[Nonviolenza] Telegrammi. 4904



TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4904 del 23 luglio 2023
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com, sito: https://lists.peacelink.it/nonviolenza/

Sommario di questo numero:
1. Una proposta per le elezioni europee del 2024: una lista nonviolenta per la pace e contro il razzismo
2. L'appello dei giuristi per Julian Assange
3. Lanfranco Peyretti: Un pacifismo possibile
4. Una minima notizia su Leonard Peltier
5. Segnalazioni librarie
6. La "Carta" del Movimento Nonviolento
7. Per saperne di piu'

1. REPETITA IUVANT. UNA PROPOSTA PER LE ELEZIONI EUROPEE DEL 2024: UNA LISTA NONVIOLENTA PER LA PACE E CONTRO IL RAZZISMO

Tra meno di un anno, nel giugno 2024, si vota per rinnovare il Parlamento Europeo.
La politica dell'Unione Europea e' oggi caratterizzata da due orrori.
Il primo: la persecuzione dei migranti: col sostegno alle dittature che li imprigionano in condizioni disumane; con l'appalto ai poteri mafiosi in regime di monopolio della mobilita' per chi e' in fuga da guerre, dittature, fame e miseria; con la reclusione nei lager sia nei paesi di transito che in Europa; con la strage degli innocenti nel Mediterraneo; con lo schiavismo e l'apartheid in Europa. Tutti i governi dei paesi dell'Unione Europea, e con essi i vertici delle istituzioni europee, sono complici in questo flagrante crimine contro l'umanita'.
Il secondo: il sostegno alla prosecuzione della guerra in Ucraina che ogni giorno provoca altre stragi: con l'incessante fornitura di armi si alimenta la guerra e s'impedisce l'avvio di trattative di pace, e si contribuisce cosi' sia alla prosecuzione dello sterminio della popolazione ucraina vittima della guerra, sia all'escalation verso una guerra atomica che puo' mettere fine all'intera umanita'. Tutti i governi dei paesi dell'Unione Europea, e con essi i vertici delle istituzioni politiche europee, sono complici in questo flagrante crimine contro l'umanita'.
I vertici dell'Unione Europea si sono peraltro ormai completamente prostituiti alla Nato, l'organizzazione terrorista e stragista che per conto del governo razzista e imperialista degli Stati Uniti d'America opera, dalla fine della Guerra fredda e con sempre maggiore intensita' ed accelerazione, per destabilizzare, asservire o distruggere non solo singole parti del continente europeo ma l'Europa intera. Abolire la Nato e' palesemente l'urgenza delle urgenze per dare all'Europa un futuro di pace.
Il Parlamento Europeo potrebbe e dovrebbe operare per la pace e in difesa dei diritti umani di tutti gli esseri umani e per la salvaguardia della biosfera, ma attualmente e' anch'esso complice della furia razzista e della furia bellica che si e' incistata nei governi dei paesi europei e nei vertici di tutte le istituzioni politiche europee.
*
Tra meno di un anno, nel giugno 2024, si vota per rinnovare il Parlamento Europeo.
E l'Italia rischia di essere rappresentata unicamente da partiti fascisti, razzisti e bellicisti.
Esplicitamente fascista, razzista, bellicista ed ecocida e' tutta l'area governativa italiana.
Razzista si e' dimostrato il partito grillino, che durante la prima esperienza di governo ha condiviso e sostenuto la scellerata politica di brutale persecuzione dei migranti da parte del capo leghista che di quel governo era vicepresidente, ministro e magna pars.
Tragicamente bellicista e' il Pd (e quindi di fatto anche coloro che ad esso subalterni con esso si alleano e che pertanto al di la' del velame dei vaniloquenti proclami portano voti al partito della guerra in cambio di qualche scranno e prebenda).
Questa la triste e trista situazione.
*
Tra meno di un anno, nel giugno 2024, si vota per rinnovare il Parlamento Europeo.
Che fare, quindi?
Io credo che occorra costruire una lista nonviolenta per la pace e contro il razzismo.
Nonviolenta: che cioe' faccia della scelta della nonviolenza la discriminante fondamentale. La nonviolenza essendo l'unica lotta nitida e intransigente, concreta e coerente, contro tutte le violenze e le oppressioni; la nonviolenza essendo il fondamentale strumento teorico e pratico a disposizione della lotta del movimento delle oppresse e degli oppressi per la liberazione dell'umanita' e la salvaguardia dell'intero mondo vivente.
Per la pace: e quindi per il disarmo integrale e l'integrale smilitarizzazione dei conflitti, dei territori, delle societa', delle culture.
Contro il razzismo: e quindi per il pieno riconoscimento di tutti i diritti umani per tutti gli esseri umani, poiche' siamo una sola famiglia umana in un unico mondo vivente.
E dire lista nonviolenta per la pace e contro il razzismo significa dire una lista femminista ed ecologista, socialista e libertaria, delle classi sociali sfruttate e rapinate, delle oppresse e degli oppressi.
*
Tra meno di un anno, nel giugno 2024, si vota per rinnovare il Parlamento Europeo.
Se vogliamo aprire una riflessione comune e autentica, democratica e partecipata, fra tutte le persone e le esperienze disposte a riconoscersi in una prospettiva nonviolenta, femminista, ecologista, socialista e libertaria, per portare nel Parlamento Europeo la voce delle oppresse e degli oppressi e la lotta per la pace, l'affermazione dei diritti umani di tutti gli esseri umani e la difesa della biosfera, il momento e' adesso.
Prenda la parola ogni persona ed ogni esperienza interessata.
Si promuovano ovunque possibile incontri di riflessione.

