contro gli ebrei, una colpa incancellabile di cui ogni cristiano dovrebbe chiedere perdono quotidianamente, il nucleo centrale della storia del XX secolo. Grazie a questa prospettiva storica, ogni paese e ogni istituzione vengono giudicati per il loro ruolo in quella vicenda e finiscono, prima o poi, sul banco degli accusati". Dopo avere elencato varie stragi analoghe o paragonabili per dimensioni o crudelta' (lo sterminio armeno, le vittime dello stalinismo, del colonialismo, della seconda guerra mondiale, dei conflitti interetnici in Bosnia o in Ruanda), Romano lamenta che, mentre la memoria di questi e altri massacri "impallidisce e si appanna, l''olocausto' continua ad agitare le coscienze". Insomma, "non e' piu' un episodio storico da studiare nelle particolari circostanze in cui quelle vicende ebbero luogo".
Di fronte alla ricerca storica, afferma  Romano, molti ambienti ebraici si rivelano animati da una "ostilita' iniziale" dettata, fra l'altro, dal "timore che gli studi storici finiscano per 'storicizzare' il genocidio riducendolo, prima o dopo, ad una gigantesca 'notte di San Bartolomeo'". Con l'attribuire agli ebrei, in buona sostanza, la colpa di collocare la Shoah in una dimensione teologica e metastorica, Romano avanza l'ipotesi che la "strategia della memoria" sia stata per lo Stato d'Israele "una straordinaria arma diplomatica, una preziosa fonte di legittimita' internazionale". Inoltre, secondo  Romano, tale strategia e' "il terreno su cui l'ebraismo e la sinistra possono incontrarsi e collaborare", consentendo agli ebrei di "tenere in vita una sorta di 'comitato permanente di vigilanza antirazzista'".
E', questa di Romano, un'ipotesi semplicistica e fuorviante poiche', oltre a recuperare alcuni "topoi" del "connubio giudaico-comunista" tanto cari alla pubblicistica fascista degli anni trenta, ha il torto di enfatizzare il sostegno offerto allo Stato d'Israele dalle comunita' della diaspora e di sottolineare oltre misura la volonta' d'Israele di tenere viva, nel proprio esclusivo interesse di Stato, la memoria del genocidio: riducendo in tal modo il grande esame di coscienza che il mondo continua a compiere di fronte alla Shoah a una meschina macchinazione politica degli ebrei.
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Circa gli usi della memoria della Shoah che si sono andati facendo in Israele lungo l'arco dei decenni, l'analisi piu' compiuta, equilibrata e, nello stesso tempo, severamente  problematica, e' a mio avviso quella condotta da Tom Segev - un valido giornalista e storico israeliano - in Il settimo milione. Osservatore molto attento e sottile delle dinamiche complesse e talvolta contraddittorie che si registrano all'interno della classe politica e della societa' israeliane, Segev rammenta che "Israele e' diverso dalla maggior parte degli altri paesi del mondo perche' ha la necessita' di giustificare, agli occhi altrui e ai propri, il diritto all'esistenza". L'Olocausto, spiega Segev, "e' la conferma definitiva della validita' della tesi sionista secondo cui gli ebrei possono vivere nella sicurezza e godere pienamente dei diritti dei quali usufruiscono gli altri popoli soltanto in uno Stato autonomo e sovrano, capace di difendersi. Eppure, di guerra in guerra, si e' visto chiaramente che al mondo ci sono molti altri luoghi in cui gli ebrei sono piu' al sicuro che in Israele. Non solo: l'Olocausto e' stato un'innegabile sconfitta per il movimento sionista, che non e' riuscito a convincere la gran parte degli ebrei del mondo a stabilirsi in Palestina quand'era ancora possibile".
"Secondo alcuni", ricorda Segev, "sarebbe meglio che gli israeliani dimenticassero l'Olocausto, dal momento che ne traggono insegnamenti sbagliati". E nel menzionare taluni dei rischi che il culto della memoria comporta, egli osserva correttamente che "la scuola e le celebrazioni ufficiali alimentano spesso lo sciovinismo e l'idea che lo sterminio nazista giustifichi qualsiasi azione purche' giovi alla sicurezza di Israele, compresa la repressione della popolazione palestinese nei Territori occupati". Tuttavia, dichiara alla fine l'autore, gli israeliani "non possono e non devono dimenticare [l'Olocausto]. Quello che devono fare e' trarne conclusioni diverse. L'Olocausto chiede a tutti noi di tutelare la democrazia, combattere il razzismo e difendere i diritti umani. Conferma e rafforza la legge israeliana che impone a ogni soldato di non obbedire a un ordine palesemente illegittimo. Certo non sara' facile inculcare gli insegnamenti umanistici dell'Olocausto finche' Israele lottera' per difendersi e per giustificare la propria esistenza. Ma farlo e' essenziale".
