MARIA DE FALCO MAROTTA INTERVISTA VANDANA SHIVA



MARIA DE FALCO MAROTTA INTERVISTA VANDANA SHIVA

[Questa intervista abbiamo ripreso dalla bella e-zine "Il grillo parlante"
(per contatti: grilloparlante at mbservice.it) n. 41 del 23 novembre 2002.

Vandana Shiva, scienziata e filosofa indiana, direttrice di importanti
istituti di ricerca e docente nelle istituzioni universitarie delle Nazioni
Unite, impegnata non solo come studiosa ma anche come militante nella difesa
dell'ambiente e delle culture native, e' oggi tra i principali punti di
riferimento dei movimenti ecologisti, femministi, di liberazione dei popoli,
di opposizione a modelli di sviluppo oppressivi e distruttivi, e di denuncia
di operazioni e programmi scientifico-industriali dagli esiti
pericolosissimi. Opere di Vandana Shiva: Sopravvivere allo sviluppo, Isedi,
Torino 1990; Monocolture della mente, Bollati Boringhieri, Torino 1995;
Biopirateria, Cuen, Napoli 1999, 2001; Vacche sacre e mucche pazze,
DeriveApprodi, Roma 2001; Terra madre, Utet, Torino 2002 (edizione riveduta
di Sopravvivere allo sviluppo); Il mondo sotto brevetto, Feltrinelli, Milano
2002]

La paragonano a Jeremy Rifkin oppure a Bove' per far capire la sua
importanza nel movimento new global. Niente di piu' smaccatamente falso e
anche offensivo, perche' Vandana Shiva e' una filosofa, una fisica, una
scienziata che si occupa di ambientalismo sociale ed e' seriamente la voce
dell'Asia che rivendica i suoi diritti, che rifiuta la subalternita'
culturale ed economica al mondo occidentale.
Da anni e' impegnata sui temi piu' scottanti della globalizzazione.
La sua attivita' converge principalmente nell'istituto da lei fondato a
Dehra Dun, in India: il Research Foundation for Science, Technology and
Ecology (in Rete su www.vshiva.net), per la tutela della biodiversita', che
ritiene la sola salvezza del subcontinente indiano e dei paesi poveri.
Questa grassoccia, pacifica donna, con i capelli striati di bianco, sempre
vestita con sari coloratissimi come vuole la tradizione della sua terra,
combatte strenuamente, adducendo ragioni difficilmente contestabili in
difesa della salvaguardia delle colture tipiche, minacciata dai prodotti
imposti dalle multinazionali.
Sue nemiche giurate sono la Monsanto, fusasi con la Cargill, la DuPont, la
Grace e le altre multinazionali che praticano l'agrobusiness, contro le
quali al pari della figura terrestre della Durga, il nome della Shakti, la
divina energia femminile, la grande madre dai multiformi e contrastanti
aspetti, scaglia le sue frecce infuocate, essendo convintissima che i loro
prodotti siano dannosi alla natura e all'uomo.
Laureata in legge e in fisica, ha ricevuto il Nobel alternativo per la pace
nel 1993 per la sua lotta a favore dell'ambiente.
Da dodici anni  dedica la sua vita per la custodia del patrimonio agricolo
indiano contro lo strapotere delle multinazionali biotecnologiche.
E', tra l'altro, membro del  movimento Chipko composto da sole donne che
hanno lottato per anni contro la distruzione ambientale delle foreste
himalayane e contro l'aumento della salinita' lungo varie coste a causa
dell'allevamento industriale di gamberetti.
Le donne in India assumono un ruolo considerevole nelle conoscenze e nel
lavoro dell'agricoltura. Sono le custodi della tradizione.
Al Social forum europeo, tenutosi a Firenze dal 7 al 10  novembre 2002 alla
Fortezza da Basso, Vandana Shiva e' intervenuta su "La cultura riduzionista
e la sperimentazione animale".

Maria De Falco Marotta: Dottoressa Shiva, cosa intende con cultura
riduzionista?

Vandana Shiva: I sistemi naturali, ovvero le infinite relazioni che legano
le parti di un ecosistema, ed anche quelle di un organismo vivente, sono
complessi. Molti tentativi fatti recentemente di governare a piacimento i
processi biologici attraverso le cosiddette "biotecnologie", o modifiche
genetiche, trascurando l'importanza di una selezione naturale che dura da
centinaia di milioni di anni, ed applicando una visione "riduzionista" - o
meccanicista - del vivente, si sono rivelati un fallimento. In India il 70%
della popolazione vive in un'economia legata alla natura e non a un'economia
mondiale basata sul libero commercio e sulla globalizzazione.