2. APPELLI. L'APPELLO DEI GIURISTI PER JULIAN ASSANGE
[Dal sito di "Articolo 21" riprendiamo e diffondiamo]

E' in corso gia' dal 2019 in Inghilterra il procedimento per l'estradizione negli Stati Uniti d'America di Julian Assange, il giornalista fondatore di Wikileaks, nato in Australia.
Oltreoceano egli e' accusato di 18 reati contestatigli in larghissima parte in base alle disposizioni dell'Espionage Act del 1917 che punisce, in particolare, le interferenze con le relazioni internazionali e commerciali degli Stati Uniti e le attivita' di spionaggio: in caso di condanna Assange rischia una pena fino a 175 anni di reclusione.
Come ha dettagliatamente precisato nei suoi rapporti Nils Melzer, dal 2016 al 2022 relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Assange e' stato sottoposto ad una lunga e durissima tortura soprattutto psicologica di cui sono a suo avviso responsabili:
- gli Stati Uniti, che lo perseguono per crimini inesistenti, dopo avere a lungo segretato le indagini;
- la Gran Bretagna, che lo detiene dall'11 aprile 2019 nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, noto come la "Guantanamo britannica", dopo avere "assediato" militarmente l'Ambasciata ecuadoriana in cui si era prima rifugiato;
- la Svezia, che ha favorito l'arresto in U.K. di Assange, chiedendone l'estradizione - ma al fine di favorire quella successiva verso gli USA - per un'indagine per violenze sessuali, tenuta a lungo aperta ed alla fine archiviata per assenza di prove;
- l'Ecuador, che il 16 agosto 2012 ha concesso asilo e cittadinanza ad Assange per decisione del presidente Correa, ospitandolo nell'Ambasciata londinese dal 19 giugno 2012, ma revocandoli entrambi l'11 aprile 2019, per scelta del nuovo presidente Moreno, e consentendo alla polizia inglese di farvi irruzione ed arrestarlo.
In particolare, Assange e' stato sottoposto a tortura psicologica, almeno dalla fine del 2017 (allorche' si trovava ancora nell'ambasciata dell'Ecuador) con confinamento in spazi ristretti, video controllo permanente anche nel bagno, divieto per un certo periodo di usare cellulari e connessioni al web, controllo di ogni suo movimento, inclusi i pochi incontri autorizzati con amici ed avvocati, al punto da non poter neppure organizzare la sua difesa dinanzi alle autorita' inglesi per non essere estradato prima in Svezia e poi negli Stati Uniti. Trasferito dopo l'arresto nel penitenziario di Belmarsh, vi e' detenuto in cella di minime dimensioni, con restrizioni e controlli ancora piu' accentuati, al punto che medici specializzati hanno rilevato, anche in ambulatorio, sintomi tipici della esposizione prolungata alla tortura psicologica con rischio di suicidio o comunque di morte.
L'accusa ad Assange di avere violato segreti di Stato americani lede la liberta' di stampa, un diritto-dovere proprio di ogni vera democrazia, previsto anche nel primo emendamento della Costituzione americana e nell'art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo:  nell'"enciclopedia digitale" che lui ha fondato sono state rese note notizie riscontrate e di pubblico interesse, anche se segrete e di fonti anonime (i cd. "whistleblower"). Assange e WikiLeaks, infatti, decisero nell'aprile del 2010 di far conoscere a tutto il mondo un video segreto chiamato "Collateral murder", che documentava lo sterminio di civili, inclusi due giornalisti dell'agenzia di stampa internazionale Reuters e due bambini gravemente feriti, a Baghdad nel 2007 ad opera delle truppe americane, e poi altri filmati e documenti che, come gli "Afghan war logs" tratti dai database del Pentagono e del Dipartimento di Stato e fornitigli dal soldato Bradley, ora Chelsea Manning, consentirono di svelare altri crimini contro l'umanita' commessi dagli Stati Uniti in Afghanistan, nonche' nel lager di Guantanamo ed in altre parti del mondo.
Tra l'altro, contrariamente alle accuse, Assange non ha leso fondamentali interessi degli Stati Uniti, poiche', prima di far conoscere tramite Wikileaks alcuni dei nomi degli autori di cosi' gravi crimini contro l'umanita' (perche' di questo si tratta), aveva accertato che si trattava di nomi ampiamente gia' noti, nel contempo lavorando con un team di giornalisti internazionali per proteggere quelli sconosciuti. Di fatto, a tredici anni dalla pubblicazione di quei documenti, l'amministrazione americana non ha mai fornito un solo nome di persona uccisa, ferita, incarcerata a causa di quelle rivelazioni.
Wikileaks, come e' noto e come e' stato riconosciuto anche dalla stessa giurisprudenza inglese, e' un'organizzazione giornalistica operante nel mondo con il dichiarato scopo di proteggere dissidenti interni, fonti d'informazione e blogger da rischi legali o di altra natura connessi alla pubblicazione di documenti attestanti la commissione da parte di esponenti di singoli stati di fatti criminosi altrimenti sottratti alla conoscenza pubblica. Sin dalla sua nascita nel 2006, ad esempio, Wikileaks ha pubblicato anche altri importanti documenti riguardanti attivita' di spionaggio nei confronti della Commissione europea ed interferenze nelle elezioni presidenziali francesi.
Assange, dunque, e' oggi, e da oltre 4 anni, detenuto nel citato carcere inglese di massima sicurezza di Belmarsh in attesa di una pronuncia definitiva da parte della High Court circa la domanda di estradizione formulata dal governo USA. La domanda e' stata gia' accolta con un provvedimento recepito dal governo inglese adesso oggetto di reclamo davanti ad un diverso Collegio della High Court. Proprio all'inizio di giugno del 2023, la stessa High Court, in formazione monocratica, ha rigettato un precedente reclamo contro l'ordine di estradizione.
Si e', quindi, alla vigilia della decisione finale circa il destino di Julian Assange. Gli argomenti finora spesi dalla sua difesa appaiono della massima importanza perche' attengono a temi fondamentali negli ordinamenti a base democratica. In particolare, si tratta di stabilire se l'attivita' pubblicistica propria del giornalismo d'inchiesta che, posta in essere da Assange, ha consentito la rivelazione di gravi crimini commessi da singoli stati anche in occasioni belliche, rientri (come e' stato affermato nelle autorevoli deposizioni rese  in anteriori fasi del procedimento di estradizione inglese, del Professor Paul Rogers, insigne autore di studi sulla pace, e del Professor Noam Chomsky, prestigioso linguista e filosofo) nel principio della liberta' di espressione e di opinione, riconosciuta dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo del 1950, e vada inoltre considerata di natura politica: circostanze, queste, decisive in quanto, se accertate dai giudici inglesi, impedirebbero, ai sensi dell'Extradition Act britannico del 2003, l'estradizione.