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E' chiaro che il rapporto fra memoria della Shoah e storia e' particolarmente complesso, giacche l'elaborazione dei lutti provocati dalla tragedia e' lunga e dolorosa. Faccio senz'altro mia la preoccupazione  di non cadere in "eccessi di memoria", che rischierebbero di schiacciare sul passato la progettazione di un qualsiasi avvenire. Ne' intendo qui negare che in ambito ebraico siano oggi presenti, tanto in Israele quanto nella diaspora, gruppi politici e frange sociali disposti a fare della Shoah un uso strumentale onde giustificare forme di sciovinismo miope e arrogante, pericolose derive fondamentaliste e grette chiusure di natura confessionale. Tuttavia, il piccolo universo degli ebrei continua, nel suo insieme, a essere ricco di interne tensioni, di una vivacissima dialettica, di spinte e controspinte, e presenta connotazioni complesse, diversificate  e troppo difficili da cogliere perche' sia consentito accostarsi a esso con un approccio del tipo di quello adottato da Sergio Romano. Forse l'urgenza con la quale Romano preme per "storicizzare" la Shoah rivela una sotterranea ansia di "archiviazione", tesa  a liquidare una memoria troppo ingombrante per i tanti europei che, pur di sentirsi innocenti, cercano di "chiamarsi fuori" in vari modi, per esempio ponendo lo sterminio a esclusivo carico della defunta ideologia nazista.
Il vero problema, a mio avviso, e' quello di conciliare il compito morale di evitare che il passato cada nell'oblio con l'impegno  a operare perche' le nuove generazioni si possano costruire un futuro vivibile e decente, da condividere responsabilmente e fraternamente con tutti i figli degli uomini. In ambito ebraico, alcune strade in questa direzione appaiono gia' tracciate.
Mi riferisco, in primo luogo, all'esperienza di Yad Vashem, il museo della Shoah di Gerusalemme: un'istituzione che, fin da quando vide la luce nel 1957, volle ricordare accanto alla memoria delle vittime anche i "giusti", ossia i protagonisti del bene, quanti a rischio della propria vita si prodigarono per la salvezza dei perseguitati. Le vicende dei  "giusti" hanno permesso a molti fra i sopravvissuti di ritrovare la speranza nell'umanita'. Per numerosi ebrei e per i loro figli e nipoti e' stato possibile ritornare nei paesi che li avevano perseguitati e traditi, solo dopo avere saputo di uomini e donne che si erano comportati diversamente. In tal modo i "giusti" sono diventati il tramite di un riavvicinamento tra le vittime della violenza e i popoli che li hanno oppressi.
In una direzione non dissimile si colloca il lavoro del Post-Holocaust Dialogue Group: un'associazione internazionale creata all'inizio degli anni Novanta da Gottfried Wagner  - pronipote di Richard e figlio "degenere" dell'attuale direttore del Festival di Bayreuth (in Germania) - e da Abraham Peck, direttore  amministrativo e dei programmi dell'Archivio ebraico-americano di Cincinnati (negli Stati Uniti). Le iniziative di questo gruppo mirano non gia' a ricomporre le memorie della Shoah - ancor oggi profondamente divise - in una fittizia unita' sotto l'etichetta di una "comune memoria" (un'operazione che, qualora venisse proposta, recherebbe offesa a tutte le persone coinvolte a vario titolo nella tragedia), bensi' a dare luogo al lavoro difficilissimo, e tuttavia necessario, di reciproco riconoscimento, di dialogo appunto, tra i figli di coloro che la Shoah l'hanno subita e i figli di coloro che, invece, l'hanno architettata e inflitta. Un dialogo, dunque, tra persone nate dopo lo sterminio.
Uno dei membri ebrei del gruppo, lo psichiatra newyorkese Yehuda Nir, ha pubblicato un'autobiografia che e' stata tradotta in nove lingue. In un'introduzione all'edizione olandese, composta con un pensiero rivolto in particolare agli studenti, Nir interpella idealmente Gottfried Wagner con parole che esprimono tutt'intera la tensione e la fatica di un lavoro congiunto di ricostruzione morale e psicologica, portato avanti con estrema delicatezza dagli uni e dagli altri attori di questo dialogo straordinario: "Gottfried, io ti vedo come un rappresentante di questo [nuovo] mondo. Tu sei l'anti-Lohengrin, che non nasconde il suo passato e dice: 'Per favore, Yehuda, chiedimi che cos'hanno fatto i miei genitori'. In modo sincero ti definisci un figlio dei persecutori, un tedesco nato dopo la Shoah. Hai affermato di essere legato alla storia della Germania.  Non chiedi perdono. Tutto cio' che desideri e' impegnarti in un dialogo per capire che cosa e come e' successo, e se e' possibile evitare che possa accadere di nuovo. Sei un tedesco che vuole aiutare a creare un mondo in cui noi ebrei possiamo prendere in considerazione il perdono".