M. D. F. M.: Sappiamo che lei avversa le sostanze chimiche per la cura di
varie malattie. Ce ne spiega le ragioni?

V. S.: Nell'individuare le cause di alcune malattie, si apprestano
medicinali, per cui le prove di tossicita' sono inattendibili, con la
conseguenza che nel mondo si susseguono scandali farmacologici e "danni da
farmaci" incalcolabili (le malattie provocate dalle cure mediche sono
diventate negli Stati Uniti ed in Germania la quarta causa di morte). Anche
qui viene usata la stessa visione riduzionista, con un atteggiamento che
vede negli animali non umani, soggetti di sperimentazione, l'equivalente di
macchine da sfruttare secondo una logica di profitto. E' un atteggiamento
che trova la sua origine in due momenti cardine della definizione
dell'ideologia occidentale: la filosofia cartesiana e la rivoluzione
industriale. Tale atteggiamento miope e violento si e' imposto nel mondo
cancellando o marginalizzando una visione molto diversa, quella delle
culture e religioni indigene che, in paesi lontani e diversi tra di loro
come l'Australia aborigena, l'America precolombiana o l'India, considerano
gli animali come esseri senzienti, dotati di una propria dignita' e
portatori di valori autonomi, con cui la specie umana si trova a condividere
le risorse dell'ambiente e del pianeta. Uno dei valori fondamentali del
movimento new-global e' la salvaguardia delle diversita', l'affermazione
concreta e incondizionata della dignita' del non omologabile. Ma quello che
dovrebbe essere oggetto di profonde riflessioni, e' che ogni specie animale,
ogni singolo animale, incarnano il diverso in maniera profonda e radicale, e
quindi estremamente degna di rispetto e di tutela. Ogni animale rappresenta
un universo alieno, un mondo meravigliosamente difforme dal nostro, dunque
prezioso e sacro. Dobbiamo imparare a riconoscere come un'ingiustizia da
combattere non soltanto l'oppressione di altri esseri umani - che sappiamo
essere spesso effetto della globalizzazione - ma anche l'oppressione, ancora
piu' diffusa, degli "altri animali", che trova nelle manipolazioni genetiche
uno strumento nuovo e terribile. Questa cultura di violenza e di
sopraffazione e' incompatibile con questo movimento, il cui fine sono la
pace e la giustizia.

M. D. F. M.: Lei viene considerata la paladina della biodiversita', specie
dei paesi poveri: perche'?

V. S.: Le persone sono sopravvissute nel terzo mondo perche' nonostante la
ricchezza che e' stata loro sottratta, malgrado l'oro e le terre che sono
stati loro strappati, hanno ancora la biodiversita'. Hanno persino
quest'ultima risorsa sotto forma di semi, piante medicinali, foraggio, che
ha loro permesso un accesso alla produzione. Ora quest'ultimo vantaggio dei
poveri che sono rimasti deprivati dall'ultimo giro di colonizzazioni,
apportate con mano soft dalle multinazionali, con la scusa che la
globalizzazione conviene (a chi, a loro?) viene anch'esso portato via
attraverso i brevetti. E i semi che i contadini hanno liberamente
conservato, scambiato, usato, sono ritenuti proprieta' delle multinazionali.
Si stanno formando, attraverso l'Organizzazione Mondiale del Commercio,
nuove forme di proprieta' legale come i trattati sulla proprieta'
intellettuale (brevetti), le quali cercano di impedire ai contadini del
terzo mondo di avere libero accesso alle loro stesse sementi, di poter
scambiare senza impedimenti le loro stesse sementi. Cosicche' tutti i
contadini in qualsiasi parte del mondo dovrebbero comprare i semi ogni anno
creando un nuovo mercato per l'industria globale delle sementi.

