[Nonviolenza] Telegrammi. 5084



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5084 del 19 gennaio 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Jean-Marie Muller: Alternative nonviolente alla guerra
2. Il 27 gennaio, "Giorno della memoria", si realizzino ovunque iniziative di studio, di riflessione, di testimonianza e d'impegno
3. Ricordando David Sassoli a due anni dalla scomparsa rinnoviamo la richiesta al parlamento italiano e a quello europeo di portare a compimento il suo impegno per la liberazione di Leonard Peltier
4. A costo di sembrare il solito grillo parlante... (novembre 2023)
5. Adesione popolare alla denuncia sulla presenza di armi nucleari in Italia
6. Sosteniamo Narges Mohammadi e la lotta delle donne in Iran. Chiediamo la liberazione dell'attivista Premio Nobel per la Pace e che siano accolte le sue richieste di rispetto dei diritti umani
7. Cosa possiamo (e dobbiamo) realmente fare contro la guerra in corso in Europa? (aprile 2023)
8. Segnalazioni librarie
9. La "Carta" del Movimento Nonviolento
10. Per saperne di piu'

1. TESTI. JEAN-MARIE MULLER: ALTERNATIVE NONVIOLENTE ALLA GUERRA
[Da Jean-Marie Muller, Il principio nonviolenza. Una filosofia della pace, Plus - Pisa University Press, Pisa 2004 (traduzione italiana di Enrico Peyretti dell'edizione originale Le principe de non-violence. Parcours philosophique, Desclee de Brouwer, Paris 1995), riprendiamo il capitolo decimo: "Alternative nonviolente alla guerra" (pp. 199-210). Ringraziamo di cuore Enrico Peyretti per averci messo a disposizione la sua traduzione e la casa editrice Plus - Pisa University Press per il suo consenso]