Ma vi e' un ulteriore e basilare tema di indagine, affrontato con esiti alterni nei gradi precedenti: quello della sussistenza o meno di pericoli per la vita e l'incolumita' del giornalista australiano nel caso di detenzione, a seguito di condanna, in strutture penitenziarie statunitensi. Ne' puo' sfuggire ad un'attenta valutazione giudiziale la condizione di grave prostrazione psicologica di Assange a causa della protratta privazione della liberta': condizione tanto grave da aver indotto il giudice inglese, Vanessa Baraitser, chiamato a pronunciarsi in primo grado sull'estradizione negli Stati Uniti nel gennaio del 2021, a negare l'estradizione per il timore che il giornalista potesse cedere a pulsioni suicide. Tale decisione fu riformata nel grado successivo del giudizio da un Collegio che ritenne si potesse concedere l'estradizione sulla semplice base delle assicurazioni fornite dal governo USA circa l'eventuale detenzione in stabilimenti dotati di adeguate strutture sanitarie, specializzate anche nei trattamenti di natura psicologica. Proprio sulla base di questa pronuncia il ministro inglese dell'interno ha emanato l'ordine di estradizione che, come si e' detto, dopo un primo sommario rigetto dell'impugnazione proposta da Assange, sara' prossimamente e di nuovo esaminato dalla High Court.
La rilevanza della vicenda, per le sue implicazioni di principio e per i suoi gravissimi riflessi sul piano della persona di Assange, e' di tale drammatica evidenza da impegnare l'opinione pubblica in genere e la comunita' dei giuristi in specie a contribuire ad un dibattito aperto e costruttivo per la riaffermazione del principio di trasparenza cui ogni forma di esercizio del potere pubblico deve essere ispirata.
Non puo', infatti, negarsi che l'estradizione di Julian Assange, oltre che ad elementari ragioni umanitarie imposte dalla sue provatissime condizioni psico-fisiche e dai ragionevoli timori circa il futuro regime carcerario, costituirebbe un terribile esempio di soffocamento della libera informazione orientata al disvelamento degli abusi di potere e si risolverebbe, in ultima analisi, nel definitivo inaridimento delle fonti di conoscenza di cui la collettivita' deve continuare a poter godere.
Sono queste le ragioni che inducono i sottoscrittori di questo documento, nella loro qualita' di giuristi e cittadini sensibili al mantenimento della democrazia informativa, a diffonderlo e, confidando nella futura pronuncia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, ad auspicarne la condivisione da parte dell'opinione pubblica.
20 luglio 2023
(Segue elenco di 119 firmatari)
Gaetano Azzariti – Universita' "Sapienza" di Roma
Daniela Abram – avvocato
Roberto Aniello – magistrato
Mauro Barberis – Universita' di Trieste
Fabio Basile – Universita' di Milano
Gian Antonio Bernacchio – Universita' di Trento
Alessandro Bernardi – Universita' di Ferrara
Laura Bertole' Viale, gia' magistrata
Paolo Borgna – presidente Istoreto Torino, gia' magistrato
Vittorio Borraccetti – gia' magistrato
Mario Bova – Ambasciatore
Alberto Bradanini – gia' Ambasciatore d'Italia a Teheran e Pechino
Giuseppe Bronzini – gia' magistrato
Silvia Buzzelli – Universita' Milano Bicocca
Andrea Calice – magistrato
Paola Cameran – magistrato
Nunzia Cappuccio – gia' magistrata
Gianrico Carofiglio – scrittore, gia' magistrato
Irene Casolo – magistrata
Marina Castellaneta – Universita' di Bari
Adolfo Ceretti – Universita' Bicocca di Milano
Davide Cerri – Avvocato
Elio Cherubini – avvocato
Alba Chiavassa – gia' magistrata
Angelo Cifatte, gia' funzionario pubblico in Genova
Enzo Ciconte – Universita' di Pavia
Giovanni Cocco – Universita' Bicocca di Milano e avvocato
Antonino Condorelli – gia' magistrato
Riccardo Conte – avvocato
Luigi Dainotti – magistrato
Nando dalla Chiesa – Universita' di Milano
Vito D'Ambrosio – gia' magistrato
Emilio De Capitani – gia' segretario della Commissione Libe del Parlamento Europeo (1998/2011)
Luciana De Grazia – Universita' di Palermo
Giovanna De Minico – Universita' Federico II di Napoli
Pasquale De Sena – Universita' di Palermo
Maria Chiara Di Gangi – Universita' di Palermo
Sandro Di Minco – avvocato
Daniele P. Domenicucci – Referendario c/o Corte di Giustizia dell'Unione Europea
Vittorio Fanchiotti – Universita' di Genova
Manuela Fasolato – magistrata
Damiano Fiorato – avvocato
Mario Fiorentini – Universita' di Trieste
Fabrizio Forte – magistrato
Domenico Gallo – gia' magistrato
Giancarlo Geraci – Universita' di Palermo
Giuseppe Giaimo – Universita' di Palermo
Gianfranco Gilardi – gia' magistrato
Bruno Giordano – magistrato
Elisabetta Grande – Universita' del Piemonte Orientale
Filippo Grisolia – gia' magistrato
Laura Hoesch, avvocato
Costranza Honorati – Universita' di Milano Bicocca
Giulio Itzcovich – Universita' di Brescia
Enrico Imprudente – gia' magistrato
Caterina Interlandi, magistrato
Elena Ioratti – Universita' di Trento
Franco Ippolito – gia' magistrato e presidente della Fondazione Basso
Gabriella Luccioli – gia' magistrata
Oscar Magi – gia' magistrato
Franco Maisto – gia' magistrato, Garante diritti persone private della liberta' personale del Comune di Milano
Francesca Manca – gia' magistrata
Marco Manunta – gia' magistrato
Maria Rosaria Marella – Universita' di Roma Tre
Giovanni Marini – Universita' di Perugia
Luigi Martino – gia' magistrato
Dick Marty – gia' magistrato, gia' Senatore e Presidente della Commissione dei diritti dell'Uomo del Consiglio d'Europa
Luca Masera – Universita' di Brescia
Filippo Messana – magistrato
Elio Michelini – gia' magistrato
Vincenzo Militello – Universita' di Palermo
Rachele Monfredi – magistrato
Nicola Muffato – Universita' di Trieste
Aniello Nappi – avvocato, gia' magistrato
Gioacchino Natoli – già magistrato
Roberto Natoli – Universita' di Palermo
Luca Nivarra – Universita' di Palermo
Giovanni Orlandini – Universita' di Siena
Maria Teresa Orlando – magistrato e Procuratrice Europea Delegata
Elena Paciotti – gia' magistrato
Giuseppe Pagliani – magistrato
Francesco Palazzo- Universita' di Firenze
Ignazio Juan Patrone – gia' magistrato
Maria Paola Patuelli – Associazione nazionale Salviamo la Costituzione
Lucio Pegoraro – Universita' di Salamanca
Rosario Petruso – Universita' di Palermo
Giuliano Pisapia – avvocato e Vicepresidente Commissione Affari Costituzionali del Parlamento Europeo
Giovanni Porqueddu – gia' magistrato
Vincenzo Antonio Poso – avvocato e consigliere Fondazione Pera
Rosalba Potenzano – Universita' di Palermo
Giovanni Puliatti – gia' magistrato
Debora Ravenna – avvocato
Carlo Giuseppe Rossetti – Universita' di Parma
Massimo Rossi – Avvocato
Nello Rossi – gia' magistrato
Federica Resta – giurista
Roberto Riverso – magistrato
Giuseppe Salme' – gia' magistrato
Adriano Sansa - gia' magistrato e sindaco di Genova
Aldo Schiavello – Universita' di Palermo
Rocco Sciarrone – Universita' di Torino
Tullio Scovazzi – Universita' Milano Bicocca
Mario Serio – Universita' di Palermo
Ottavio Sferlazza – gia' magistrato
Alessandra Somma – Universita' La Sapienza di Roma
Armando Spataro – gia' magistrato
Maria Patrizia Spina – gia' magistrata
Simone Spina – magistrato
Massimo Starita – Universita' di Palermo
Davide Steccanella – avvocato
Giovanni Tamburino – gia' magistrato
Paolo Tamponi – gia' magistrato
Ida Teresi – magistrato
Matteo Trotta – gia' magistrato
Giuliano Turone – gia' magistrato e scrittore
Giulio Ubertis – Universita' Sacro Cuore di Milano
Domitilla Vanni – Universita' di Palermo
Christine Von Borries – magistrato
Salvatore Zappala' - Universita' di Catania

