Rischio di guerra nucleare. Il pedagogista Daniele Novara: "L’Europa deve impegnarsi per una tregua, non per una vittoria inattuabile"



La fine del mondo. Il delirio insostenibile di chi arma la bomba


Nell’agosto del 1945, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki hanno creato un solco irreversibile nella storia dell’umanità. La guerra portata alle estreme conseguenze con la bomba nucleare non è possibile: nessuno può realisticamente pensare di superare il proprio nemico, o presunto tale. Le centinaia di guerre combattute dopo questa data sono sempre state basate su una belligeranza che non prevedeva mai l’uso dell’arma finale. Si chiama 'finale' proprio perché non contempla un altro inizio: semplicemente la fine di tutto.

Ogni giorno che passa, restiamo quindi sconcertati sia per le devastanti dichiarazioni di Vladimir Putin, ma anche per l’idea che emerge nel campo avverso che si possa reagire, che ci possa essere una controffensiva, che i 'nostri' comunque vinceranno. Su chi vinceranno? Sulla fine della specie umana? Da mesi facciamo i conti da un lato con l’arroganza del presidente russo e del suo entourage e dall’altro con l’incompetenza e la superficialità dei politici europei e americani che giocano una partita a poker con rilanci al buio, senza minimamente considerare che potrebbe essere l’ultima, che il mito sconsiderato della vittoria – evocato continuamente da Zelensky, supportato dalla presidente della Comunità Europea, dal capo della Nato e anche dai politici americani – non ha alcun senso. Non esiste la minima possibilità di vincere.

Le vite umane consumate in questi primi mesi non sono neanche quantificabili e nessuno si sta prendendo il disturbo di definire un numero. Quasi che occorresse alimentare lo sforzo bellico a prescindere dalle vittime. Il mito della vittoria si regge sull’idea che in una guerra nucleare qualcuno ha ragione e che quindi deve andare avanti a tutti i costi. L’assurdità di questa posizione è stata ampiamente sostenuta dai grandi scienziati e intellettuali - Albert Einstein, il nostro Franco Fornari, Bertrand Russell, Gandhi.

E da papa Francesco, insieme ai Pontefici che l’hanno preceduto in tutto il Novecento e i primi decenni del XXI secolo. Il realismo politico da Hiroshima in poi è sempre stato quello della deterrenza nucleare, mai del suo utilizzo. Si tiene viva la guerra in Ucraina per sostenere gli interessi macabri dell’holding delle armi, un’economia che non solleva dubbi sulla priorità dei propri affari rispetto all’estinzione stessa della vita umana sul pianeta. Ma la politica dovrebbe invece, e purtroppo non lo fa, curare l’interesse generale e non quello dei pochi oligarchi delle armi, di un business che non ha etica e non ha nessuna visione del bene comune. Per uscire da questo incubo, come il Papa ha invocato ancora una volta domenica scorsa, esiste una sola strada: riprendere il percorso tortuoso e difficile delle trattative, del negoziato, del dialogo, dell’incontro.

L’Europa deve impegnarsi per una tregua, non per una vittoria inattuabile. La tregua rappresenta un primo passo per stabilire una possibilità di composizione. Che interesse abbiamo a tenere viva questa minaccia sulla testa di tutti? Ad alimentare dibattiti assurdi con presunti strateghi militari e pseudo-politologi che ci presentano l’opzione di una bomba nucleare localizzata? Ebbene, quelle sganciate su Hiroshima e Nagasaki vengono oggi definite armi tattiche, destinate a obiettivi precisi. Serve aggiungere altro? Sono idee folli e deliranti che non necessitano neanche di commenti. Le generazioni che ci hanno preceduti dopo Hiroshima conoscevano bene questo scenario e hanno garantito per quasi 70 anni che la specie umana potesse continuare la sua esistenza nonostante la bomba atomica.

Che oggi qualcuno metta in discussione tutto questo ragionando su possibili scenari di guerra nucleare risulta semplicemente sconcertante. È necessaria una mobilitazione delle coscienze e una mobilitazione della politica. E soprattutto bisogna augurarsi una mobilitazione dei giovani, coloro che più hanno interesse a far sentire la propria voce su decisioni che riguardano il loro futuro. Si fa fatica a trovare le parole per arginare visioni così catastrofiche presentate con la naturalezza della 'guerra tradizionale'. Ma sono due cose completamente diverse. Bisogna che anche l’informazione ricordi ciò che la scienza in primis, dal ’45 in poi, ha sempre confermato: non c’è guerra nucleare, ma solo l’inverno eterno del pianeta.

Daniele Novara
Pedagogista

Avvenire, 4 ottobre 2022