La guerra pone alla filosofia un tremendo problema: essa non soltanto contraddice, ma annulla l'esigenza primordiale dell'etica: "non uccidere". Dichiarare la guerra e' dare l'ordine – imperativo – a degli uomini di uccidere altri uomini. "Lo stato di guerra – scrive Emmanuel Levinas – sospende la morale; esso priva le istituzioni e le obbligazioni eterne della loro eternita' e, quindi, annulla nel provvisorio gli imperativi incondizionali. Esso proietta fin dall’inizio la sua ombra sugli atti degli uomini. La guerra non è soltanto una delle prove - la piu' grande tra l'altro - di cui vive la morale. Essa rende irrilevante la morale" (1). La guerra non e' soltanto lo scacco della filosofia, ne e' la negazione e il rinnegamento.
*
Clausewitz e la riflessione sulla guerra
Carl von Clausewitz ci propone una "filosofia della guerra" (2); egli presenta la sua riflessione come una "elaborazione filosofica dell'arte della guerra" (3). Secondo lui, l'essenza della guerra e' di essere un "duello" (4) e "il suo scopo immediato e' di abbattere l'avversario per renderlo incapace di ogni resistenza" (5). La guerra e' dunque lo scontro di due volonta' con i mezzi della violenza, avendo ognuno dei due avversari l'intenzione deliberata di imporre la propria volonta' all'altro.
Ma la guerra nasce da un conflitto politico tra due governi, e dunque il suo obiettivo e' politico. "La guerra – afferma Clausewitz – e' una semplice continuazione della politica con altri mezzi" (6). Dicendo questo, il generale prussiano non voleva dire, come si lascia talvolta intendere, che la politica era gia' guerra, ma, tutto al contrario, che la guerra doveva essere ancora una azione politica. "Se si pensa – egli scrive – che la guerra nasce da un disegno politico, e' naturale che questo motivo centrale da cui e' nata resti la prima considerazione che dettera' la sua condotta" (7). "La guerra – egli precisa ancora – non e' soltanto un atto politico, ma un vero strumento politico, un proseguimento delle relazioni politiche, una realizzazione di queste con altri mezzi. (...) L'intenzione politica e' il fine, mentre la guerra e' il mezzo, e non si puo' concepire il mezzo indipendentemente dal fine" (8). Piu' precisamente, la guerra e' una continuazione della politica con mezzi diversi da quelli della diplomazia: il governo "da' battaglia invece di scrivere delle note diplomatiche" (9). "La condotta della guerra – scrive ancora Clausewitz – e' dunque, nelle sue grandi linee, la politica stessa che impugna la spada invece della penna, senza per questo cessare di pensare secondo le proprie leggi" (10). I nuovi mezzi della guerra non devono essere altro che una "aggiunta", perche' "la guerra stessa non fa cessare le relazioni politiche" (11). In questa prospettiva, Clausewitz pensa che nell'elaborazione dei piani di una guerra, la preoccupazione maggiore dei governi deve essere di "subordinare il punto di vista militare al punto di vista politico" (12).
Ma e' possibile sostenere – come fa Clausewitz – che la guerra e' un semplice mezzo per continuare la politica? In realta', affermando, da una parte, che "la guerra e' un atto di violenza" (13), e, d'altra parte, che "la guerra e' un atto politico" (14), Clausewitz enuncia una contraddizione irreparabile. Infatti, il ricorso alla violenza non significa altro che uno scacco della politica, della quale tutto il progetto e' precisamente costruire e mantenere, anzitutto dentro la polis, ma anche al di fuori delle sue porte, un ordine che non debba nulla alla violenza. La politica e la guerra sono fondamentalmente anti-nomiche (la parola antinomia, dal greco anti e nomos, designa una contraddizione tra due leggi), cioe' le leggi della guerra sono contrarie alle leggi della politica. Del resto, Clausewitz e' consapevole di questa antinomia e parla della "contraddizione che c'e' nella natura della guerra verso gli altri interessi umani, individuali o sociali" (15). Ma allora la guerra non puo' essere una continuazione della politica: essa e' una interruzione della politica. Nel momento stesso della dichiarazione di guerra, la politica cede il terreno alla violenza e questa lo occupera' fino alla fine dello scontro. Nel migliore dei casi, la politica riprendera' i suoi diritti solo al momento dell'armistizio, quando cesseranno di parlare le armi e gli avversari si sederanno per parlare allo stesso tavolo di negoziazione.
Analizzando "il puro concetto teorico della guerra" (16), Clausewitz definisce quella che chiama "la legge degli estremi" (17): in astratto, "la guerra e' un atto di violenza e non c'e' limite alla manifestazione di questa violenza" (18). Ne risulta "un'azione reciproca che, in teoria, deve arrivare agli estremi" (19). Ma, in realta' – afferma Clausewitz – la guerra e' diversa da cio' che dovrebbe essere secondo il suo concetto teorico, perche' la sua condotta dipende essenzialmente dagli uomini e gli uomini non agiscono secondo i principi della logica pura: "La teoria deve tener conto dell'elemento umano" (20). Per questo, con ogni probabilita', la legge della salita fino agli estremi non si riscontrera' applicata nella realta'. "Tutta l'azione di guerra – conclude Clausewitz – cessa cosi' di essere sottomessa alle strette leggi che spingono le forze fino all'estremo" (21). Egli e' contento che sia cosi', altrimenti l'obiettivo politico della guerra si troverebbe "inghiottito dalla legge degli estremi" (22) e "noi avremmo a che fare con una cosa priva di senso e di intenzionalita'" (23). Se la guerra "fosse un atto completo, che niente intralcia, una manifestazione di violenza assoluta, come si potrebbe dedurla dal suo concetto puro, essa prenderebbe il posto della politica nello stesso istante in cui questa la provoca, e la eliminerebbe, e seguirebbe le proprie leggi come qualcosa di assolutamente indipendente dalla politica" (24). Se la legge dell'arrivare fino agli estremi si trovasse applicata nei fatti, si arriverebbe al "parossismo dello sforzo", "si perderebbe allora di vista la discussione delle esigenze politiche, e i mezzi non avrebbero piu' alcun rapporto con il fine" (25).
L'esigenza formulata da Clausewitz di "subordinare il punto di vista militare al punto di vista politico" effettivamente si impone, in linea teorica, per salvare la coerenza della sua teoria della guerra, ma ci possiamo chiedere se, in pratica, quel principio non urti contro piu' ostacoli di quanti egli non ne lasci intendere. Ci si puo' chiedere se, nella realta', la contraddizione oggettiva tra la natura della guerra e quella della politica, e, in altre parole, l'antinomia tra i mezzi (violenti) della guerra e il fine (nonviolento) della politica, non siano piu' forti di quella ricercata coerenza, e se, in definitiva, quale che sia l'intenzione soggettiva degli uomini politici che conducono le operazioni, non sia proprio il punto di vista politico che finisce subordinato al punto di vista militare. Certo, la manifestazione della violenza non e' mai senza limiti, ma non supera forse sempre i limiti entro i quali il punto di vista militare potrebbe essere subordinato al punto di vista politico? Quell'"elemento umano", di cui Clausewitz dice che la teoria deve tener conto, non e' forse la passione molto piu' spesso che la ragione? E la passione non e' forse di natura tale da spingere gli uomini a manifestare la loro violenza ben al di la' dei limiti imposti dalla ragione politica? Certo, Clausewitz non mancherebbe di rifiutare la "guerra totale" con l'argomento che i mezzi militari utilizzati cancellerebbero in quel caso "totalmente" il fine politico che pretende giustificare quella guerra. Ma dal momento che, nella realta', non e' possibile superare la contraddizione tra i mezzi della guerra e il fine della politica, grande e' la probabilita' che, in fin dei conti, i mezzi cancellino il fine. Come minimo, questa probabilita' e' troppo importante perche' non ci domandiamo se non esistano altri mezzi diversi dalla guerra, dei mezzi che siano essi stessi politici, quindi nonviolenti, per proseguire la politica quando la diplomazia ha fallito nel risolvere un conflitto. E senza dubbio si puo' tentare di rispondere a questa domanda appoggiandosi sulla riflessione di Clausewitz.
Quando chiede: "Come si puo' influire sulla probabilita' del  successo?", Clausewitz risponde: "Anzitutto, materialmente con gli stessi mezzi che servono a vincere il nemico, cioe' la distruzione delle sue forze militari" (26). Senza dubbio alcuno, la scelta della nonviolenza ci priva totalmente di questi mezzi. Ma Clausewitz espone in seguito "un altro particolare modo di pesare sulla probabilita' di successo senza che vi sia disfatta delle forze armate del nemico, cioe' operazioni che siano in rapporto diretto con la politica" (27).  Egli suggerisce che, se noi arriviamo in questo modo a "suscitare delle attivita' politiche in nostro favore", questo vale a "condurci allo scopo molto piu' rapidamente che la disfatta delle forze armate nemiche" (28). Poi, egli pone la "questione di sapere come fare pressione sul dispendio di forza del nemico" e risponde che la soluzione "consiste nell'usura delle sue forze" (29). Precisamente scrive: "Non e' soltanto per fornire una definizione verbale che scegliamo questa espressione, l'usura, ma perche' essa definisce esattamente la cosa ed e' meno figurata di quel che sembri a prima vista. L'idea di usura mediante il combattimento implica un esaurimento graduale delle forze fisiche e della volonta' per mezzo della durata dell'azione" (30).