3. RIFLESSIONE. LANFRANCO PEYRETTI: UN PACIFISMO POSSIBILE
[Riceviamo e diffondiamo]

Siamo tutti pacifisti, noi italiani, nel senso che siamo sempre a favore della pace e contrari alla guerra. Ci mancherebbe! Nessuno vuol passare per sanguinario. Poi, con lo sguardo alla guerra in corso non lontano da noi, gratta gratta, qualcuno tira fuori i distinguo, i pero': deve essere raggiunta una "pace giusta" che purtroppo rende necessaria, fuori eufemismo, una "guerra giusta", equivalente alla vecchia "guerra santa" da coronare con la vittoria. Quella dei "buoni", naturalmente, sempreche' i "cattivi" siano rassegnati ad essere sconfitti. E poi verra' la pace giusta. E cosi' si dimentica che ormai nessuna guerra e' giusta, tantomeno santa, se mai qualcuna la e' stata, perche' tutte possono diventare estreme, globali, e, con migliaia di atomiche sparse in tutto il mondo, minacciare la sopravvivenza dell'umanita' che poi non potrebbe godere alcuna pace.
Allora chi sono i pacifisti veri? Quei certi italiani dei distinguo fotografano solo un pacifista generico, che per loro e' un ingenuo, un illuso o, per i piu' critici, un vile. E gli sbattono in faccia l'accusa (alludendo all'est): se un bruto maltratta un bambino, cosa fai? Sei pacifista sulla pelle degli altri! Cosi' "pacifista" diventa un epiteto per incolparlo di imbelle inerzia, cinismo, inazione passiva e pavida. L'accusa si ammanta di valore etico ma colpisce un pacifismo assurdo che non esiste, che non ha sostenitori.
Per dissipare ogni equivoco raccogliamo l'insegnamento di due pacifisti/nonviolenti, due a caso, veri, Cristo (quello dell'altra guancia ma pure della macina
al collo) e Gandhi. Per loro e' moralmente obbligatorio correre in soccorso del soggetto debole, indifeso e innocente direttamente minacciato di violenza. In una estrema situazione di urgenza e gravita' vi deve ricorrere, se e come puo', anche chi aborre l'uso della forza sentendone la negativita'. Nella stessa logica di contrastare un male enorme e' ammesso anche il tirannicidio: Bonhoeffer partecipo' all'attentato ad Hitler, disposto a pagare di persona in caso di fallimento, come fu.
A parte questo caso limite, e' molto ampia la gamma delle situazioni in cui si puo' cercare sia a livello individuale che di collettivita' uno spiraglio o un varco per la nonviolenza, che tuttavia non e' mai una passeggiata. Nella guerra, soprattutto, culmine della violenza. L'obiettore di coscienza, il disertore, pagano di persona, e anche chi li sostiene ha i suoi guai, come pure, per esempio, chi fa obiezione fiscale alle spese militari. Chi pratica la nonviolenza mette sempre in conto di contraddire i comportamenti consueti, spesso obbligatori, e che e' quasi sempre ardua e non indolore, sino all'eroismo del contadino Franz Jaegerstaetter. Peraltro non esistono schemi o formule per affrontare tutte le situazioni, ciascuna con le sue particolarita'. In casi di aggressione a una comunita' o a un popolo sono state realizzate con parziale o pieno successo forme di difesa escludenti l'uso delle stesse armi dell'aggressore: resistenza passiva, non collaborazione, sabotaggio, inganni, astuzie. Sono state pochissimo prese in considerazione dagli storici, ma ne esistono testimonianze significative.
Se la violenza sembra insita nell'uomo come impulso "naturale" utile nella giungla dove c'e' competizione di forza tra specie, individui, tribu', per il cibo, per la propria prosecuzione biologica, ecc, la nonviolenza diventa la scommessa di una correzione antropologica, cioe' l'estirpare la nostra radice ferina sia a livello di singolo e sia nella gigantografia dei rapporti di potere tra stati. (Per Kant, in "Per una pace perpetua", e' il "ramo storto" correggibile con la ragione).
Calandoci ora nella situazione italiana di coinvolgimento indiretto (ma non troppo) nella guerra d'Ucraina, interessa vedere se il pacifismo nostrano, vero, ha delle chances per contribuire alla cessazione delle ostilita' e poi al ristabilimento di una pace accettabile.
Innanzitutto, posto che la verita' nei conflitti e' sempre la prima vittima all'interno di tutte le parti coinvolte, e' compito essenziale di pace contrastare la menzogna propagandistica e il silenzio oscurante all'interno della nostra. La vulgata massicciamente dominante sui media da per indiscutibile, "senza se e senza ma", la lettura dell'invasione dell'Ucraina applicando il paradigma bruto-bambino, nella pretesa forma di aggressore-aggredito, che pur era all'inizio la prima apparenza. E' stata ripetuta e imposta dando l'ostracismo a ogni voce contraria con una specie di maccartismo all'italiana che supera quello gia' praticato all'epoca della strage di piazza Fontana (1969, per i piu' giovani).
Lo stato russo e' stato detto aggressore in quanto stato in espansione, e l'invasione e' stata presentata come un evento improvviso datato 24.02.2022, avulso da antefatti storici e anche dal contesto geografico. La concatenazione degli eventi precedenti evidenzia invece un quadro diverso, se non contrario: al momento della riunificazione della Germania, alla Russia, che ne era inquieta non senza ragione, era stato solennemente promesso che la Nato non avrebbe spostato di un solo pollice il confine verso est. Invece, tradendo presto la promessa, la Nato ha inglobato via via tredici paesi che hanno circondato ad ovest ed a sud l'intero territorio russo e ha installato proprie basi al loro interno con missili puntati su Mosca. Dov'e' quindi l'espansione della Russia?
E poi, anche se davvero la Russia avesse voluto espandersi, non ne avrebbe avuta la forza, come non ne ha ora, ne' economica, ne' militare. Infatti, vale come indice, alla caduta del muro nella popolazione era diminuita per poverta' la durata media della vita. Per l'aspetto militare, da allora e' rimasta indietro di venti anni nella tecnologia e nel livello di armamento rispetto allo schieramento occidentale (in USA investimenti diciassette volte superiori a quelli russi) soprattutto nella digitalizzazione dei dispositivi e nel controllo satellitare. Lo dicono nostri militari di alto grado, piu' attendibili dei giornalisti e dei politici. E alcuni generali russi se ne lamentano ora con Putin.
Guardiamo gli eventi. Dato che il confronto strategico di potere tra stati ha regole identiche a quelle di una partita a scacchi mondiale giocata cinicamente senza interruzione sulla pelle dei popoli, il giocatore Putin - superfluo soffermarsi a descrivere il personaggio - ha eseguito con l'invasione una truce mossa obbligata secondo le regole del gioco in reazione ai seguenti fatti: l'accerchiamento ostile, il colpo di stato del 2014 nell'Ucraina fomentato da fuori per abbattere un governo a lui amico, la determinazione della NATO a inglobarla gia' dichiarata e ripetuta piu' volte, le distruzioni e uccisioni di centinaia di persone nelle regioni russofone (v. documentario RAI 2 del 2016 e l'uccisione di un giornalista italiano), il mancato rispetto degli accordi di Minsk che stabilivano alcune garanzie di stabilita' firmati dalla Merkel, Francois Hollande e altri con la riserva mentale di non rispettarli (come hanno confessato), le ripetute minacciose manovre militari Nato ai confini marini e terrestri ("Brezza di Mare", giugno-luglio 2021, "Rapid Trident", settembre 2021).