5. REPETITA IUVANT. TRE MINIME DESCRIZIONI DELLA NONVIOLENZA E CINQUE PERORAZIONI PER IL DISARMO

I. Tre minime descrizioni della nonviolenza

1. La nonviolenza non indossa il frac

La nonviolenza non la trovi al ristorante.
Non la incontri al circolo dei nobili.
Non frequenta la scuola di buone maniere.
E' sempre fuori dall'inquadratura delle telecamere delle televisioni.
La nonviolenza non fa spettacolo.
La nonviolenza non vende consolazioni.
La nonviolenza non guarda la partita.

E' nel conflitto che la nonviolenza agisce.
Dove vi e' chi soffre, li' interviene la nonviolenza.
Dove vi e' ingiustizia, li' interviene la nonviolenza.
Non la trovi nei salotti e nelle aule.
Non la trovi tra chi veste buoni panni.
Non la trovi dove e' lustra l'epidermide e non brontola giammai lo stomaco.
La nonviolenza e' dove c'e' la lotta per far cessare tutte le violenze.
La nonviolenza e' l'umanita' in cammino per abolire ogni sopraffazione.

Non siede nel consiglio di amministrazione.
Non si abbuffa coi signori eccellentissimi.
Non ha l'automobile, non ha gli occhiali da sole, non ha il costume da bagno.
Condivide la sorte delle oppresse e degli oppressi.
Quando vince rinuncia a ogni potere.
Non esiste nella solitudine.
Sempre pensa alla liberta' del prossimo, sempre pensa al riscatto del vinto,
sempre pensa ad abbattere i regimi e di poi a riconciliare gli animi.
Sa che il male e' nella ricchezza, sa che il bene e' la condivisione;
sa che si puo' e si deve liberare ogni persona e quindi questo vuole:
la liberta' di tutte, la giustizia, la misericordia.

La nonviolenza e' l'antibarbarie.
La nonviolenza e' il riconoscimento della dignita' di ogni essere vivente.
La nonviolenza e' questa compassione: sentire insieme, voler essere insieme,
dialogo infinito, colloquio corale, miracolo dell'incontro e della nascita;
l'intera umanita' unita contro il male e la morte;
si', se possiamo dirlo in un soffio e in un sorriso: tutti per uno, uno per tutti.
La nonviolenza e' la lotta che salva.

Ha volto e voce di donna, sa mettere al mondo il mondo,
il suo tocco risana le ferite, i suoi gesti sono limpida acqua, i suoi atti recano luce;
sempre lotta per la verita' ed il bene, usa solo mezzi coerenti
con il fine della verita' e del bene.
Sa che il mondo e' gremito di persone, cosi' fragili, smarrite e sofferenti.
Sa che la sua lotta deve esser la piu' ferma; e deve essere la piu' delicata.