Alla luce stessa dei principi della teoria di Clausewitz sull'affrontare le forze nemiche, e' possibile qui definire il concetto di una difesa civile fondata sulla strategia della resistenza nonviolenta. Questa strategia, se non puo' pretendere di esaurire le forze fisiche del nemico, puo' darsi l'obiettivo di usurare la sua volonta' politica fino al punto che esso rinunci alla sua impresa. Se qui non puo' essere questione di distruggere le forze nemiche, si tratta pero' di "arrivare alla distruzione delle intenzioni avverse, cioe' arrivare alla pura resistenza, che non mira ad altro che a prolungare la durata dell'azione fino a sfinirvi l'avversario" (31). Se noi concentriamo tutte le nostre risorse in vista di una pura resistenza, "allora la semplice durata del combattimento bastera' poco a poco a ottenere il dispendio di forza del nemico, fino al punto che il suo obiettivo politico non sara' piu' un equivalente adeguato, dunque fino ad un punto in cui dovra' abbandonare la lotta" (32). Si tratta dunque di "perseverare nella durata del combattimento piu' a lungo del nemico, cioe' di esaurirlo" (33).
Con la durata, interviene un altro fattore che ha pure un effetto determinante sull'efficacia di una resistenza popolare: quello dello spazio. L'efficacia di una resistenza e' direttamente proporzionale alla durata dell'azione, ma anche alla sua estensione. Parlando della "guerra del popolo", Clausewitz osserva: "L'azione della resistenza, come il processo di evaporazione nel campo fisico, dipende dall'estensione della superficie esposta" (34). Le forze di repressione, specialmente, potranno tanto piu' difficilmente neutralizzare la resistenza quanto piu' questa sara' estesa: "Lo spirito di resistenza diffuso dappertutto non e' afferrabile in alcun luogo" (35).
Le "operazioni ostili" (36) terminano e la guerra finisce quando la volonta' dell'uno o dell'altro dei due avversari si trova stroncata ed egli decide di firmare la pace. "Non appena i consumi di forza – scrive Clausewitz – diventano cosi' grandi che non corrispondono piu' al valore dell'obiettivo politico, bisognera' abbandonare questo obiettivo e firmare la pace" (37). Allo stesso modo, una resistenza civile nonviolenta deve darsi come strategia il condurre l'avversario a constatare che l'impegno dei suoi soldati e funzionari gli chiede dei dispendi di forza sproporzionati all'obiettivo politico che si e' dato e che, allora, il suo interesse gli impone di negoziare un trattato di pace.
Riferendoci cosi' alle proposizioni di Clausewitz, prendendo da lui molte delle sue formule e applicandole alla strategia della resistenza nonviolenta, non vogliamo assolutamente pretendere che il generale prussiano avrebbe fatto, senza saperlo, un'arringa a favore della difesa nonviolenta. Per lui non c'e' alcun dubbio che "la decisione con le armi" (38) e' la legge suprema dello scontro tra due Stati. Egli afferma: "La soluzione cruenta della crisi, lo sforzo tendente all'annientamento delle forze nemiche e' il figlio legittimo della guerra" (39). Per lui sarebbe un errore di principio "dare la preferenza a una decisione che non comporti effusione di sangue" (40). Se si sceglie questo metodo, lo si fa a rischio che non sia il migliore.
Noi sosteniamo soltanto che molte delle categorie definite da Clausewitz per costruire la sua teoria della guerra permettono di elaborare una teoria coerente e pertinente della difesa civile nonviolenta. E' ovvio che le due teorie restano largamente antagoniste in molti dei loro postulati e delle loro conclusioni. Ma questo, ci sembra, non puo' proibirci i prestiti che abbiamo fatto e le corrispondenze che abbiamo stabilito.
*
La difesa civile nonviolenta (*)
Di per se' il disarmo non offre nessuna soluzione al problema della guerra. In realta', l'armamento non e' la causa delle guerre. Non sono le armi che creano le guerre, ma, al contrario, sono le guerre che creano le armi. Non si tratta dunque di volere sopprimere le armi per sopprimere le guerre, ma si tratta di sopprimere le guerre per potere sopprimere le armi. Ora, non si sopprimeranno le guerre volendo sopprimere i conflitti. Questi, i conflitti, costituiscono la trama stessa della storia degli uomini, delle comunita' e dei popoli. Si sopprimeranno le guerre se si vorranno risolvere i conflitti con dei mezzi diversi dalle armi. Si tratta dunque chiaramente di immaginare degli altri mezzi da quelli dalla violenza per risolvere in modo umano gli inevitabili conflitti umani.
Non si tratta tanto di reclamare il disarmo quanto di creare le condizioni che lo rendono possibile. In questa prospettiva, conviene fissarsi un obiettivo che tenga conto della realta' e della necessita' di creare una dinamica capace di cambiarla. Il concetto di transarmo sembra il piu' appropriato per designare questo obiettivo. Questo concetto esprime l'idea di una transizione nel corso della quale devono essere preparati i mezzi di una difesa civile nonviolenta che apportino delle garanzie analoghe ai mezzi militari senza comportare gli stessi rischi. Mentre la parola "disarmo" non esprime che un rifiuto, la parola "transarmo" vuole tradurre un progetto. Mentre il disarmo evoca una prospettiva negativa il transarmo suggerisce un passo costruttivo. La sicurezza e' un bisogno fondamentale di ogni collettivita' umana, e, nella misura in cui i membri di una societa' hanno il senso che la loro sicurezza esige il possesso di armi capaci di opporsi efficacemente ad un'aggressione, il disarmo non potra' generare in loro che una profonda insicurezza. Prima di potere disarmare, bisogna poter lucidare delle armi diverse da quelle della violenza. Tuttavia, i concetti di transarmo e di disarmo non sono antagonisti, perche' una delle finalita' del processo di transarmo e' di rendere possibili delle misure effettive di disarmo.
Il transarmo (**) mira a creare un'alternativa alla difesa militare, cioe' mira ad organizzare una difesa civile nonviolenta che possa sostituirsi alla difesa armata.
Ma questo non puo' essere che un obiettivo a lungo termine. Prima che la difesa civile nonviolenta possa essere considerata dalla maggioranza della popolazione e dai poteri pubblici come un'alternativa efficace alla difesa armata, il primo obiettivo e' stabilire la sua fattibilita' e di farle acquistare una reale credibilita'.
Clausewitz sottolinea che uno dei fattori che agiscono sulla guerra e' il "teatro delle operazioni", che e' costituito dal "territorio con il suo spazio e con la sua popolazione" (41). Nel quadro della strategia della difesa civile nonviolenta, il teatro delle operazioni e' costituito dalla societa' con le sue istituzioni democratiche e la sua popolazione. In realta', l'invasione e l'occupazione di un territorio non costituiscono gli scopi di un'aggressione; non sono che dei mezzi per stabilire il controllo e il dominio di una societa'. Gli obiettivi piu' probabili che un avversario cerca di raggiungere occupando un territorio sono l'influenza ideologica, il dominio politico e lo sfruttamento economico. Per raggiungere questi obiettivi gli occorre occupare la societa', piu' precisamente gli e' necessario occupare le istituzioni democratiche della societa'. Di conseguenza, le frontiere che un popolo deve difendere per salvaguardare la sua liberta' sono quelle della democrazia. Il territorio la cui integrita' garantisce la sovranita' di una nazione non e' quello della geografia ma quello della democrazia. Ne risulta che, in una societa' democratica, la politica di difesa non deve avere per fondamento la difesa dello stato, ma la difesa dello stato di diritto.
Conviene dunque ricentrare il dibattito sulla difesa attorno ai concetti di democrazia e di cittadinanza. Se l'oggetto della difesa e' la democrazia, l'attore della difesa e' il cittadino, perche' egli e' l'attore della democrazia. Importa dunque riflettere sul rapporto che una societa' democratica deve stabilire tra la difesa e il cittadino. Fino ad oggi, al di la' delle affermazioni retoriche secondo le quali la difesa e' "l'affare di tutti", le nostre societa' non hanno saputo permettere ai cittadini di assumere una responsabilita' effettiva nell'organizzazione della difesa della democrazia contro le aggressioni di cui essa puo' essere l'oggetto, sia che queste vengano dall'interno o dall'esterno. L'ideologia securitaria della dissuasione militare ha avuto come effetto di deresponsabilizzare l'insieme dei cittadini in rapporto ai loro obblighi di difesa. Dal momento che la tecnologia precede, soppianta e finisce per svuotare la riflessione politica e la ricerca strategica, non e' piu' il cittadino che e' l'attore della difesa, ma lo strumento tecnico, la macchina militare, il sistema d'armi.