Con cio' l'invasione e' spiegabile ma non giustificabile. E' stata una gravissima, irresponsabile e rilevante escalation militare, pur in un contesto gia' bellico, con forte innalzamento del livello del contrasto, del pericolo di coinvolgimento diretto di altri paesi e del rischio di ricorso all'arma atomica. Putin, sottovalutando la difficolta' dell'operazione, ha portato la stessa Russia in una trappola (preparatagli?) da cui non sa come uscire non potendo sperare in una piena vittoria militare ne' potendo rassegnarsi ad una sconfitta.
L'unica alternativa sarebbe stata e sarebbe ancora uscire dalla logica del contrasto perpetuo, cioe' dalle regole della partita a scacchi strategica, e agganciare e trasferire in sede ONU gli sforzi di pace di soggetti dello schieramento occidentale fatti sia nei giorni immediatamente precedenti il 24 febbraio (Scholtz fa il tour delle tre capitali coinvolte) e sia nel marzo successivo (iniziativa israeliana dell'ex premier Bennet). Questi poggiavano sui principi di neutralita' dell'Ucraina e dell'autodeterminazione nelle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia, favorevoli a Mosca. Forse un'offensiva diplomatica del massimo livello sostenuta dai necessari compromessi anche sostanziosi avrebbe superato il veto di Washington che fece naufragare questi intenti avendo ormai deciso l'ingaggio militare per interposta Ucraina volto all'indebolimento (blood letting = dissanguamento) della Russia.
Questa eterna nemica e' per gli USA, sull'orlo di una crisi di nervi per il prossimo sorpasso economico da parte della Cina, un fastidioso inciampo nel previsto e alimentato contrasto strategico tra occidente e oriente. Contrasto che va ad arricchrsi di un allargamento del terreno di gioco: la imminente transitabilita' dell'Artico in tutte le stagioni, proprio sotto il naso dei russi, a seguito del sempre piu' rapido scioglimento dei ghiacciai. E' nei rapporti strategici che emergono i contrasti di interesse, tanto da poter dire che la guerra e' la prosecuzione dell'economia (non della diplomazia) con altri mezzi.
Ma la grande informazione, soprattutto quella delle reti TV che hanno influenza determinante sull'opinione pubblica, evita le analisi dei precedenti storici e presenta i fatti correnti quasi facendo sotto traccia il tifo per la vittoria militare dell'Ucraina, come se non fosse in corso una guerra ma una partita di calcio internazionale.
Oltre il contrasto alle menzogne e ai silenzi, una difficile prova per il pacifismo italiano e' l'invio di armi all'Ucraina, in corso e sotto possibile proseguimento alla fine dell'anno corrente. Lo vuole il governo (un componente ha lamentato che l'Italia spende troppo per il welfare e troppo poco per le armi) che conta anche sui tentennamenti di una parte dell'opposizione, mentre la maggioranza degli italiani e' contraria. Ma e' in piena violazione dell'art. 11 della Costituzione, gia' gravemente violato in diverse occasioni.
L'art. 11 e' una norma di pacifismo di formidabile valore e chiarezza: l'invio di armi letali, munizioni, tecnologia militare, addestramento, in vendita o regalo, a un paese belligerante equivale all'intervento diretto; e' cobelligeranza, e' far guerra, che la Carta "ripudia". Lo riserva e lo consente, come pure l'uso non partigiano della forza militare (per protezione dei civili, interposizione, ecc.), solo se all'interno di organizzazioni sovranazionali che abbiano per fine di assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni, dove si puo' leggere soltanto ONU e non Nato o altro. Fuori dal massimo consesso delle nazioni non e' ammesso alcun intervento nemmeno come preteso contributo militare alla soluzione di contrasti o come pretesa ingerenza umanitaria.
Anche l'invio di armi cosiddette difensive (droni e missili di intercettazione, mitragliatrici e cannoni antiaerei) utili alla protezione di strutture e popolazioni civili e' un aiuto di costituzionalita' molto dubbia poiche' e' impossibile impedirne l'uso tattico a protezione di reparti e strutture militari, come pure l'uso direttamente offensivo (es. missili a lunga gittata). L'art. 11 non sospende il divieto nemmeno per la fornitura solo ad una parte di elmetti, giubbotti antiproiettile, apparecchi di sminamento, dotazioni in se' non offensive, sino a attrezzature mediche per ospedali militari, aiuti in se' umanitari, perche' sono pur sempre strumenti di rinforzo e sostegno all'azione militare. Ovviamente resta non solo ammissibile ma anche auspicabile ogni aiuto umanitario alla popolazione civile (medicine, cibo, indumenti).
Il movimento pacifista, galassia imprecisa, ha la chance di appellarsi fortemente all'art. 11 almeno per reclamare che l'invio di armi pur contrario a esso non sia alla cieca, senza condizioni, senza avanzare progetti di pace. L'assenza di istanze, di proposte gioca negativamente anche in un'Europa che ha abdicato alla missione storica di pace e concordia che i padri fondatori avevano sognato e impostato e si e' resa vassalla degli interessi di oltreatlantico non coincidenti con i propri. La progressiva escalation degli armamenti da entrambe le parti alla ricerca di una impossibile vittoria non puo' che portare, nel caso che prevalga la Russia, a un impegno diretto di tutti i paesi Nato, cio' che significherebbe incendiare l'Europa e non solo, o, nel caso opposto, alla decisione della Russia di ricorrere a un gesto estremo. Infatti e' come una zatterona impacciata ma inaffondabile; ferirla profondamente e umiliarla vuol dire indurla all’uso dell'atomica.
Le chances del pacifismo sono poche, ma non nulle. Per il movimento pacifista, quale che sia, escludendo l'interposizione fisica nei teatri di battaglia perche' impraticabile, i due filoni principali di impegno sono nella fase attuale diffondere tutta la possibile controinformazione a contrasto della parziale e unilaterale e ostacolare il piu' possibile, sulla base dell'art. 11 Cost., il proseguimento dell'invio di armi. Ottimo esempio, in altro contesto, e' il rifiuto dei portuali di Genova di imbarcare sulle "navi della morte" saudite armi prodotte in Italia da aziende straniere. Potrebbe accadere anche per treni diretti in Ucraina?
Restano perseguibili altri singoli obiettivi quali per es. la difesa degli obiettori di coscienza di entrambe le parti, la condanna dei crimini di guerra cioe' delle azioni piu' efferate all'interno dell'enorme crimine guerra, contrastandone la strumentale attribuzione unilaterale e invece diffondendo le denunce imparziali come quelle di Amnesty International.
L'impegno pacifista personale si riassume nel documentarsi, svelare cio' che viene nascosto, ragionare con onesta intelligenza sottraendosi al conformismo, capire, parlare anche con chi si incontra per strada o sull'autobus, scrivere, confrontarsi, aderire ad ogni buona iniziativa pro pace, mettere la faccia in piazza quando occorre. Spesso cio' puo' attirare l'accusa senza appello di essere "amico di Putin" (attenti anche a chiedere al droghiere una vaschetta di insalata russa!) ed incontrare il rifiuto del confronto di idee.