Quando la plebe all'opra china si rialza: li' e' la nonviolenza.
Quando lo schiavo dice adesso basta, li' e' la nonviolenza.
Quando le oppresse e gli oppressi cominciano a lottare
per un'umanita' di persone tutte libere ed eguali in diritti,
li', li' e' la nonviolenza.
Quando ti svegli ed entri nella lotta, la nonviolenza gia' ti viene incontro.

La nonviolenza e' una buona cosa.
E' questa buona cosa che fai tu quando fai la cosa giusta e necessaria.

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2. Breve litania della nonviolenza

La nonviolenza non e' la luna nel pozzo.
La nonviolenza non e' la pappa nel piatto.
La nonviolenza non e' il galateo del pappagallo.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' la ciancia dei rassegnati.
La nonviolenza non e' il bignami degli ignoranti.
La nonviolenza non e' il giocattolo degli intellettuali.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' il cappotto di Gogol.
La nonviolenza non e' il cavallo a dondolo dei generali falliti.
La nonviolenza non e' la Danimarca senza il marcio.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' l'ascensore senza bottoni.
La nonviolenza non e' il colpo di carambola.
La nonviolenza non e' l'applauso alla fine dell'atto terzo.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' il museo dell'esotismo.
La nonviolenza non e' il salotto dei perdigiorno.
La nonviolenza non e' il barbiere di Siviglia.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' la spiritosaggine degli impotenti.
La nonviolenza non e' la sala dei professori.
La nonviolenza non e' il capello senza diavoli.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' il ricettario di Mamma Oca.
La nonviolenza non e' l'albero senza serpente.
La nonviolenza non e' il piagnisteo di chi si e' arreso.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' la quiete dopo la tempesta.
La nonviolenza non e' il bicchiere della staffa.
La nonviolenza non e' il vestito di gala.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' il sapone con gli gnocchi.
La nonviolenza non e' il film al rallentatore.
La nonviolenza non e' il semaforo sempre verde.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' il jolly pescato nel mazzo.
La nonviolenza non e' il buco senza la rete.
La nonviolenza non e' il fiume dove ti bagni due volte.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' l'abracadabra degli stenterelli.
La nonviolenza non e' il cilindro estratto dal coniglio.
La nonviolenza non e' il coro delle mummie del gabinetto.
La nonviolenza e' la lotta contro la violenza.

La nonviolenza non e' niente che si veda in televisione.
La nonviolenza non e' niente che si insegni dalle cattedre.
La nonviolenza non e' niente che si serva al bar.
La nonviolenza e' solo la lotta contro la violenza.

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3. Della nonviolenza dispiegata al sole ad asciugare

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza la politica necessaria.
Chiamiamo nonviolenza l'occhio che vede e piange.
Chiamiamo nonviolenza la lotta per l'abolizione di tutte le guerre.
Chiamiamo nonviolenza la lotta che abroga ogni servitu'.
Chiamiamo nonviolenza questo accampamento notturno nel deserto.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza l'amicizia che non tradisce.
Chiamiamo nonviolenza il ponte di corda teso sull'abisso.
Chiamiamo nonviolenza la fine della paura della morte.
Chiamiamo nonviolenza la fine della minaccia della morte.
Chiamiamo nonviolenza aver visto e alba e tramonto con limpido cuore.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza il tappeto volante.
Chiamiamo nonviolenza il voto unanime per la salvezza degli assenti.
Chiamiamo nonviolenza il cielo stellato.
Chiamiamo nonviolenza il rispetto della vita altrui.
Chiamiamo nonviolenza il sonno dei giusti e dei giusti la veglia.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza il silenzio che non spaventa.
Chiamiamo nonviolenza la telefonata che ferma l'esecuzione.
Chiamiamo nonviolenza il libro che ti fa ridere e piangere.
Chiamiamo nonviolenza il viaggio senza bagagli.
Chiamiamo nonviolenza il suono dell'arcobaleno.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza il pasto in comune.
Chiamiamo nonviolenza il miracolo della nascita.
Chiamiamo nonviolenza la voce che risponde.
Chiamiamo nonviolenza la porta che si apre allo straniero.
Chiamiamo nonviolenza la lotta contro la violenza.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza il dono e la rinuncia.
Chiamiamo nonviolenza la leggerezza sui corpi.
Chiamiamo nonviolenza la parola che suscita le praterie.
Chiamiamo nonviolenza il soffio che estingue gli incendi.
Chiamiamo nonviolenza l'infinito respiro del mare.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza l'umanita' come dovrebbe essere.
Chiamiamo nonviolenza la coscienza del limite.
Chiamiamo nonviolenza il ritrovamento dell'anello di Salomone.
Chiamiamo nonviolenza gl'immortali principi dell'Ottantanove.
Chiamiamo nonviolenza l'ironia e la pazienza.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza il riconoscimento della pluralita' delle persone e dei mondi.
Chiamiamo nonviolenza la distruzione di tutte le armi assassine.
Chiamiamo nonviolenza non nascondere la nostra ignoranza.
Chiamiamo nonviolenza rifiutarsi di mentire.
Chiamiamo nonviolenza la scelta di fare la cosa che salva le vite.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza una giornata di sole sulla strada.
Chiamiamo nonviolenza la scuola di Spartaco e della Rosa Rossa.
Chiamiamo nonviolenza la certezza morale del figlio della levatrice.
Chiamiamo nonviolenza la legge nuova del figlio del falegname.
Chiamiamo nonviolenza le tre ghinee di Virginia.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza questo atto di riconoscimento e di riconoscenza.
Chiamiamo nonviolenza il giro della borraccia.
Chiamiamo nonviolenza questo colloquio corale.
Chiamiamo nonviolenza la Resistenza antifascista.
Chiamiamo nonviolenza l'uscita dallo stato di minorita'.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.
Chiamiamo nonviolenza parlare e ascoltare.
Chiamiamo nonviolenza la stazione sempre aperta.
Chiamiamo nonviolenza lo specchio e la sorgente.
Chiamiamo nonviolenza sentire il dolore degli altri.
Chiamiamo nonviolenza prendersi cura del mondo.