Importa dunque che i cittadini si riapproprino del ruolo che deve essere il loro nella difesa della democrazia. Per fare partecipare i cittadini alla difesa della societa' non basta voler immettere uno "spirito di difesa" nella popolazione civile, si tratta invece di preparare una vera "strategia di difesa" che possa mobilitare l'insieme dei cittadini in una "difesa civile" della democrazia. Fino ad oggi la sensibilizzazione dei cittadini, compresi i bambini, ai doveri di difesa si e' situata nel quadro stretto dell'organizzazione della difesa militare. Questa restrizione non puo' che ostacolare lo sviluppo di una reale volonta' di difendere le  istituzioni che garantiscono il funzionamento della democrazia. Perche' lo spirito di difesa si diffonda realmente nella societa', bisogna civilizzare la difesa e non militarizzare i civili. La mobilitazione dei cittadini potra' essere tanto piu' effettiva e operativa, se i compiti che sono loro proposti saranno nel quadro di istituzioni  politiche, amministrative, sociali ed economiche nelle quali essi lavorano quotidianamente. La preparazione della difesa civile si inscrive in totale continuita' ed in perfetta omogeneita' con la vita dei cittadini nelle istituzioni in cui essi esercitano le loro responsabilita' civiche. Lo spirito di difesa che e' loro richiesto si radica direttamente nello spirito civico che anima le loro attivita' quotidiane.
Di fronte ad ogni tentativo di destabilizzazione, di controllo, di dominio, di aggressione o di occupazione della societa' intrapreso da un potere illegittimo, e' dunque essenziale che la resistenza civile dei cittadini si organizzi sul fronte delle istituzioni democratiche che permettono il libero esercizio dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario, la cui funzione e' di garantire le liberta' e i diritti di tutti e di ciascuno. E' responsabilita' dei cittadini che esercitano delle funzioni in queste istituzioni di vegliare perche' queste continuino a funzionare secondo le regole della democrazia. Tocca dunque a loro, ai cittadini, di rifiutare ogni sottomissione a qualunque potere illegittimo che, ispirandosi ad una ideologia antidemocratica, tentasse di distogliere queste istituzioni dai loro propri fini.
Obiettivo ultimo di ogni potere illegittimo che voglia prendere il controllo di una societa' e' di ottenere, con mezzi congiunti di persuasione, di pressione, di costrizione, e di repressione, la collaborazione e la complicita' oggettiva dei cittadini, almeno del piu' grande numero di questi. Da questo segue che l'asse centrale di una difesa civile e' l'organizzazione del rifiuto generalizzato, ma selettivo e perfettamente mirato, di questa collaborazione. Si puo' cosi' definire la difesa civile come una politica di difesa della societa' democratica contro ogni tentativo di controllo politico o di occupazione militare, mobilitando l'insieme dei cittadini in una resistenza che coniughi, in maniera preparata ed organizzata, delle azioni nonviolente di non-cooperazione e delle azioni di confronto con ogni potere illegittimo, in modo che questo sia messo nell'incapacita' di raggiungere i suoi obiettivi ideologici, politici ed economici con i quali esso giustifica la sua aggressione.
E' essenziale che l'organizzazione di questa difesa non sia lasciata all'iniziativa individuale. E' compito dei poteri pubblici preparare la difesa civile di tutti gli spazi istituzionali della societa' politica. Occorre dunque che il governo elabori delle istruzioni ufficiali sugli obblighi dei funzionari, qualora essi si trovino in una situazione di crisi acuta in cui debbano fare fronte agli ordini di un potere illegittimo. Queste istruzioni devono sottolineare che le amministrazioni pubbliche hanno un ruolo strategico decisivo nella difesa della democrazia, cioe' il ruolo di privare qualsiasi potere usurpatore dei mezzi esecutivi di cui ha bisogno per mettere in atto la sua politica.
Mentre e' preparata nella societa' politica, la difesa civile deve essere preparata anche in seno alla societa' civile, nel quadro delle varie organizzazioni e associazioni che i cittadini stessi si sono dati per radunarsi secondo le proprie affinita' politiche, sociali, culturali o religiose. Le reti formate da queste associazioni di cittadini, che occupano tutto la spazio sociale del paese, e che comportano principalmente i movimenti politici, i sindacati, i movimenti associativi e le comunita' religiose, devono poter diventare, in una situazione di crisi che metta in pericolo la democrazia, altrettante reti di resistenza. A proposito del ruolo specifico delle associazioni, Alain Refalo scrive: "La responsabilita' civica dei cittadini inseriti nell'ambiente associativo deve prolungarsi nella difesa della societa' civile quando questa e' aggredita. Le associazioni, attrici della democrazia, devono ugualmente essere le attrici della difesa della democrazia" (42).
La messa in opera istituzionale della difesa civile nonviolenta da parte dei poteri pubblici si urta e con ogni probabilita' si urtera' ancora a lungo con molte pesantezze sociologiche. In realta', lo Stato ha prima di tutto bisogno dell'esercito per se stesso, al fine di assicurare la propria autorita', mantenerla e, nel caso, ristabilirla. Se la mistica militare confessa una religione della liberta', la politica militare pratica una religione dell'ordine. D'altra parte, lo Stato ha troppo il culto dell'obbedienza per non provare una forte ripugnanza al fatto che si insegni ai cittadini a rifiutare di obbedire agli ordini illegittimi. A questo proposito Gene Sharp scrive: "E'  molto probabile che questa fede nell'onnipotenza della violenza e questa ignoranza della potenza della lotta popolare nonviolenta, siano state perfettamente compatibili con gli interessi delle elites dominanti del passato, le quali non volevano che il popolo prendesse coscienza del proprio potere potenziale" (43).
Cosi', oggi come ieri, la messa in opera della difesa civile nonviolenta resta una vera sfida. Non sarebbe ragionevole attendersi dai poteri pubblici che essi l'organizzino nella stessa maniera in cui organizzano la difesa militare, per mezzo di un processo che sarebbe imposto dall'alto dello Stato al basso della societa'. E' compito anzitutto dei cittadini essere loro stessi convinti che questo e' necessario per la difesa della democrazia, cioe', in definitiva, per la difesa dei loro propri diritti e liberta'. Qui come in altri aspetti, ogni volta che e' anzitutto ed essenzialmente in questione la democrazia, la parola e' anzitutto ai cittadini.
*
Note dell'autore
1. Emmanuel Levinas, Totalite' et infini, op. cit., p. 5; tr. it. cit., di Adriano Dell'Asta, Jaca Book Edizioni, Milano 1982, p. 19.
2. Carl von Clausewitz, De la guerre, Paris, Les Editions de Minuit, 1955, p. 52; tr. it. Della guerra, a cura e traduzione di Gian Enrico Rusconi, Einaudi, Torino 2000.
3. Ibidem, p. 44.
4. Ibidem, p. 51.
5. Ibidem.
6. Ibidem, p. 67.
7. Ibidem, p. 66.
8. Ibidem, p. 67.
9. Ibidem, p. 705.
10. Ibidem, p. 710.
11. Ibidem, p. 703.
12. Ibidem, p. 706.
13. Ibidem, p. 53.
14. Ibidem, p. 66.
15. Ibidem, p. 703.
16. Ibidem, p. 55.
17. Ibidem, p. 58.
18. Ibidem, p. 53.
19. Ibidem.
20. Ibidem, p. 65.
21. Ibidem, p. 58.
22. Ibidem.
23. Ibidem, p. 704.
24. Ibidem, p. 66.
25. Ibidem, p. 678.
26. Ibidem, p. 73.
27. Ibidem.
28. Ibidem, p. 73-74.
29. Ibidem, p. 74.
30. Ibidem.
31. Ibidem, p. 81.
32. Ibidem, p. 75.
33. Ibidem.
34. Ibidem, p. 552.
35. Ibidem, p. 553.
36. Ibidem, p. 70.
37. Ibidem, p. 72.
38. Ibidem, p. 82.
39. Ibidem, p. 83.
40. Ibidem, p. 82.
41. Ibidem, p. 57.
42. Alain Refalo, "Place et role des associations dans une strategie de dissuasions civile", Alternatives non-violentes, n. 72, octobre 1989, p. 28.
43. Gene Sharp, "A la recherche d'une solution au probleme de la guerre", Alternatives non-violentes, n. 34, p. 72.
*
Note supplementari del traduttore
* Conserviamo nella traduzione questa espressione dell'Autore per esprimere il concetto che ora, in Italia, e' prevalentemente denominato "difesa nonarmata e nonviolenta" (n. d. tr.).
** Questo concetto di transarmo presentato da Muller differisce un poco da quello proposto da Johan Galtung e piu' noto in Italia: "Processo di transizione da un modello di difesa fondato su armi di offesa a un modello di difesa che utilizza esclusivamente armi difensive, sino alla loro totale estinzione nel caso della difesa popolare nonviolenta" (Ambiente, sviluppo e attivita' militare, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1984, p. 151; vedi anche pp. 35, 99-115, 132). La nozione di Galtung e' piu' articolata nei passaggi intermedi (n. d. tr.).