4. REPETITA IUVANT. UNA MINIMA NOTIZIA SU LEONARD PELTIER

Leonard Peltier nasce a Grand Forks, nel North Dakota, il 12 settembre 1944.
Nell'infanzia, nell'adolescenza e nella prima giovinezza subisce pressoche' tutte le vessazioni, tutte le umiliazioni, tutti i traumi e l'emarginazione che il potere razzista bianco infligge ai nativi americani. Nella sua autobiografia questo processo di brutale alienazione ed inferiorizzazione e' descritto in pagine profonde e commoventi.
Nei primi anni Settanta incontra l'American Indian Movement (Aim), fondato nel 1968 proprio per difendere i diritti e restituire coscienza della propria dignita' ai nativi americani; e con l'impegno nell'Aim riscopre l'orgoglio di essere indiano - la propria identita', il valore della propria cultura, e quindi la lotta per la riconquista dei diritti del proprio popolo e di tutti i popoli oppressi.
Partecipa nel 1972 al "Sentiero dei trattati infranti", la carovana di migliaia di indiani che attraversa gli Stati Uniti e si conclude a Washington con la presentazione delle rivendicazioni contenute nel documento detto dei "Venti punti" che il governo Nixon non degna di considerazione, e con l'occupazione del Bureau of Indian Affairs.
Dopo l'occupazione nel 1973 da parte dell'Aim di Wounded Knee (il luogo del massacro del 1890 assurto a simbolo della memoria del genocidio delle popolazioni native commesso dal potere razzista e colonialista bianco)  nella riserva di Pine Ridge - in cui Wounded Knee si trova - si scatena la repressione: i nativi tradizionalisti ed i militanti dell'Aim unitisi a loro nel rivendicare l'identita', la dignita' e i diritti degli indiani, vengono perseguitati e massacrati dagli squadroni della morte del corrotto presidente del consiglio tribale Dick Wilson: uno stillicidio di assassinii in cui i sicari della polizia privata di Wilson (i famigerati "Goons") sono favoreggiati dall'Fbi che ha deciso di perseguitare l'Aim ed eliminarne i militanti con qualunque mezzo.
Nel 1975 per difendersi dalle continue aggressioni dei Goons di Wilson, alcuni residenti tradizionalisti chiedono l'aiuto dell'Aim, un cui gruppo di militanti viene ospitato nel ranch della famiglia Jumping Bull in cui organizza un campo di spiritualita'.
Proprio in quel lasso di tempo Dick Wilson sta anche trattando in segreto la cessione di una consistente parte del territorio della riserva alle compagnie minerarie.
Il 26 giugno 1975 avviene l'"incidente a Oglala", ovvero la sparatoria scatenata dall'Fbi che si conclude con la morte di due agenti dell'Fbi, Jack Coler e Ronald Williams, e di un giovane militante dell'Aim, Joe Stuntz, e la successiva fuga dei militanti dell'Aim superstiti guidati da Leonard Peltier che riescono ad eludere l'accerchiamento da parte dell'Fbi e degli squadroni della morte di Wilson.
Mentre nessuna inchiesta viene aperta sulla morte della giovane vittima indiana della sparatoria, cosi' come nessuna adeguata inchiesta era stata aperta sulle morti degli altri nativi assassinati nei mesi e negli anni precedenti da parte dei Goons, l'Fbi scatena una vasta e accanita caccia all'uomo per vendicare la morte dei suoi due agenti: in un primo momento vengono imputati dell'uccisione dei due agenti quattro persone: Jimmy Eagle, Dino Butler, Leonard Peltier e Bob Robideau.
Dino Butler e Bob Robideau vengono arrestati non molto tempo dopo, processati a Rapid City ed assolti perche' viene loro riconosciuta la legittima difesa.
A quel punto l'Fbi decide di rinunciare a perseguire Jimmy Eagle e di concentrare le accuse su Leonard Peltier, che nel frattempo e' riuscito a riparare in Canada; li' viene arrestato ed estradato negli Usa sulla base di due affidavit di una "testimone" che lo accusano menzogneramente del duplice omicidio; la cosiddetta "testimone" successivamente rivelera' di essere stata costretta dall'Fbi a dichiarare e sottoscrivere quelle flagranti falsita'.
Peltier viene processato non a Rapid City come i suoi compagni gia' assolti per legittima difesa ma a Fargo, da una giuria di soli bianchi, in un contesto razzista fomentato dall'Fbi.
Viene condannato a due ergastoli nonostante sia ormai evidente che le testimonianze contro di lui erano false, estorte ai testimoni dall'Fbi con gravi minacce, e nonostante che le cosiddette prove contro di lui fossero altrettanto false.
Successivamente infatti, grazie al Freedom of Information Act, fu possibile accedere a documenti che l'Fbi aveva tenuto nascosti e scoprire che non era affatto il cosiddetto "fucile di Peltier" ad aver ucciso i due agenti.
In carcere, si organizza un tentativo di ucciderlo, che viene sventato in modo rocambolesco; ma anche se riesce a salvarsi la vita Leonard Peltier viene sottoposto a un regime particolarmente vessatorio e le sue condizioni di salute ben presto si aggravano.