Chiamiamo nonviolenza il movimento di liberazione delle donne, e null'altro.

* * *

II. Cinque perorazioni per il disarmo

1. La prima politica e' il disarmo

La prima politica e' il disarmo
sostituire all'arte dell'uccidere
quella severa di salvare le vite

Senza disarmo il mondo tutto muore
senza disarmo le nuvole si ghiacciano
le lacrime diventano veleno
si crepano i marmi ne escono draghi

Senza disarmo ogni parola mente
senza disarmo ogni albero si secca
l'aria non porta piu' i suoni
la polvere colma i polmoni

Senza disarmo piovono scorpioni
senza disarmo in ogni piatto e' vomito
dal rubinetto esce sale e vetro
le scarpe stritolano le ossa dei piedi

Solo il disarmo frena le valanghe
solo il disarmo risana le ferite
solo il disarmo salva le vite

Salvare le vite e' il primo dovere
salvare le vite
il primo dovere

*

2. Piccolo dittico delle armi e del disarmo

I.

Le armi sanno a cosa servono
le armi non sbagliano la mira
le armi odiano le persone
quando le ammazzano poi vanno all'osteria
a ubriacarsi e a cantare fino all'alba

Le armi bevono il sangue
le armi mettono briglie e sella alle persone
poi le cavalcano fino a sfiancarle
affondano gli speroni per godere dei sussulti
della carne che soffre

Le armi non sentono ragione
una sola cosa desiderano: uccidere
e poi ancora uccidere
uccidere le persone
tutte le persone

Le armi la sanno lunga
fanno bella figura in televisione
sorridono sempre
parlano di cose belle
promettono miliardi di posti di lavoro
e latte e miele gratis per tutti

Le armi hanno la loro religione
hanno la scienza esatta degli orologi
hanno l'arte sottile del pennello
e del bulino e la sapienza grande
di trasformare tutto in pietra e vento
e della loro religione l'unico
articolo di fede dice: nulla
e nulla e nulla e nulla e nulla e nulla
e tutto ha da tornare ad esser nulla

Le armi ci guardano dal balcone
mentre ci affaccendiamo per le strade
ci fischiano e poi fanno finta di niente
ci gettano qualche spicciolo qualche caramella
cerini accesi mozziconi scampoli
di tela e schizzi di vernice e polpette
con dentro minuscole schegge di vetro

Sanno il francese hanno tutti i dischi
raccontano di quando in mongolfiera
e delle proprieta' nelle colonie d'oltremare
e delle ville tutte marmi e stucchi
t'invitano nel loro palco all'opera
ti portano al campo dei miracoli

Sanno le armi come farsi amare
e passo dopo passo addurti dove
hanno allestito la sala del banchetto

II.