M. D. F. M.: Lei tenta di portare allo scoperto la bio-pirateria, con quale
risultato?

V. S.: La bio-pirateria costituisce una minaccia al gia' limitato accesso
alle risorse sanitarie dei paesi del terzo mondo. L'80% dell'India risolve i
propri bisogni sanitari grazie alle piante medicinali che crescono nel
cortile di casa, nei campi, nelle foreste, e che la gente liberamente
raccoglie. Nessuno ha mai dovuto pagare un prezzo per i doni della natura.
Oggi ciascuno di quei farmaci e' stato brevettato e fra cinque- dieci anni
potrebbe facilmente verificarsi una situazione in cui quelle stesse
industrie farmaceutiche che hanno creato cosi' gravi danni alla salute
pubblica e stanno ora orientandosi verso prodotti salutari sotto forma di
farmaci fitoterapici, medicina cinese, aromaterapia indiana, ne proibiranno
l'utilizzo. Non hanno bisogno di venire in India e renderlo illegale perche'
prima di giungere a quel punto si sono gia' impadroniti delle risorse base,
portando via le piante, depredando le riserve,  servendosi dei  mercati e
lasciando la gente completamente sprovvista di accesso a queste risorse.

M. D. F. M.: Lei insiste sulla difesa del cibo. Ma oggi non si e' piu'
liberi di scambiarsi o di provare quello che mangia l'indiano o l'eschimese,
senza per questo diventare "bio-pirati"?

V. S.: E' in atto una concentrazione del potere privato sul cibo di
dimensioni che nessuno avrebbe potuto immaginare. La Monsanto ha acquistato
un controllo immenso sul sistema alimentare globale. E' il commerciante piu'
grande di grano e controlla intorno al 50% della produzione complessiva di
cereali. Questo enorme potere economico in combinazione con le biotecnologie
e il regime dei brevetti crea, se la gente non reagisce, un sistema in cui
nessuno avra' la possibilita' di decidere che cosa mangiare. E per me niente
rappresenta un totalitarismo piu' profondo della negazione di queste
liberta'. Oggi siamo testimoni di una concentrazione senza precedenti del
controllo del sistema agroalimentare internazionale in cui convergono
essenzialmente tre aspetti: il check-up dei semi, il controllo
dell'industria chimica, la sorveglianza delle innovazioni biotecnologiche
attraverso il sistema dei brevetti. Questa convergenza di fattori spesso
prende semplicemente la forma della fusione delle grandi imprese; un
supporto importante e' quello dell'accordo del Wto che allarga il loro
potere sia al nord che al sud. Il diritto al cibo, la liberta' di disporre
del cibo e' una liberta' per la quale la gente dovra' lottare come ha
lottato per il diritto al voto. Solo che non vivi o muori sulla base del
diritto al voto, ma vivi o muori sulla base del rifiuto del diritto di
disporre di cibo.

M. D. F. M.: Ma cosa si puo' fare per contrastare questo potere?

V. S.: so che e' stato piu' volte spiegato a quanti si preoccupano dei
pericoli dell'ingegneria genetica che le loro perplessita' interferiscono
con il diritto al cibo agli affamati del terzo mondo. Questa per me e'
un'assoluta menzogna. E' una menzogna a livello scientifico, politico ed
economico. E' una menzogna perche' l'ingegneria genetica non ha nulla a che
vedere con l'aumento della produzione di cibo, ha invece molto da ricavare
da una maggiore vendita di prodotti chimici legati alle sementi che hanno
proprieta' resistenti agli erbicidi e cio' riduce i contadini ad essere
eternamente dipendenti da cinque multinazionali al mondo.

M. D. F. M.: Il suo impegno per i contadini dell'India e' iniziato nel 1987,
dopo una riunione a Ginevra che la scandalizzo' per quanto udi' circa le
applicazioni dell'ingegneria genetica e sulla brevettabilita' della vita.
Cosa ha fatto in particolare?

V. S.: Per la logica stessa della loro espansione e l'accumulazione del
capitale, le multinazionali non si fermano davanti a nessun ostacolo.
Tornata a casa, ho cominciato a dire a ogni contadino di farsi una riserva
di semi, invitandolo ad orientarsi verso un'agricoltura autonoma, basata su
sementi proprie coltivate sul proprio suolo.