2. INIZIATIVE. IL 27 GENNAIO, "GIORNO DELLA MEMORIA", SI REALIZZINO OVUNQUE INIZIATIVE DI STUDIO, DI RIFLESSIONE, DI TESTIMONIANZA E D'IMPEGNO

Il 27 gennaio, "Giorno della memoria", si realizzino ovunque iniziative di studio, di riflessione, di testimonianza e d'impegno.
*
Testo della Legge 20 luglio 2000, n. 211: "Istituzione del Giorno della Memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti"
Art. 1. La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonche' coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.
Art. 2. In occasione del "Giorno della Memoria" di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto e' accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinche' simili eventi non possano mai piu' accadere.
*
Ogni essere umano ha diritto alla vita, alla dignita', alla solidarieta'.
Il razzismo e' un crimine contro l'umanita'.
Soccorrere, accogliere, assistere ogni persona bisognosa di aiuto.
Siamo una sola umanita' in un unico mondo vivente casa comune dell'umanita' intera.
Opporsi alla guerra e a tutte le uccisioni, opporsi al razzismo e a tutte le persecuzioni, opporsi al maschilismo e a tutte le oppressioni.
Salvare le vite e' il primo dovere.

3. APPELLI. RICORDANDO DAVID SASSOLI A DUE ANNI DALLA SCOMPARSA RINNOVIAMO LA RICHIESTA AL PARLAMENTO ITALIANO E A QUELLO EUROPEO DI PORTARE A COMPIMENTO IL SUO IMPEGNO PER LA LIBERAZIONE DI LEONARD PELTIER