Senza disarmo i panni stesi non si asciugano
senza disarmo la pizza diventa carbone
senza disarmo hai freddo anche con tre cappotti

Senza disarmo il fazzoletto ti strappa la mano
senza disarmo la maniglia della porta ti da' la scossa
senza disarmo le scarpe ti mangiano i piedi

Senza disarmo l'aria t'avvelena
senza disarmo il caffe' diventa sterco
senza disarmo dallo specchio uno ti spara

Senza disarmo il letto e' tutto spine
senza disarmo scordi tutte le parole
senza disarmo e' buio anche di giorno

Senza disarmo ogni casa brucia
senza disarmo quel che tocchi ghiaccia
senza disarmo tutto e' aceto e grandine

Senza disarmo la guerra non finisce

Senza disarmo finisce l'umanita'

*

3. In quanto le armi

In quanto le armi servono a uccidere
le persone, l'esistenza delle armi
e' gia' una violazione dei diritti umani.

Solo il disarmo salva le vite
solo il disarmo rispetta e difende gli esseri umani
solo il disarmo riconosce e restituisce
umanita' all'umanita'.

Solo con il disarmo
la civilta' rinasce
il sole sorge ancora
fioriscono i meli
tornano umani gli esseri umani.

*

4. Del non uccidere argomento primo

Si assomigliano come due fratelli
Abele e Caino, nessuno dei due
sa chi sara' la vittima, chi l'assassino.

Non c'e' netto un confine
tra bene e male
e l'occhio non distingue
zucchero e sale.

In questo laborioso labirinto
che non ha uscita
non esser tu del novero di quelli
che ad altri strappano la breve vita.

Mantieni l'unica vera sapienza:
come vorresti esser trattato tu
le altre persone tratta.
Da te l'umanita' non sia disfatta.

Sull'orlo dell'abisso scegli sempre
di non uccidere, di opporti a ogni uccisione,
ad ogni guerra, ogni arma, ogni divisa:
ogni plotone e' di esecuzione.

Non c'e' netto un confine
tra bene e male
e l'occhio non distingue
zucchero e sale.

Si assomigliano come due fratelli
Abele e Caino, nessuno dei due
sa chi sara' la vittima, chi l'assassino.

*

5. Poiche' vi e' una sola umanita'

Poiche' vi e' una sola umanita'
noi dichiariamo che ogni essere umano
abbia rispetto e solidarieta'
da chiunque altro sia essere umano.

Nessun confine puo' la dignita'
diminuire umana, o il volto umano
sfregiare, o denegar la qualita'
umana propria di ogni essere umano.

Se l'edificio della civilta'
umana ha un senso, ed esso non e' vano,
nessuno allora osi levar la mano
contro chi chiede ospitalita'.

Se la giustizia e se la liberta'
non ciancia, bensi' pane quotidiano
hanno da essere, cosi' il lontano
come il vicino merita pieta'.

Nel condividere e' la verita'
ogni volto rispecchia il volto umano
nel mutuo aiuto e' la felicita'
ogni diritto e' un diritto umano.

Se vero e' che tutto finira'
non prevarra' la morte sull'umano
soltanto se la generosita'
sara' la legge di ogni essere umano.

La nonviolenza e' questa gaia scienza
che lotta per salvar tutte le vite
la nonviolenza e' questa lotta mite
e intransigente contro ogni violenza.