M. D. F. M.: Per questo ha fondato la Navdanya Conservation Farm?

V. S.: Navdanya  significa nove semi, ed e' il nome che ho dato al nostro
programma di conservazione e di salvaguardia della biodiversita' agricola e
dei semi nativi. Lavoravo gia' da dieci anni in quest'ambito, pero' ogni
volta che parlavo delle risorse genetiche, la traduzione nella lingua
parlata localmente tendeva a ridimensionare cio' che dicevo. Io volevo dire
che nella pianta c'erano gli atomi ma per la gente non aveva senso perche'
non rientrava nella loro visione del mondo. Poi un giorno mentre stavo
raccogliendo semi in una remota area tribale, vidi un campo in cui
crescevano nove coltivazioni diverse e, iniziando a contarle chiesi al
contadino che senso aveva questo tipo di coltivazione. Egli mi rispose che
quel metodo di coltivazione si chiamava Navdanya, erano i nove semi che
riflettono anche l'equilibrio cosmico. Per tale motivo, bisognerebbe sempre
coltivare nove specie diverse, che sono un'insieme di semi oleosi,
leguminose (proteine), cereali (fonte di energia). Il numero nove, inoltre,
esprime il livello piu' alto di diversita' e sempre il nove e' un numero
sacro nella cosmologia indiana.

M. D. F. M.: Il suo ultimo libro ha un titolo angosciante: Il mondo sotto
brevetto. Crede davvero che sia cosi'?

V. S.: Il mio libro e' una denuncia contro la politica americana dei
brevetti applicati ovunque e in ogni campo (perfino su animali e vegetali),
primo passo verso il monopolio. Noi abbiamo Il diritto di vivere senza
brevetto. Contesto l'idea di proprieta' intellettuale, perche' impoverisce
la societa', soprattutto nel terzo mondo. All'inizio degli anni '80 John
Moore si rivolse all'ospedale della University of California per farsi
curare un cancro alla milza. Nel 1984 il dottore che lo aveva in cura
brevetto' una sequenza del suo Dna senza chiedergli l'assenso e la cedette
alla Sandoz. Le stime dell'effettivo valore economico di questa sequenza
superano oggi i tre miliardi di dollari. Nel 1947 la proprieta'
intellettuale copriva poco meno del 10% delle esportazioni statunitensi, nel
1994 questa voce superava il 50%. La vicenda di Moore e del suo Dna e' una
conseguenza della brevettabilita' degli organismi viventi, che discende
dall'accordo sui diritti di proprieta' intellettuale legati al commercio
(Trips) firmato in sede Wto, e che ha globalizzato le leggi sui brevetti
d'origine statunitense, le quali considerano il vivente alla stregua di
un'invenzione. Un concetto che impoverisce la societa' umana da un punto di
vista etico, ecologico ed economico. I brevetti negano il sapere in quanto
fenomeno collettivo che procede per accumulazione e vi oppongono diritti
privati che attribuiscono le innovazioni a singoli individui. In questo
equivoco, vi e' il fondamento della bio-pirateria, cioe' l'utilizzo dei
sistemi di proprieta' intellettuale per legittimare il possesso e il
controllo esclusivi di risorse, prodotti e processi biologici usati per
secoli nelle culture non-industrializzate che, all'improvviso, sono private
dell'enorme ricchezza della propria biodiversita', spesso unica loro
garanzia di sussistenza. Il continente indiano e' il piu' grande esportatore
 mondiale di riso aromatico superfino, il basmati, coltivato da secoli e
gelosamente custodito. Nel 1997 la Rice Tec Inc., con sede in Texas, ottenne
il brevetto numero 5663484 sui chicchi e sul patrimonio genetico del riso
basmati: un brevetto che, se rigorosamente applicato, vieterebbe ai
contadini di coltivare, senza il permesso e il versamento di royalties alla
Rice Tec, le varieta' di riso sviluppate da loro e dai loro avi nel corso
dei secoli. Ed e' solo un esempio tra i tanti. Le leggi internazionali non
possono ignorare tali distorsioni.

M. D. F. M.: Comincera' un'altra battaglia, a livello mondiale, con l'aiuto
dei giovani del movimento new global?

V. S.: Numerosi movimenti di cittadini nel mondo chiedono un congelamento
del Trips per permetterne la revisione prima che tale accordo venga
applicato ai Paesi in via di sviluppo. Una revisione che tenga conto del
dibattito in corso sui temi dei brevetti sulla vita, e che agevoli
l'introduzione di un rigoroso protocollo sulla biodiversita', per mantenere
un equilibrio tra diritti e responsabilita' nel settore delle biotecnologie.
Non posso rimanere indifferente a tali oneste rivendicazioni.