Due anni fa, l'11 gennaio 2022, moriva David Sassoli, indimenticabile presidente del Parlamento Europeo e persuaso difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Pochi mesi prima aveva espresso pubblicamente il suo impegno per la liberazione di Leonard Peltier, l'illustre attivista nativo americano difensore dei diritti umani di tutti gli esseri umani e dell'intero mondo vivente, ormai da 48 anni prigioniero innocente.
Il 23 agosto 2021 David Sassoli tenne una conferenza stampa in cui annuncio' il suo personale impegno per la liberazione di Leonard Peltier.
L'iniziativa di David Sassoli si ricollegava idealmente a due precedenti importanti pronunciamenti del Parlamento Europeo, del 1994 e del 1999.
E si collegava anche al movimento che in Italia in quel momento riproponeva con forza l'esigenza e l'urgenza che Leonard Peltier venisse finalmente liberato.
In un suo tweet che accompagnava e sintetizzava la conferenza stampa del 23 agosto 2021 David Sassoli dichiarava, in italiano e in inglese:
"Inviero' una lettera alle autorita' statunitensi chiedendo clemenza per Leonard Peltier, attivista per i diritti umani dell'American Indian Movement, in carcere da 45 anni.
Spero che le autorita' accolgano il mio invito. I diritti umani vanno difesi sempre, ovunque".
"I will send a letter to the US authorities asking for clemency for Leonard Peltier. A human rights activist of the American Indian Movement, he has been imprisoned for 45 years.
I hope the authorities will take up my invitation. Human rights must be defended always, everywhere".
*
Lanciamo un appello a riprendere e portare a compimento quell'iniziativa di David Sassoli per la liberazione di Leonard Peltier.
Nel ricordo di David Sassoli chiediamo ancora una volta al parlamento italiano e a quello europeo di portare a compimento il suo impegno per la liberazione di Leonard Peltier.
La medesima richiesta rivolgiamo ancora una volta ad ogni persona di volonta' buona e ad ogni umano istituto impegnato per la pace, la democrazia, i diritti umani e la difesa della biosfera: giunga al Presidente degli Stati Uniti d'America la richiesta corale dell'umanita' intera di concedere finalmente la grazia presidenziale che restituisca la liberta' a Leonard Peltier.