Tuttavia anche dal carcere, anche in condizioni di particolare durezza, Leonard Peltier riesce a svolgere un'intensa attivita' di testimonianza, di sensibilizzazione, di militanza, finanche di beneficenza; un'attivita' non solo di riflessione e d'impegno morale, sociale e politico, ma anche artistica e letteraria; nel corso degli anni diventa sempre piu' un punto di riferimento in tutto il mondo, come lo fu Nelson Mandela negli anni di prigionia nelle carceri del regime dell'apartheid.
La sua liberazione viene chiesta da illustri personalita', ma e' costantemente negata da parte di chi ha il potere di concederla. Analogamente la richiesta di un nuovo pronunciamento giudiziario e' sempre respinta, cosi' come gli vengono negate tutte le altre guarentigie riconosciute a tutti i detenuti.
Nel 1983 e poi in seconda edizione nel 1991 viene pubblicato il libro di Peter Matthiessen che fa piena luce sulla persecuzione subita da Leonard Peltier.
Nel 1999 viene pubblicata l'autobiografia di Leonard Peltier (presto tradotta anche in francese, italiano, spagnolo e tedesco).
Ma nei primi anni Duemila il processo per la tragica morte di un'altra militante del'Aim, Anna Mae Aquash, viene strumentalizzato dall'Fbi per orchestrare una nuova squallida e grottesca campagna diffamatoria e persecutoria nei confronti di Leonard Peltier. E nel 2009 un agente speciale che aveva avuto un ruolo fondamentale nella "guerra sporca" dell'Fbi contro l'Aim, Joseph Trimbach, da' alle stampe un libro che e' una vera e propria "summa" delle accuse contro Leonard Peltier.
Tuttavia e' ormai chiarissimo che Peltier e' innocente, e la prova definitiva dell'innocenza la da' proprio il libro di Trimbach: in quest'opera il cui scopo dichiarato e' dimostrare che l'Aim e' nient'altro che un'organizzazione criminale e terroristica, e che Leonard Peltier e' nient'altro che un efferato assassino, l'autore non solo non presenta alcuna vera prova contro Peltier, ma di fatto conferma cosi' che prove contro Peltier non ci sono.
Ma gli anni continuano a passare e la solidarieta' con Leonard Peltier non riesce ad ottenerne la liberazione. Occlusa proditoriamente la via giudiziaria, resta solo la grazia presidenziale, ma quando alcuni presidenti statunitensi lasciano intendere di essere disposti a prendere in considerazione un atto di clemenza che restituirebbe la liberta' a Leonard Peltier la reazione dell'Fbi e' minacciosa. Clinton prima e Obama poi rinunciano. Pavidita' dinanzi alla capacita' di intimidazione anche nei confronti della Casa bianca da parte dell'Fbi?
E giungiamo ad oggi: Leonard Peltier, che e' gia' affetto da gravi patologie, alcuni mesi fa e' stato anche malato di covid: nuovamente chiediamo al presidente degli Stati Uniti che sia liberato e riceva cure adeguate. Non muoia in carcere un uomo innocente, non muoia in carcere un eroico lottatore per i diritti umani di tutti gli esseri umani e per la difesa del mondo vivente.
Leonard Peltier deve essere liberato non solo perche' e' anziano e malato, ma perche' e' innocente.
Una bibliografia essenziale:
- Edda Scozza, Il coraggio d'essere indiano. Leonard Peltier prigioniero degli Stati Uniti, Erre Emme, Pomezia (Roma) 1996 (ora Roberto Massari Editore, Bolsena Vt).
- Peter Matthiessen, In the Spirit of Crazy Horse, 1980, Penguin Books, New York 1992 e successive ristampe; in edizione italiana: Peter Matthiessen, Nello spirito di Cavallo Pazzo, Frassinelli, Milano 1994.
- Leonard Peltier (con la collaborazione di Harvey Arden), Prison writings. My life is my sun dance, St. Martin's Griffin, New York 1999; in edizione italiana: Leonard Peltier, La mia danza del sole. Scritti dalla prigione, Fazi, Roma 2005.
- Jim Messerschmidt, The Trial of Leonard Peltier, South End Press, Cambridge, MA, 1983, 1989, 2002 (disponibile in edizione digitale nel sito dell'"International Leonard Peltier Defense Committee": www.whoisleonardpeltier.info)-
- Bruce E. Johansen, Encyclopedia of the American Indian Movement, Greenwood, Santa Barbara - Denver - Oxford, 2013 e piu' volte ristampata.
- Ward Churchill e Jim Vander Wall, Agents of Repression: The FBI's Secret Wars Against the Black Panther Party and the American Indian Movement, South End Press, Boulder, Colorado, 1988, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022.
- Ward Churchill e Jim Vander Wall, The COINTELPRO Papers: Documents from the FBI's Secret Wars Against Dissent in the United States, South End Press, Boulder, Colorado, 1990, 2002, Black Classic Press, Baltimore 2022.
- Joseph H. Trimbach e John M. Trimbach, American Indian Mafia. An FBI Agent's True Story About Wounded Knee, Leonard Peltier, and the American Indian Movement (AIM), Outskirts Press, Denver 2009.
- Roxanne Dunbar-Ortiz, An Indigenous Peoples' History of the United States, Beacon Press, Boston 2014.
- Dick Bancroft e Laura Waterman Wittstock, We Are Still Here. A photographic history of the American Indian Movement, Minnesota Historical Society Press, 2013.
- Michael Koch e Michael Schiffmann, Ein leben fur Freiheit. Leonard Peltier und der indianische Widerstand, TraumFaenger Verlag, Hohenthann 2016.