6. MAESTRE. ALCUNE PUBBLICAZIONI DI E SU HANNAH ARENDT

- Hannah Arendt, Il concetto d'amore in Agostino, Se, Milano 1992, pp. 168.
- Hannah Arendt, La banalita' del male. Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano 1964, 1993, pp. 318.
- Hannah Arendt, La vita della mente, Il Mulino, Bologna 1987, 1993, pp. 630.
- Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, Comunita', Milano 1967, 1999, Einaudi, Torino 2004, Mondadori, Milano 2010, pp. LXXXIV + 710.
- Hannah Arendt, Rahel Varnhagen, Il Saggiatore, Milano 1988, 2004, pp. XLVI + 292 (+ un inserto fotografico di 16 pp.).
- Hannah Arendt, Sulla rivoluzione, Comunita', Milano 1983, 1996, pp. LXXVIII + 342.
- Hannah Arendt, Tra passato e futuro, Garzanti, Milano 1991, pp. 312.
- Hannah Arendt, Vita Activa. La condizione umana, Bompiani, Milano 1964, 1994, pp. XXXIV + 286.
- Hannah Arendt, Antologia, Feltrinelli, Milano 2006, pp. XXXVIII + 246.
- Hannah Arendt, Il pensiero secondo. Pagine scelte, Rcs, Milano 1999, pp. II + 238.
- Hannah Arendt, Archivio Arendt. 1. 1930-1948, Feltrinelli, Milano 2001, pp. 272.
- Hannah Arendt, Archivio Arendt 2. 1950-1954, Feltrinelli, Milano 2003, pp. XXVI + 230.
- Hannah Arendt, Alcune questioni di filosofia morale, trad. it., Einaudi, Torino 2003, pp. X + 116.
- Hannah Arendt, Che cos'e' la politica, Comunita', Milano 1995, 1997, Einaudi, Torino 2001, 2006, pp. XIV + 194.
- Hannah Arendt, Disobbedienza civile, Chiarelettere, Milano 2017, 2019, pp. XXIV + 72.
- Hannah Arendt, Ebraismo e modernita', Unicopli, Milano 1986, Feltrinelli, Milano 1993, pp. 232.
- Hannah Arendt, Humanitas mundi. Scritti su Karl Jaspers, Mimesis, Milano-Udine 2015, pp. 102.
- Hannah Arendt, Il futuro alle spalle, Il Mulino, Bologna 1981, 1995, pp. X + 166.
- Hannah Arendt, Illuminismo e questione ebraica, Cronopio, Napoli 2009, pp. 48.
- Hannah Arendt, Il pescatore di perle. Walter Benjamin 1892-1940, Mondadori, Milano 1993, pp. VI +  106.
- Hannah Arendt, Il razzismo prima del razzismo, Castelvecchi, Roma 2018, pp. 80.
- Hannah Arendt, La lingua materna, Mimesis, Milano-Udine 1993, 2005, 2019, pp. 114.
- Hannah Arendt, La menzogna in politica, Marietti 1820, Bologna 2006, 2018, 2019, pp. XXXVIII + 88.
- Hannah Arendt, L'ebreo come paria. Una tradizione nascosta, Giuntina, Firenze 2017, pp. 68.
- Hannah Arendt, L'umanita' in tempi bui, Cortina, Milano 2006, 2019, pp. 90.
- Hannah Arendt, Marx e la tradizione del pensiero politico occidentale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016, pp. 168.
- Hannah Arendt, Per un'etica della repsonsabilita'. Lezioni di teoria politica, Mimesis, Milano-Udine 2017, pp. 152.
- Hannah Arendt, Politica ebraica, Cronopio, Napoli 2013, pp. 312.
- Hannah Arendt, Politica e menzogna, Sugarco, Milano 1985, pp. 288.
- Hannah Arendt, Responsabilita' e giudizio, Einaudi, Torino 2004, pp. XXXII + 238.
- Hannah Arendt, Ritorno in Germania, Donzelli, Roma 1996, pp. 64.
- Hannah Arendt, Rosa Luxemburg, Mimesis, Milano-Udine 2022, pp. 138.
- Hannah Arendt, Socrate, Raffaello Cortina Editore, Milano 2015, pp. 126.
- Hannah Arendt, Sulla violenza, Guanda, Parma 1996, pp. 96.
- Hannah Arendt, Verita' e politica, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. 98.
- Hannah Arendt, Verita' e umanita', Mimesis, Milano-Udine 2014, pp. 76.
- Hannah Arendt, Quaderni e diari, Neri Pozza, 2007, pp. 656.
- Hannah Arendt - Karl Jaspers, Carteggio 1926-1969. Filosofia e politica, Feltrinelli, Milano 1989, pp. XXIV + 248.
- Hannah Arendt - Mary McCarthy, Tra amiche. La corrispondenza di Hannah Arendt e Mary McCarthy 1949-1975, Sellerio, Palermo 1999, pp. 720.
- Hannah Arendt - Kurt Blumenfeld, Carteggio 1933-1963, Ombre corte, Verona 2015, pp. 280.