4. REPETITA IUVANT. A COSTO DI SEMBRARE IL SOLITO GRILLO PARLANTE... (NOVEMBRE 2023)

Ci sono alcune cose che vanno pur dette, e allora diciamole.
*
Ogni manifestazione a favore dell'esistenza dello stato di Israele che non s'impegni anche per la nascita dello stato di Palestina rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione a sostegno del popolo palestinese che non s'impegni anche a sostegno del popolo ebraico rischia di essere inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da un'organizzazione terrorista e non quelle commesse da uno stato e' peggio che inutile.
Ogni manifestazione che condanni le stragi commesse da uno stato e non quelle commesse da un'organizzazione terrorista e' peggio che inutile.
*
Sia il popolo palestinese che il popolo ebraico sono realmente minacciati di genocidio.
E' compito dell'umanita' intera impedire questi genocidi, tutti i genocidi.
Per impedire il genocidio del popolo ebraico e' indispensabile l'esistenza dello stato di Israele.
Per immpedire il genocidio del popolo palestinese e' indispensabile l'esistenza dello stato di Palestina.
*
Allo stato di Israele chiediamo:
1. di cessare la guerra a Gaza e il sostegno alle violenze dei coloni in Cisgiordania.
2. di cessare di occupare i territori palestinesi e di riconoscere l'esistenza dello stato di Palestina nei territori della Cisgiordania e di Gaza devolvendo immediatamente tutte le funzioni giurisdizionali ed amministrative e le risorse relative all'Autorita' Nazionale Palestinese - intesa come governo provvisorio dello stato di Palestina fino alle elezioni democratiche -.
3. di sgomberare immediatamente le illegali colonie nei territori occupati, restituendo quelle aree al popolo palestinese.
4. di concordare con l'Autorita' Nazionale Palestinese l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di essere una piena democrazia abrogando ogni misura legislativa ed amministrativa di discriminazione razzista.
*
All'Autorita' Nazionale Palestinese chiediamo:
1. di assumere immediatamente il governo della Striscia di Gaza.
2. di adoperarsi ivi per l'immediata liberazione di tutte le persone rapite da Hamas.
3. di organizzare lo stato di Palestina indipendente e democratico.
4. di concordare con lo stato di Israele l'avvio di tutti i negoziati necessari per risolvere le molte questioni da affrontare come due stati sovrani in condizioni di parita'.
5. di adoperarsi affinche' nessuno stato arabo o musulmano possa piu' proseguire in una politica antisraeliana ed antiebraica prendendo abusivamente a pretesto la causa palestinese.
*
All'Onu chiediamo:
1. un piano straordinario di aiuti per la Palestina.
2. una deliberazione dell'Assemblea Generale che riconoscendo i due stati di Israele e di Palestina vincoli tutti gli stati membri delle Nazioni Unite a cessare ogni politica di negazione dello stato di Israele, ogni politica di persecuzione antiebraica.
*
Agli stati ed agli organismi politici sovranazionali d'Europa (l'Europa che e' il continente in cui si sono realizzati la bimillenaria persecuzione antiebraica e l'orrore assoluto della Shoah; l'Europa che e' il continente i cui principali stati hanno oppresso i popoli del resto del mondo con il razzismo, il colonialismo, l'imperialismo fin genocida) chiediamo:
1. di risarcire adeguatamente sia lo stato di Israele che lo stato di Palestina per le sofferenze inflitte ai loro popoli sia direttamente che indirettamente.
2. di contrastare il fascismo e il razzismo, l'antisemitismo e l'islamofobia, tutte le ideologie di odio e le organizzazioni che le praticano e le diffondono, e tutti i crimini conseguenti.
*
Fermare la guerra.
Fermare le stragi.
Restituire la liberta' a tutte le persone che ne sono state private.
Riconoscere e proteggere tutti i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Salvare le vite e' il primo dovere.

5. REPETITA IUVANT. ADESIONE POPOLARE ALLA DENUNCIA SULLA PRESENZA DI ARMI NUCLEARI IN ITALIA
[Riceviamo e diffondiamo. Andando sul sito www.peacelink.it o sul sito www.pressenza.com e' possibile attivare i link per accedere a ulteriori materiali e per sottoscrivere l'iniziativa]

Il prossimo passo della denuncia trasmessa alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma lo scorso 2 ottobre, riguardante la presenza delle armi nucleari in Italia e in attesa che si attivi la corrispondente inchiesta, riguarda l'adesione popolare a tale denuncia: parte oggi con una sottoscrizione popolare che si puo' realizzare online grazie alla piattaforma predisposta all'interno del sito di PeaceLink, storico portale telematico del pacifismo italiano.
Andando a questo indirizzo sara' possibile firmare la petizione di adesione di cui riportiamo il testo:
Ho appreso che in data 2 ottobre 2023 e' stata depositata alla Procura presso il Tribunale di Roma una denuncia per accertare la presenza di armi nucleari in Italia, verificarne la illegittimita' ed individuare i responsabili. Ho letto il testo e lo condivido. Approvo l'iniziativa alla quale vorrei partecipare. Non potendo piu' sottoscrivere la denuncia, ormai depositata, chiedo che questa mia lettera venga allegata agli atti del procedimento come segno di sostegno all'iniziativa.
In particolare mi sembrano significative le seguenti norme riportate nel testo della denuncia.
"In data 24 aprile 1975 l'Italia ha sottoscritto il Trattato di non Proliferazione Nucleare (TNP), trattato internazionale incentrato, in particolare su:
a) la c.d. "non proliferazione" del nucleare, in base alla quale gli Stati in possesso di armi nucleari (c.d. "Paesi nucleari") si impegnano a non trasferire armi di tale natura a quelli che ne sono privi (c.d. "Paesi non nucleari"), mentre questi ultimi si obbligano a non ricevere e/o acquisire il controllo diretto o indiretto di ordigni nucleari (artt. I, II, III);
b) il disarmo nucleare, che impone il ricorso a trattative finalizzate alla definitiva cessazione della prassi di armamento nucleare (art. VI).
Il diritto bellico internazionale vieta l'uso e la minaccia dell'uso delle armi nucleari in qualsiasi circostanza.
La L. 185/1990 vieta la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiale di armamento senza l'autorizzazione dell'autorita' e, in ogni caso, di armi nucleari.
Ciononostante, la presenza di armi nucleari sul suolo nazionale puo' ormai considerarsi certa".
Sono consapevole della rilevanza politica dell'iniziativa giudiziaria. Credo, pero', fermamente nello Stato di diritto, nella ripartizione dei poteri e, soprattutto, nell'indipendenza della magistratura.
Sono certo che anche questa denuncia sara' valutata senza timori per le implicazioni politiche sottese.
*
Informazioni sulla denuncia
La denuncia e' sottoscritta a livello individuale da 22 esponenti di associazioni pacifiste e antimilitariste: Abbasso la guerra, Donne e uomini contro la guerra, Associazione Papa Giovanni XXIII, Centro di documentazione del Manifesto Pacifista Internazionale, Tavola della Pace Friuli Venezia Giulia, Rete Diritti Accoglienza Solidarieta' Internazionale, Pax Christi, Pressenza, WILPF, Centro sociale 28 maggio, Coordinamento No Triv, e singoli cittadini. Alcune di queste associazioni condividono collettivamente i contenuti di questa iniziativa.
Il testo della denuncia e' visionabile cliccando su questo link.
*
Aderisci:
Come persona
Come associazione

6. REPETITA IUVANT. SOSTENIAMO NARGES MOHAMMADI E LA LOTTA DELLE DONNE IN IRAN. CHIEDIAMO LA LIBERAZIONE DELL'ATTIVISTA PREMIO NOBEL PER LA PACE E CHE SIANO ACCOLTE LE SUE RICHIESTE DI RISPETTO DEI DIRITTI UMANI