5. SEGNALAZIONI LIBRARIE

Letture
- Furia Berti, Il caso Calipari, Rcs, Milano 2023, pp. 158, euro 5,99.
- Elisa Ghidini, Le donne d'onore, Rcs, Milano 2023, pp. 160, euro 5,99.
*
Riletture
- Francesco Tonucci, La citta' dei bambini, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. VIII + 248.
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Riedizioni
- Abraham Pais, Oppenheimer, Mondadori, Milano 2007, 2015, Rcs, Milano 2023, pp. XIV + 434, euro 10,90 (in supplemento al "Corriere della sera").

6. DOCUMENTI. LA "CARTA" DEL MOVIMENTO NONVIOLENTO

Il Movimento Nonviolento lavora per l'esclusione della violenza individuale e di gruppo in ogni settore della vita sociale, a livello locale, nazionale e internazionale, e per il superamento dell'apparato di potere che trae alimento dallo spirito di violenza. Per questa via il movimento persegue lo scopo della creazione di una comunita' mondiale senza classi che promuova il libero sviluppo di ciascuno in armonia con il bene di tutti.
Le fondamentali direttrici d'azione del movimento nonviolento sono:
1. l'opposizione integrale alla guerra;
2. la lotta contro lo sfruttamento economico e le ingiustizie sociali, l'oppressione politica ed ogni forma di autoritarismo, di privilegio e di nazionalismo, le discriminazioni legate alla razza, alla provenienza geografica, al sesso e alla religione;
3. lo sviluppo della vita associata nel rispetto di ogni singola cultura, e la creazione di organismi di democrazia dal basso per la diretta e responsabile gestione da parte di tutti del potere, inteso come servizio comunitario;
4. la salvaguardia dei valori di cultura e dell'ambiente naturale, che sono patrimonio prezioso per il presente e per il futuro, e la cui distruzione e contaminazione sono un'altra delle forme di violenza dell'uomo.
Il movimento opera con il solo metodo nonviolento, che implica il rifiuto dell'uccisione e della lesione fisica, dell'odio e della menzogna, dell'impedimento del dialogo e della liberta' di informazione e di critica.
Gli essenziali strumenti di lotta nonviolenta sono: l'esempio, l'educazione, la persuasione, la propaganda, la protesta, lo sciopero, la noncollaborazione, il boicottaggio, la disobbedienza civile, la formazione di organi di governo paralleli.

7. PER SAPERNE DI PIU'

Indichiamo i siti del Movimento Nonviolento: www.nonviolenti.org e www.azionenonviolenta.it ; per contatti: azionenonviolenta at sis.it
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e' in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/

TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 4904 del 23 luglio 2023
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal "Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera" di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza (anno XXIV)
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: centropacevt at gmail.com , sito: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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