- Hannah Arendt - Martin Heidegger, Lettere 1925-1975, Einaudi, Torino 2000, 2007, pp. VI + 320 (+ un inserto fotografico di 16 pp.).
- Hannah Arendt - Joachim Fest, Eichmann o la banalita' del male. Interviste, lettere, documenti, Giuntina, Firenze 2013, 2014, pp. 222.
- Hannah Arendt - Walter Benjamin, L'angelo della storia. Testi, lettere, documenti, Giuntina, Firenze 2017, 2018, pp. 270.
- Hannah Arendt - Guenther Anders, Scrivimi qualcosa di te. Lettere e documenti, Carocci, Roma 2017, pp. XII + 194.
- Hannah Arendt, L'amicizia e la Shoah. Corrispondenza con Leni Yahil, Edb, Bologna 2017, pp. 112.
- Hannah Arendt, Guenther Stern-Anders, Le Elegie duinesi di R. M. Rilke, Asterios, Trieste 2014, 2019, pp. 80.
- AA. VV., Hannah Arendt e la questione sociale, a cura di Ilaria Possenti, volume monografico di "aut aut", n. 386, giugno 2020, Il Saggiatore, Milano 2020.
- Guenther Anders, La battaglia delle ciliege, Donzelli, Roma 2015.
- Laura Boella, Hannah Arendt. Agire politicamente. Pensare politicamente, Feltrinelli, Milano 1995.
- Laura Boella, Hannah Arendt. Un umanesimo difficile, Feltrinelli, Milano 2020.
- Adriana Cavarero, Arendt e la banalita' del male, Gedi, Roma 2019.
- Roberto Esposito, L'origine della politica: Hannah Arendt o Simone Weil?, Donzelli, Roma 1996.
- Elzbieta Ettinger, Hannah Arendt e Martin Heidegger. Una storia d'amore, Garzanti, Milano 2000.
- Paolo Flores d'Arcais, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1995.
- Simona Forti (a cura di), Hannah Arendt, Milano 1999.
- Augusto Illuminati, Esercizi politici: quattro sguardi su Hannah Arendt, Manifestolibri, Roma 1994.
- Friedrich G. Friedmann, Hannah Arendt, Giuntina, Firenze 2001.
- Ingeborg Gleichauf, Hannah Arendt, Dtv, Muenchen 2000.
- Olivia Guaraldo, Arendt, Rcs, Milano 2014.
- Wolfgang Heuer, Hannah Arendt, Rowohlt, Reinbek bei Hamburg 1987, 1999.
- Julia Kristeva, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 2005.
- Luca Mori, Hanna Arendt. Filosofia e politica dopo Auschwitz, Carocci, Roma 2023, pp. 244.
- Ana Nuno, Hannah Arendt, Rba, Milano 2019.
- Alois Prinz, Io, Hannah Arendt, Donzelli, Roma 1999, 2009.
- Paul Ricoeur, Hannah Arendt, Morcelliana, Brescia 2017.
- Cristina Sanchez, Arendt. La politica in tempi bui, Hachette, Milano 2015.
- Agustin Serrano de Haro, Hannah Arendt, Rba, Milano 2018.
- Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt, Bollati Boringhieri, Torino 1994.

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DONNA, VITA, LIBERTA'
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A sostegno della lotta nonviolenta delle donne per la vita, la dignita' e i diritti di tutti gli esseri umani
a cura del "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo
Supplemento a "La nonviolenza e' in cammino" (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com
Numero 393 del 28 gennaio 2024
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Il "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo e' una struttura nonviolenta attiva dagli anni '70 del secolo scorso che ha sostenuto, promosso e coordinato varie campagne per il bene comune, locali, nazionali ed internazionali. E' la struttura nonviolenta che negli anni Ottanta ha coordinato per l'Italia la piu' ampia campagna di solidarieta' con Nelson Mandela, allora detenuto nelle prigioni del regime razzista sudafricano. Nel 1987 ha promosso il primo convegno nazionale di studi dedicato a Primo Levi. Dal 2000 pubblica il notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e' in cammino". Dal 2021 e' particolarmente impegnata nella campagna per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, da 47 anni prigioniero innocente.
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