Sosteniamo Narges Mohammadi, Premio Nobel per la pace, detenuta in Iran per la sua lotta nonviolenta in difesa dei diritti umani e per l'abolizione della pena di morte.
Sosteniamo la lotta nonviolenta delle donne in Iran per la dignita' umana di tutti gli esseri umani.
Sia liberata Narges Mohammadi e tutte le prigioniere e tutti i prigionieri di coscienza, tutte le detenute e tutti i detenuti politici, tutte le persone innocenti perseguitate e sequestrate, in Iran come ovunque.
Cessi l'oppressione delle donne in Iran come ovunque nel mondo, siano rispettati i diritti umani di tutti gli esseri umani.
*
Chiediamo al Parlamento e al governo italiano di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
Chiediamo al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo e alla Commissione Europea di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
Chiediamo al Segretario Generale e all'Assemblea Generale dell'Onu di premere sul governo iraniano affinche' a Narges Mohammadi sia restituita la liberta' e le sue richieste di rispetto dei diritti umani siano accolte.
*
Chiediamo a tutte le persone di volonta' buona, a tutti i movimenti democratici, a tutte le istituzioni sollecite del bene comune e della dignita' umana, a tutti i mezzi d'informazione impegnati per la verita' e la giustizia, d'impegnarsi a sostegno di Narges Mohammadi e delle donne iraniane.
*
Donna, vita, liberta'.

7. REPETITA IUVANT. COSA POSSIAMO (E DOBBIAMO) REALMENTE FARE CONTRO LA GUERRA IN CORSO IN EUROPA? (APRILE 2023)

Certo, continuare a soccorrere, accogliere, assistere tutte le vittime.
Certo, continuare a recare aiuti umanitari a tutte le vittime.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia di chi la guerra ha scatenato.
Certo, continuare a denunciare la criminale follia dei governi che, invece di adoperarsi per far cessare la guerra e le stragi di cui essa consiste, alimentano l'una e quindi le altre.
Certo, continuare a denunciare il pericolo estremo e immediato che la guerra divenga mondiale e nucleare e distrugga l'intera umana famiglia riducendo a un deserto l'intero mondo vivente.
Certo, continuare a denunciare che la guerra sempre e solo uccide gli esseri umani,  sempre e solo uccide gli esseri umani,  sempre e solo uccide gli esseri umani.
Certo, continuare ad esortare chi nella guerra e' attivamente coinvolto a cessare di uccidere, a deporre le armi, a disertare gli eserciti, a obiettare a comandi scellerati, a rifiutarsi di diventare un assassino.
Certo, continuare a ricordare che salvare le vite e' il primo dovere di tutti gli esseri umani e di tutti gli umani istituti.
*
Tutto cio' e' buono e giusto, ma non basta.
Occorre fare anche altre cose che solo noi qui in Europa occidentale possiamo e dobbiamo fare.
E le cose che possiamo e dobbiamo fare sono queste:
1. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale contrastare anche qui la macchina bellica, l'industria armiera, i mercanti di morte, la follia militarista, i governanti stragisti: paralizzare i poteri assassini occorre.
2. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di mettere il veto ad ogni iniziativa della Nato, l'organizzazione terrorista e stragista di cui i nostri paesi tragicamente fanno parte: paralizzare immediatamente i criminali della Nato occorre, e successivamente procedere allo scioglimento della scellerata organizzazione.
3. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di cessare di armare ed alimentare la guerra e sostenere invece l'impegno per l'immediato cessate il fuoco ed immediate trattative di pace.
4. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei di restituire all'Onu la funzione e il potere di abolire il flagello della guerra.
5. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei la pace, il disarmo, la smilitarizzazione.
6. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica della sicurezza comune dell'umanita' intera fondata sulla Difesa popolare nonviolenta, sui Corpi civili di pace, sulle concrete pratiche che inverino l'affermazione del diritto alla vita, alla dignita' e alla solidarieta' di tutti i popoli e di tutte le persone.
7. Con l'azione diretta nonviolenta fino allo sciopero generale imporre ai governi europei una politica comune di attiva difesa dell'intero mondo vivente prima che la catastrofe ambientale in corso sia irreversibile.
*
E' questa la nostra opinione fin dall'inizio della tragedia in corso.
Ci sembra che senza queste azioni nonviolente la guerra, le stragi e le devastazioni non saranno fermate.
Troppi esseri umani sono gia' stati uccisi per la criminale follia dei governanti.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi per la salvezza comune dell'umanita' intera.
Sia massima universalmente condivisa la regola aurea che afferma: agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che le altre persone agissero verso di te.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Solo la nonviolenza puo' salvare l'umanita' dalla catastrofe.

8. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Riletture
- Vittorio Foa, Il cavallo e la torre. Riflessioni su una vita, Einaudi, Torino 1991, pp. VIII + 344.
- Vittorio Foa, Questo Novecento, Einaudi, Torino 1996, pp. X + 406.

9. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

10. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 5084 del 19 gennaio 2024
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
*
Nuova informativa sulla privacy
Alla luce delle nuove normative europee in materia di trattamento di elaborazione dei  dati personali e' nostro desiderio informare tutti i lettori del notiziario "La nonviolenza e' in cammino" che e' possibile consultare la nuova informativa sulla privacy: https://www.peacelink.it/peacelink/informativa-privacy-nonviolenza
Per non ricevere piu' il notiziario e' sufficiente recarsi in questa pagina: https://lists.peacelink.it/sympa/signoff/nonviolenza
Per iscriversi al notiziario, invece, l'indirizzo e' https://lists.peacelink.it/sympa/subscribe/nonviolenza
*
L'unico indirizzo di posta elettronica utilizzabile per contattare la redazione e' centropacevt at gmail.com

Privo di virus.www.avg.com